Ci vuole Piergiorgio Paterlini, il suo talento narrativo, e una penna carica di acquerelli per scrivere “Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk” (Einaudi Ragazzi).
Il romanzo è scritto in prima persona, a portata dei ragazzini, ed è la storia di Harvey Milk. L’assessore comunale gay, eroe di tante battaglie civili a San Francisco, ucciso da un collega squilibrato nel 27 novembre del 1978 a colpi di pistola.
Ci voleva la capacità di tagliare e togliere, tipica della letteratura di Paterlini, per far scorrere d’un fiato Harvey Milk che parla, dopo la sua morte, della sua vita.
E ci vuole coraggio, nei tempi oscuri che stiamo attraversando, per farne un inno, mai sopra le righe, alla ricchezza che produce la diversità quando diventa la linfa sociale di “altre” possibilità di amore.
Il romanzo si rivolge in prima persona a un ragazzino di tredici anni di oggi, abituato a internet, smartphone, youtube… Paterlini, che nel libro usa l’io narrante di Harvey Milk, racconta una storia dove il caso e il pregiudizio tolgono la vita a un eroe che non voleva essere un eroe. “Io non volevo essere un eroe, volevo solo essere felice” è l’esordio del libro. È la sua chiave di lettura.
In questo romanzo Milk racconta se stesso come un uomo normale, desideroso di una vita normale, e, come molti gay, come tutti i gay, si trova a disegnare nelle carte geografiche mute gli itinerari della propria esistenza, perché privo di riferimenti, di punti d’appoggio, di porti sicuri dove si imparino attracchi e percorsi della propria vita.
Ne esce un’esistenza dove i progetti, i progetti semplici che fanno la vita di ognuno come lavoro, amore, casa, e tutti i luoghi abitabili delle nostre giornate, sono tracciati con voce rotta dai malanni del tempo e dalle fobie sociali.
Paterlini racconta Harvey Milk, il Milk delle piccole cose piccole, per parlare in modo universale.
Perché la vita affettiva, con chiunque la si desideri, è diritto di tutti. Il diritto a una vita fatta di progetti, pulsioni, meccanismi elementari. Quello che la comunità di San Francisco deve conquistarsi con tutta la forza che ha a disposizione (a volte – sembrano sottintendere Milk/Paterlini – tale forza non è possibile nemmeno adesso).
In questa storia c’è la storia di tutti, dei tanti gay che amano, si innamorano, si fanno lasciare o lasciano, si accoppiano, tentano di vivere insieme (allora era più difficile), e si ritrovano malmenati quando non ammazzati dalla polizia, dai passanti, dai vicini. Il libro tocca corde profondissime, al punto che chi scrive qui è incerto se mettere in luce questo o quell’aspetto, toccati con garbo, gentilezza (solo uno scrittore molto bravo può farlo), voglia di raccontare, di Paterlini.
Non c’è un punto del romanzo più forte di un altro e in questo è la sua bellezza. Le parole riconciliano tutto e tutti. La storia tragica di Harvey Milk diventa seme di tolleranza, comprensione e misura. Harvey Milk è il simbolo di un’umanità da salvare raccontandola ai ragazzini.
Il libro diventa così un costante, coerente, leggero, quasi fanciullesco richiamo pieno di umanità a quello che oggi chiamiamo outing, all’uscita dalla condizione disumana del silenzio. Un omaggio a un eroe divenuto tale suo malgrado, stroncato dagli eventi tragici che lo faranno tacere per sempre.
Potrei descrivervi la delicatezza nel raccontare le piccole felicità e le solitudini di una comunità che emerge dal dolore dello scherno, delle botte, degli assassinii.
Il desiderio di chi scrive, è che il romanzo diventi libro di lettura in tutte le scuole perché, come Paterlini/Milk accennano, in una perfetta identificazione del narratore e del narrato, se si racconta subito ai giovanissimi che la popolazione gay e lesbica è forse superiore al dieci per cento, prima che il calcare incrosti di false credenze la personalità dei ragazzi, verrebbero risparmiate per sempre inutili sofferenze.
Il libro apre le menti, invita grandi e piccoli a conoscere il mondo affettivo e le sue mille varianti. È un invito poetico e profondo a percorrere la strada faticosa e complessa della consapevolezza, che conduce dritta alla fine del pregiudizio, alla reciproca comprensione.
Dopo la grande interpretazione di Milk fatta da Sean Penn nel film, pensavo fosse stato detto molto. Nel romanzo scatta in più un’empatia totale tra Paterlini/Milk e il lettore. Le immagini del film tendono all’aspetto eroico del protagonista e poi sgusciano via, mentre le parole di Paterlini rimangono nel cuore di chi è dotato di un minimo di sensibilità verso l’altro da sé. E l’altro da sé è ciascun lettore, perché siamo e saremo sempre tutti diversi l’uno dall’altro. Anche se nella specie qualcuno come Milk paga con la vita il suo impegno, la sua voglia di cambiare cose difficili e traumatiche.
Nel romanzo c’è la storia dei diritti civili in America, storia della città di San Francisco, storia delle cose dette a caro prezzo, storia della vita di Milk, storia che potrebbe essere accaduta ovunque e in qualsiasi momento.
Le lotte di questi eroi non sono mai vane. Questo è il paesaggio del libro, il sottofondo. Insieme, c’è la lotta per vivere come i molti, aprire un negozio, cambiare lavoro, vivere una città, uscire a cena, che è la vera protagonista. Una quotidianità impossibile perché negata dai guardiani del desiderio.
Chi avrebbe pensato in quegli anni a un busto nel Municipio di San Francisco in ricordo di Milk? A una nave chiamata Harvey Milk? A una targa perenne nel quartiere di Castro, dove Milk teneva il suo negozio di fotografia?
Anche se Milk, sembra suggerire Paterlini, avrebbe preferito a mille riconoscimenti postumi una vita tranquilla.
Il romanzo è un inno contro la sofferenza inflitta dagli altri, dai loro giudizi. Il tutto con la forza evocatrice di uno scrittore che scrive a tutti adesso, ora, qui. In un libro rivolto ai ragazzi si parla chiaramente a tutti.
La storia del movimento di liberazione a San Francisco viene tratteggiata e sempre riportata nel contesto e nella realtà quotidiana delle persone che la vivono. In molti potranno ritrovarsi nel romanzo, nelle pieghe sfiorate con una forza totalmente priva di violenza o di voglia provocatoria, da farne un moderno, involontario manifesto della comprensione.
Paterlini racconta una storia difficile da raccontare come fosse una favola. È il sacrificio di Isacco senza il lieto fine della Bibbia. Da conoscere perché non si ripeta.
Racconta la distruzione dell’Io nei possessivi partner di Milk, confusi dalla deriva psichica che il rifiuto crea. Se gli altri ci rifiutano e ci ingiuriano per ciò che siamo, è difficile non rifiutare se stessi e la propria vita, sino ad alcuni atti estremi (quanti suicidi ci sono stati nella storia omosessuale? Quanti ce ne sono ancora?)
Stupisce e commuove in tutto il libro come lo scrittore riesca a dire tutto questo senza cedere in una sola riga agli strumenti della retorica, del lamento o dell’invettiva.
Vi consiglio questo romanzo. Incominciate a leggerlo e non vi staccherete per tutto il tempo. Vedrete con limpidezza visiva le strade, le case, le camere, il soggiorno, la cucina di Harvey Milk. Vedrete che era un’anima persino ingenua, portata a fare del proprio inconscio quello cha andava fatto. Il suo vivere tra il pubblico e il privato, una vita difficile, con partner dalla psiche distrutta dal rifiuto, vi darà materiale per spiegare a voi stessi la follia dell’intolleranza, tema caro in altri romanzi di Paterlini. Perché il male è stupido, distrugge e basta.
Le battaglie civili di Milk lasciarono un segno concreto negli Stati Uniti degli anni Settanta. La repressione brutale venne meno, anche se poi riprese e non poco. L’invito, sempre espresso dall’autore con una sorta di straniamento, di sogno narrativo, è di essere se stessi, non aver paura di uscire allo scoperto. Questo romanzo aiuterà chi si nasconde, chi non ce la fa a rivelare un semplicissimo aspetto affettivo.
Paterlini/Milk non promettono felicità. Promettono la beata vita quotidiana, diritto di ciascuno. Promettono che potrete ambire a uscire con chiunque sia con voi, comprare una cosa, fare la spesa, arredare una stanza, dormire abbracciati.
Vi pare tutto così scontato? Provate a leggere questo romanzo. Il gesto più banale che potrete fare richiederà l’attraversamento di giudizi, credenze, scorie di arroganza, malintesi, violenze, inferte da un Male che non sa, che ignora, che non conosce.
Non si riesce ad amare ciò che non si conosce. Si uccide ciò che non si conosce, ciò di cui non si sa. È bastato che, allora come oggi, qualcuno avesse voglia di uscire mano nella mano, nei luoghi della tenerezza proibita, per finire in galera, o essere pestati a sangue.
Harvey Milk è dunque ancora vivo, non sono finite le battaglie, va raccontato ai ragazzi. E lo può fare solo Paterlini, con una scrittura asciutta e toccante.
È complesso scrivere dell’alterità rivolgendosi ai ragazzi, e per i ragazzi che ora sono grandi: il romanzo è materiale poetico per gli insegnanti che avranno qualcosa di importante da usare nelle scuole, affinché nessun allievo si senta solo, chi non lo ha detto a nessuno, o chi lo ha detto e fa fatica.
A chi ama leggere la bella narrativa contemporanea consiglio il viaggio che ci propone Paterlini nei vicoli mai scritti, quelli che incontrate quando infilate per caso una stradina e vi sentite finalmente altrove.
La grazia è la cifra stilistica, che Milk/Paterlini hanno ricevuto e traducono per noi, come un dono che vi viene offerto e che vi farà viaggiare nella terra dove gli altri si incontrano. Un nuovo romanzo di Piergiorgio Paterlini, il cui amore potrà farvi solo bene. Un romanzo bello nei due tempi in cui è suddiviso. La verità e la consapevolezza producono il disarmo. Il disarmo fa nascere l’incontro.

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