Anatomia della leadership di Salvini. Parla Giovanni Diamanti

Il ministro dell’interno ha una straordinaria capacità di intercettare la rabbia dei cittadini. Ma è soprattutto un leader “normale”, che parla di buon senso per far passare posizioni ideologiche ben precise. E, se realizza ciò che promette, sarà davvero difficile limitarlo.
MARCO MICHIELI
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Dalle urne del 4 marzo è uscita una “nuova Italia” elettorale, che si è saldata poi nel nuovo governo Movimento Cinque Stella-Lega.  “Una nuova Italia” è anche il titolo del libro scritto da Matteo Cavallaro, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco (Castelvecchi editore), che sarà presentato al Festival della Politica venerdì 7 settembre (ore 18:30, chiostro M9). Filippo Sensi – noto blogger, capo ufficio stampa a palazzo Chigi di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni e oggi deputato Pd – e Marco Marturano – fondatore e amministratore di GM&P – ne discuteranno con uno degli autori: Giovanni Diamanti, tra i cofondatori di Quorum e di YouTrend. ytali.com l’ha intervistato.

Il 4 marzo è il terremoto politico che segna la nascita della “Nuova Italia”. Con la fine del vecchio bipolarismo, già entrato in crisi nel 2013, e l’emergere di Lega e Movimento Cinque Stelle, ci stiamo avviando verso un nuova fase della storia italiana, è possibile un nuovo tipo di bipolarismo attorno a questi due soggetti politici?
In tempi immediati è difficile che si verifichi. Innanzitutto perché il bipolarismo prevede la logica dell’alternanza e in questo momento Lega e Cinque Stelle governano assieme. Certo, vi sono delle difficoltà tra i due partner di governo ma le distanze, attualmente, non sembrano incolmabili. Inoltre il centrosinistra e il Pd hanno un radicamento minimo che consente loro di non scomparire. Anche se dobbiamo dire che negli ultimi anni il Pd ha fatto di tutto per sparire. E con le scorse elezioni politiche ci è andato vicino. Più correttamente direi che siamo in una fase di mulitpolarismo. Una situazione simile si era già presentata nel 2013 quando accanto al Pd, al centrodestra e al M5s c’era il quarto polo di Mario Monti.

Le differenze interne al Movimento Cinque Stelle possono portare nel futuro a rotture più profonde e ad una ricomposizione dell’offerta politica?
La rottura può esserci. Però dobbiamo fare attenzione. Non si tratta di uno scontro reale ma di una differenza tra le due anime che è stato però funzionale al successo del Movimento Cinque Stelle. Mentre Roberto Fico e Alessandro Di Battista interpretano le richieste della base del partito, Luigi Di Maio è stato fondamentale per l’espansione verso gli elettori più moderati che probabilmente in passato non avrebbero votato per il M5s.

Nel vostro libro definite Matteo Salvini come il leader più adatto alle caratteristiche della fast politics. Quali sono i suoi punti di forza?
Salvini interpreta perfettamente i tempi complessi e nuovi in cui viviamo. Ha una straordinaria capacità di intercettare la rabbia dei cittadini attraverso toni radicali e molto duri. È soprattutto un leader che ha saputo parlare a tutto il Paese ed è una novità assoluta per un leader leghista. È poi un leader normale. Salvini parla sempre di buon senso, però dietro questo buon senso riesce a comunicare posizioni ideologiche ben precise.
Gode poi di una base di supporter, di veri e propri fan, molto attivi nei social media.

E ha dei punti deboli?
Al momento non sembra averne, però tutti ne hanno. È vero che Salvini è il key player della politica italiana ma la Lega è stata il terzo partito per numero di voti alle elezioni politiche (anche se nei sondaggi oggi sembrerebbe essere al primo posto). E la sua crescita esponenziale in termini di visibilità e di rilevanza può danneggiarlo: le numerose aspettative che solleva sono infatti difficili da realizzare. E se non c’è la fa, la caduta sarà rovinosa. D’altra parte se quelle promesse però le realizza, sarà davvero difficile limitare la Lega.

Matteo Salvini

E come potrebbero evolvere i rapporti col centrodestra? La Lega spesso governa a livello locale e regionale con Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Non penso si tornerà presto al voto ma se ciò dovesse accadere, penso che una delle ragioni che potrebbero portare Salvini a rompere con il Movimento Cinque Stelle e riallacciare i rapporti con il centrodestra siano i numeri con cui la Lega tornerebbe in parlamento e l’affinità ideologica con gli alleati di centrodestra.
È anche vero che la debolissima identità politica del Movimento Cinque Stelle è un vantaggio per la Lega: col diciassette per cento dei voti espressi Salvini è il leader di questa maggioranza. In un’ipotetica alleanza con il centrodestra a livello nazionale le difficoltà sarebbero maggiori: Forza Italia e Fratelli d’Italia possono contare su politici navigati e abili che saprebbero farsi valere per portare avanti le proprie battaglie storiche. Anche nell’ipotesi di un peso elettorale inferiore rispetto a quello della Lega.

E l’opposizione? In una recente intervista a Repubblica Massimo Cacciari parla della necessità di creare un fronte progressista da Macron a Tsipras. Secondo lei una parte di Forza Italia o del centrodestra potrebbe approdare al centrosinistra?
È difficile dirlo. Un’alleanza la si decide in due. Quale è la posizione del Pd su questa possibilità? Attualmente l’anima renziana del partito sembra essere più aperta ad una soluzione di questo tipo, che assomiglia al fronte repubblicano proposto dall’ex ministro Carlo Calenda. Un’alleanza antipopulista aperta a tutti. C’è però un’altra posizione, legata a Nicola Zingaretti e alla sinistra interna, che guarda invece con simpatia alla ricomposizione di un centrosinistra largo con il Pd come perno. Entrambi hanno argomentazioni valide: Zingaretti parla di un modello di Pd che ha vinto nel Lazio e in alcune elezioni amministrative; l’ala renziana porta come tema l’irrilevanza della sinistra esterna al Pd, confermata dalle ultime elezioni politiche.

Nel Pd rimane tuttavia ancora un problema di leadership.
Esiste un enorme problema di leadership nel Pd, anche perché nulla è stato fatto per consentire al segretario Maurizio Martina di essere il leader. Viviamo un’epoca storica in cui la politica non può fare a meno del leader e del capo. Esistono tuttavia diversi modi per esercitare questa funzione. Matteo Renzi all’inizio ha saputo fare ciò che Matteo Salvini ha poi fatto: si è fatto interprete della richiesta di rinnovamento degli italiani stanchi della vecchia politica. Renzi però ha peccato d’arroganza e non ha mai fatto autocritica. Ha trasformato un referendum che poteva vincere facilmente in un voto sulla sua persona. Non ha compreso i propri limiti e questo ha danneggiato lui e il Pd perché alla lunga si è formato un importante voto contro che gli è stato fatale. Oggi serve una leadership forte ma diversa. Più umile e più vicina alle persone normali. Una leadership che rappresenti le persone nella loro vita di tutti i giorni. E servono soprattutto idee diverse e nuove.

Nicola Zingaretti

Lei è un esperto di comunicazione politica. Nella campagna elettorale per le elezioni politiche che utilizzo hanno fatto dei social la Lega e il Movimento Cinque Stelle?
La comunicazione social è soltanto una parte della comunicazione politica in periodo elettorale. E non sempre la più rilevante. Nessuno degli attori politici che hanno partecipato alla campagna elettorale ha portato particolari innovazioni nella comunicazione social. Il punto di forza di Matteo Salvini è stato quello di creare una comunicazione più interattiva, fatta di diverse pagine Facebook e di like, attraverso la mobilitazione della propria base di fan.
Il Movimento Cinque Stelle ha dimostrato invece una grande capacità crossmediale: sa utilizzare diversi mezzi di comunicazione per far passare il proprio messaggio. Com’è stato il caso della comunicazione dei ministri di un ipotetico governo a guida Di Maio. Un’operazione azzeccata, poco prima delle elezioni, che ha dato l’idea di un leader libero e lontano dalle logiche del manuale Cencelli. Seguita dalla gestione mediatica di questa mossa. Se consideriamo che un mese prima del voto i cittadini indecisi o propensi all’astensione erano circa il cinquanta per cento, si capisce l’influenza di questa strategia: una persona che si informava nelle ultime settimane, che fosse sui giornali, in tv o nei social media, trovava soltanto il M5S e i loro annunci sui ministri, cadenzati di giorno in giorno.

Il Pd ha sbagliato qualcosa nella comunicazione elettorale?
Il Pd ha fatto certamente degli errori nella comunicazione social perché a monte aveva delle criticità nella strategia generale e nel contenuto del messaggio che voleva trasmettere. Sui social in particolare ha scontato un problema che era emerso già nella campagna per il referendum: il Pd ha toni di voce diversi tra le pagine ufficiali e quelle semi-ufficiali. Ad esempio la pagina Facebook Matteo Renzi News aveva un tono grillino e populista che stonava con l’approccio riformista e anti-populista del partito. Quest’incoerenza alla fine ha pesato: rincorrere il Movimento Cinque Stelle ha danneggiato il Pd. Tra la copia e l’originale gli elettori scelgono sempre l’originale.

Venerdì 7 settembre
ore 18:30, chiostro M9
Giovanni DIAMANTI, Marco MARTURANO, Filippo SENSI

 

Qui potete trovare il programma completo.

Anatomia della leadership di Salvini. Parla Giovanni Diamanti ultima modifica: 2018-09-06T11:36:14+02:00 da MARCO MICHIELI
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