Non c’è dubbio, questo è “il governo della nostalgia”, ovvero del ritorno al passato, ma di un passato di cui si predilige quanto rappresentò lo svilimento di ogni forma di coraggio, sia individuale che di gruppo, il rifugiarsi nel convenzionale che impone la consuetudine senza originalità o capacità critica e quindi a ciascuno il proprio tatuaggio, che è poi sempre lo stesso (marchiati dalla medesima “creatività”, quella che nutre di sporcizie saracinesche e muri). Tatuati per dirsi pronti nel sottomettersi a forme di cultura tribale o ad obbedire a inquadramenti marziali o per fantasticare sulla “propria pelle” un io, io, io che non si è accorto di essere ormai suddito e non cittadino.
In breve, un ritorno al passato che neghi immaginazioni e invenzioni e tendenze e opinioni diverse. Insomma, risposte responsabili (razionali?) alle “paure di una società disillusa dall’idea di scambio tra sacrifici e opportunità”, come giustamente scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera.
Proprio sulla copertina di un libro sugli scritti giovanili di Hume, curato da Spartaco Pupo da poco in libreria, si legge a nostro parziale conforto:
Una nazione civile con un governo mal costituito difficilmente diventerà del tutto barbara; il suo cambiamento, per quanto vasto, non potrà mai estendersi fino alla messa al bando di tutte le arti…
E delle competenze, che poi è la stessa cosa.
Restando ancora sul giovane Hume:
Il rimedio a ogni inconveniente potrebbe a sua volta rivelarsi un altro inconveniente. Perciò non si avrebbe alcuna soluzione, come nell’esempio di un’opera progettata con genio la cui bellezza è cancellata dal caso.
Quasi che il filosofo avesse previsto l’orribile tragedia di Genova, un’opera progettata con genio la cui bellezza è cancellata dal caso. Purtroppo non sembra soltanto dal caso.
In realtà, Antonio Polito descrive assai bene un’Italia paese di “ogni inconveniente”, dove il rimedio potrebbe rivelarsi il solito, maledetto, altro inconveniente.
E in questo evidente ritorno al passato gli inconvenienti si stanno mostrando in tutta la loro pericolosità. Dal cosiddetto reddito di cittadinanza alle varie forme di sussidio, dalla volontà di rimettere in circolazione passaporti, timbri, frontiere o cortine ungheresi ai lavori socialmente utili (per una disoccupazione senza fine), da una scuola sempre più insensata sul modello della nazionale di calcio alle pensioni di chissà come e perché, senza farci mancare le partecipazioni statali, quelle che hanno contribuito al permanere di un Sud sussidiario, cioè secondario, non necessario.
Già, le partecipazioni statali che partorirono il grande polo industriale di Porto Marghera, ma che hanno lasciato “un deserto “ perché lì nessuno, sinistra per prima, ha mai scommesso sullo “scambio tra sacrifici e opportunità”.
Comunque, anni fa Richard Bennet disse che “il guardare fuori di noi è un’arte che va appresa”. Esattamente quello che non vogliono fare e che vorrebbero impedire che noi facessimo. Chi? Ma quelli del governo della nostalgia, del ritorno al passato. Stiamo dicendo di brutali e pericolosi “semplificatori”. Noi invece dovremmo ritornare alla domanda che si pose Montaigne:
Quando gioco con la mia gatta, come faccio a sapere se non sia lei che sta giocando con me?
Senza dubbio, ricitando Bennet, la vita attorno a noi “rimane al fondo insondabile”. Ma non per questo dobbiamo avere paura. Dobbiamo soltanto imparare a collaborare con il gatto o con qualunque altro essere umano, andando oltre ogni apparente insondabilità.

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