Idlib, dove rischia di consumarsi la più grande tragedia umanitaria del Ventunesimo secolo. Idlib, dove si decideranno gli assetti futuri della Siria post bellica. Idlib, dove la triade che ha vinto la guerra rischia di spaccarsi e aprire il fronte di un altro conflitto. La battaglia di Idlib, ultimo bastione degli insorti non finanziati dall’Occidente nella guerra in Siria, potrebbe diventare il “peggior disastro umanitario” del Ventunesimo secolo, secondo il Segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari.
Ci devono essere modi per risolvere questo problema nei prossimi mesi, perché Idlib non si trasformi nella peggiore crisi umanitaria del Ventunesimo secolo, con la più pesante perdita di vite umane,
ha detto Mark Lowcock in una conferenza tenuta a Ginevra, dove ha incontrato i rappresentanti delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. L’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) ha avvertito che oltre due milioni di civili sono a rischio esodo verso il confine turco, attualmente chiuso.
Proprio il destino dei profughi rischia di essere uno dei temi principali dell’offensiva su Idlib. I dati forniti da Reach Initiative – risalenti a maggio 2018 – parlano di circa un milione e duecentomila sfollati interni presenti nella provincia, provenienti da diverse altre province tornate sotto il controllo di Damasco: Daraa, la Ghouta orientale, i dintorni di Damasco (Zabadani, Zakariya, Daraya), Aleppo est e Deir Ezzor. In totale, secondo i dati delle Nazioni Unite, nella provincia di Idlib – settecento e cinquantamila abitanti prima della guerra – oggi vivrebbero due milioni e mezzo di persone, di cui un milione di bambini, e almeno circa cinquantamila miliziani appartenenti a diverse formazioni ribelli. L’apocalisse umanitaria è alle porte. Oxfam, tra le più attive ong internazionali a sostegno dei profughi siriani, ha chiesto a tutta la comunità internazionale di collaborare urgentemente per prevenire una nuova catastrofe umanitaria, che secondo le stime delle Nazioni Unite potrebbe provocare ottocentomila sfollati.
Questa settimana infatti ci sono state segnalazioni di attacchi aerei nella parte occidentale del governatorato di Idlib, l’ultimo sotto il controllo di gruppi armati anti-governativi. Nell’area sono affluiti moltissimi civili in fuga dalla violenza nelle altre zone della Siria già riconquistate, dove combattimenti tra le diverse fazioni non si siano mai interrotti e dove si sono concentrati gruppi armati che si oppongono al Governo.
Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia, sottolinea che:
È chiaro che la situazione ad Idlib è disastrosa già così. La popolazione è pressoché raddoppiata, dal momento che sono arrivate persone fuggite dagli scontri in altre parti del paese, mettendo a dura prova l’approvvigionamento idrico, la loro sicurezza e la distribuzione di aiuti umanitari. Abbiamo già visto la devastazione causata dal conflitto molte e troppe volte, ad Aleppo, nella Ghouta orientale e a Dar’a. Un’offensiva su larga scala a Idlib si tradurrebbe in una catastrofe mai vista prima. La comunità internazionale deve trovare subito una soluzione per aiutare coloro che stanno cercando di sopravvivere e prevenire un’escalation di violenza tra le parti in conflitto.
Ma a Idlib, su Idlib, può naufragare la “Jalta siriana” messa in essere, con le vittorie sul campo, dal patto a tre stretto da Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyp Erdoğan. Un patto che la resa dei conti finale voluta da Bashar al-Assad, e sostenuta da Russia e Iran, può saltare per l’uscita del “Sultano di Ankara”. Sia chiaro: all’autocrate turco il tema della tragedia umanitaria serve essenzialmente per difendere gli interessi geopolitici della Turchia in quell’area cruciale della Siria.
E poi c’è un altro punto di rilevanza strategica: la Turchia può accettare che Bashar al-Assad resti al potere a Damasco, ma ciò che non accetterà mai è che un rais rimasto in piedi essenzialmente grazie all’appoggio militare di Mosca e Teheran (e degli Hezbollah libanesi), possa ergersi a vincitore della “partita siriana” e pretendere di rientrare nel grande giro mediorientale. Su questo, Erdoğan è pronto a rompere l’alleanza con Russia e Iran. E per farlo intendere ha ordinato all’esercito di rafforzare la propria presenza nell’area a ridosso di Idlib. L’obiettivo turco, spiegano fonti militari citate dal quotidiano Hurriyet, è anche quello di controllare nuovi movimenti di profughi in fuga verso i suoi confini.
La diplomazia prova a correre ai ripari. Erdoğan e Putin si incontreranno lunedì a Sochi per discutere della situazione nella provincia siriana di Idlib, annuncia il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Vediamo che la situazione a Idlib si sta deteriorando. Stiamo intraprendendo sforzi per fermare gli attacchi sui civili, siamo in costante contatto con la Russia e l’Iran sulla questione. Inoltre ne abbiamo discusso anche con altri partner. Proseguiremo questi contatti, in particolare, il nostro presidente Erdoğan incontrerà il presidente Putin lunedì.
ha dichiarato Cavusoglu nel corso di una dichiarazione nel corso di una visita in Pakistan, trasmesso da CNN Turk.
Per Damasco riprendere Idlib significa di fatto chiudere la guerra civile e riprendere il controllo dell’autostrada M5 che dalla Giordania arriva in Turchia, fondamentale per le rotte di rifornimento, e della M4, che collega Aleppo a Latakia, città costiera roccaforte degli al-Assad, oltre che sede della base aerea russa di Hmeimim. La Russia intende ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran, Ankara invece ha fatto leva sulla costituzione Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate. Per assumere il controllo de facto del nord della Siria.
Trovare un compromesso soddisfacente per tutti e tre, oltre che per Assad, appare alquanto problematico. La domanda, riflettono fonti diplomatiche arabe e occidentali, non è più “se” ma “quando” si scatenerà l’apocalisse a Idlib.
Chi non ha dubbi è Le Monde. Scrive il quotidiano francese:
Mosca sta solo prendendo tempo per preparare l’opinione pubblica alla spallata finale in Siria,
che per i Russi non sarà certo una passeggiata di salute.
Una cosa è certa: dopo il mancato accordo nel vertice tripartito di Teheran sul destino della provincia di Idlib, la Turchia sembra aver intensificato le forniture di armi ai miliziani che resistono nell’ultima provincia ribelle siriana.
Rileva in proposito Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa (Rid):
In particolare, Ankara avrebbe incrementato negli ultimi giorni le forniture di sistemi anticarro e razzi campali pluritubo al Turkistan Islamic Party in Syria (Tip) ed a ciò che resta del Free Syrian Army, gruppi che, assieme ai qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham, si apprestano a fronteggiare l’annunciata offensiva dei governativi. E proprio tra ieri ed oggi cittadine nel nord di Latakia sono state più volte colpite dai razzi lanciati dal miliziani ribelli. Nel frattempo, Assad sta continuando ad ammassare truppe nell’area e da giorni aerei russi e siriani colpiscono le postazioni ribelli a Idlib, mentre le potenze occidentali avvertono Damasco sulle conseguenze che potrebbe avere un nuovo raid non convenzionale.
L’obiettivo dei governativi – rimarca ancora il direttore di RID – è quanto meno mettere in sicurezza la città di Aleppo ed il nord della storica roccaforte governativa di Latakia, sempre sotto la minaccia, appunto, dei gruppi jihadisti e filo-turchi che operano ad Idlib. Uno scenario, questo, che coinvolgerebbe solo alcune parti della provincia ribelle e che potrebbe risultare accettabile anche per la Turchia, ma è chiaro che Ankara non sembra disposta ad uscire completamente da Idlib senza aver garanzie certe sulla propria presenza nel cantone di Afrin e nel triangolo di Azaz, fondamentale per contenere le spinte autonomistiche dei Curdi siriani.
In assenza di queste garanzie, il pragmatico Erdoğan non rinuncia a far valere il suo peso nell’ultima (forse) battaglia della lunga guerra civile siriana. Ecco allora dispiegarsi pienamente la valenza strategica della posta in gioco a Idlib. Per la Turchia, certamente, ma anche per Vladimir Putin che intende farsi Garante di una “pax russa” che guardi anche oltre l’orizzonte siriano.
Annota in proposito, in un documento report per Ispionline, Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow:
Ma se è soprattutto la Turchia che dalla potenziale caduta di Idlib rischia di più – sia nella veste di sponsor, umiliato, dell’opposizione, sia in quella di paese rifugio per una nuova ondata di profughi – è il ruolo di mediatore quasi infallibile di Mosca che è ora sotto la luce dei riflettori. Da una parte i vertici russi sanno bene di non poter negare al regime una simbolica vittoria finale che solo la presa di Idlib può garantire. Assad ha bisogno di poter presentare all’opinione pubblica lealista la caduta dell’ultimo bastione dell’opposizione prima di sedersi, da una posizione di forza, a due tavoli ben più complessi: lo status finale nel nord-est – oggi controllato dalle Unità di protezione popolare (Ypg) curdo con l’appoggio americano – e, soprattutto, la questione di Afrin e del triangolo Azaz-Al-Bab-Jarablous, occupati dalle forze turche tra il 2017 e l’inizio del 2018. A Mosca sanno che soprattutto quest’ultimo nodo sarà difficile da sciogliere e che il nord della Siria rischia di ritrovarsi nel lungo termine sotto protettorato turco, in una situazione simile al nord di Cipro, e che, proprio per questo, non possono negare ad Assad una vittoria “finale” ad Idlib. Ne va della credibilità del regime e, indirettamente, della credibilità di Mosca, che dall’intervento in Siria nel 2015 sta cercando di proporsi ai regimi autoritari del Medio Oriente come un alleato più affidabile e determinato degli Stati Uniti. Dall’altra parte, però, umiliare Ankara significa rischiare di rispedire Erdoğan nelle braccia di quell’Occidente, dal quale in questi ultimi anni il presidente turco sta cercando infaticabilmente di affrancarsi cercando, finora con successo, la sponda della Russia.
Se vuole essere riconosciuto come “garante” da tutti gli attori mediorientali, Putin sa bene di dover contenere i disegni espansionisti dell’Iran. In gioco non c’è solo la geopolitica del potere in Medio Oriente ma anche, e di più, l’affare della ricostruzione della devastata Siria. Un affare da migliaia di miliardi di dollari.
Se vuole esserne uno dei principali gestori, non certo tra gli erogatori, il capo del Cremlino sa di aver bisogno di far rientrare nella partita le petromonarchie sunnite del Golfo. E per farlo può far loro accettare che a Damasco “regni”, ancora per qualche tempo, un rais “sotto tutela”, ma ciò che deve dare in cambio a Riyadh, ma anche a Israele e ora anche alla Turchia, è un contenimento della penetrazione sciita-iraniana sulla direttrice Baghdad-Damasco-Beirut. Per questo la “partita di Idlib” è decisiva.

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