[PARIGI]
Quando si arriva all’Assemblée nationale – ma è così per tutte le istituzioni parlamentari – si prova sempre una certa emozione. Sebbene viviamo in tempi di facile propaganda anti-parlamentare e anti-politica, è in questi luoghi – ma non solo – che l’esperienza democratica si ripete e si rinnova ogni giorno. Il parlamento è il luogo in cui batte davvero il cuore delle democrazie liberali. E la soddisfazione è ancor maggiore, quando i deputati dimostrano grande disponibilità all’ascolto e all’incontro.
E così è capitato con Christophe Di Pompeo, deputato de La République En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron. In occasione del prossimo vertice italo-francese, il trentacinquesimo, ytali. l’ha intervistato per discutere delle relazioni tra Italia e Francia. Di Pompeo è il presidente del gruppo d’amicizia Italia-Francia all’Assemblée Nationale, “Monsieur Italie” come lo definiscono nei corridoi dell’assemblea parlamentare francese.
Il deputato mi viene a cercare personalmente all’ingresso dell’edificio che ospita gli uffici dei parlamentari e, nel percorso che ci conduce al suo ufficio, ci tiene a sottolineare le origini italiane e i profondi legami culturali e politici tra i due paesi.
Dopo l’elezione di Emmanuel Macron alla presidenza della repubblica, abbiamo assistito ad una serie negativa di incomprensioni tra l’Italia e la Francia: l’accordo Fincantieri-STX, la Libia, Bardonecchia e, recentemente, l’Aquarius. Inoltre, le elezioni legislative del 4 marzo hanno portato al governo in Italia una coalizione formata da due partiti euroscettici e sovranisti, il Movimento Cinque Stelle e la Lega. Il prossimo summit italo-francese sarà teso?
Tra i due paesi vi sono divergenze su specifici punti. Non esistono contrasti profondi e culturali. Ovviamente le nostre valutazioni politiche generali sono diverse dalle valutazioni del nuovo governo italiano. Tuttavia in giugno, con François de Rugy, allora presidente dell’Assemblée nationale, abbiamo incontrato Roberto Fico, il presidente della Camera dei deputati. È stato un incontro molto costruttivo. Abbiamo trovato dei legami e il desiderio di lavorare assieme. Il presidente Fico ha anche proposto di stipulare una convenzione tra le due assemblee parlamentari per definire il ruolo del gruppo d’amicizia Francia-Italia e per intrecciare delle relazioni ancor più profonde tra i due paesi. Anche se vi sono discussioni tra di noi, di fondo i due paesi vanno molto d’accordo.
Il trattato del Quirinale, proposto da Macron e Gentiloni allo scorso vertice italo-francese di Lione, dovrebbe “scolpire” nel marmo l’amicizia tra Francia e Italia. Il trattato sta avanzando? Ci sono degli ostacoli?
No, non ci sono degli ostacoli. Si tratta soltanto di una questione di calendario e di priorità. Penso se ne riparlerà al prossimo vertice-italo-francese. Oggi però il trattato del Quirinale non è su un binario morto. Gli esperti italiani e francesi hanno continuato a lavorarci. Come sapete, nel 2017, a Lione, i due governi hanno incaricato tre esperti italiani (ndr, l’ex ministro Franco Bassanini, il consigliere di palazzo Chigi per gli affari Ue Marco Piantini e il rettore dell’Università Luiss ed ex ministra, Paola Severino) e tre esperti francesi (ndr, Gilles Pécout, rettore dell’Académie de Paris, l’ex ministra della difesa Sylvie Goulard e il presidente di Business France Pascal Cagni) di lavorare sulla questione. Hanno continuato a farlo. E quest’estate hanno consegnato la loro relazione.
Il trattato è importante per la Francia?
Noi ci crediamo molto. L’Europa è stata costruita sul motore franco-tedesco con il trattato dell’Eliseo del 1963. Un accordo bilaterale tra Francia e Germania. Un trattato bilaterale però economico, e dovrei dire monetarista. Il trattato del Quirinale sarà invece completamente diverso: sarà più attento alle tematiche sociali e insisterà maggiormente sulle nostre relazioni umane e culturali, che sono profonde. E in futuro il trattato potrebbe riequilibrare l’Europa. Ovviamente questo dipende anche dal nuovo governo italiano e dal suo atteggiamento verso l’Europa. Tuttavia, di fronte alle critiche del governo italiano sull’immigrazione o contro la tecnocrazia europea, credo che il trattato del Quirinale potrebbe essere un’occasione per riflettere su queste tematiche.
In Europa però l’Italia si è avvicinata al gruppo di Višegrad, in particolare all’Ungheria di Viktor Orbán, con l’obiettivo di cambiare le regole dell’Unione Europea. E hanno preso di mira proprio Emmanuel Macron. Questo cambia qualche cosa nel progetto di riforma dell’Europa che il presidente francese persegue?
A prima vista esiste un atteggiamento anti-europeo a parte del governo italiano. Ma sinceramente penso sia solo una dimostrazione di forza e un esercizio di stile da parte del ministro dell’interno Matteo Salvini. Credo che quest’atteggiamento non corrisponda ai desideri del governo e del popolo italiano. Detto ciò, dobbiamo cambiare l’Europa. Se siamo arrivati a questo punto, in Italia e in altri paesi, è dovuto alla costruzione dell’Europa tecnocratica che oggi non funziona più.
E quindi, che cosa si dovrebbe fare?
Ritengo che l’Europa che abbiamo costruito sia stata fondata su un “non detto”. Se prendiamo la dichiarazione di Robert Schuman (ndr, dichiarazione del 1950 all’origine della Ceca e del processo di integrazione europea), tutta la prima parte della dichiarazione riguarda la pace in Europa. Soltanto l’ultimo paragrafo parla dell’Europa economica e liberale. Ci siamo concentrati soltanto su quest’ultimo paragrafo economico. Dobbiamo ripensare l’Europa e riappropriarcene. Per esempio, non possiamo dire agli italiani di occuparsi da soli dei migranti che arrivano a Lampedusa e poi domandare severamente il rispetto dei vincoli fiscali. È indecente!
La Libia sembra essere il pomo della discordia tra la Francia e l’Italia. L’Italia sostiene il capo del governo di unione nazionale Fayez al-Sarraj, sostenuto anche dalle Nazioni Unite, mentre la Francia sostiene il generale Khalifa Haftar (con Egitto e Emirati Arabi Uniti).
Per cominciare bisogna dire che quello che è accaduto e accade in Libia è responsabilità che risale a Nicolas Sarkozy. L’intervento armato fu un errore. Il prossimo summit tra Francia e Italia dovrebbe essere il momento per discutere della situazione caotica in Libia, dei malintesi tra di noi e dei disaccordi. La situazione è delicata. Il paese è ormai uno spazio non regolamentato dalla legge e la porta dell’immigrazione verso l’Italia e l’Europa.
Nella prospettiva delle prossime elezioni europee, quale sarà il ruolo di En Marche? Il leader dei liberali europei, l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, ha detto recentemente che formerà un movimento assieme a En Marche! per le elezioni europee di maggio 2019, un movimento che sarà lanciato in ottobre. Come si posizionerà il vostro partito alle prossime elezioni europee?
In primo luogo, dobbiamo dire che la Francia e il presidente Macron avevano proposto la creazione di liste transnazionali per le elezioni al Parlamento europeo. Se è vero che il Parlamento ha una legittimità in quanto eletto, i suoi gruppi parlamentari non hanno necessariamente una legittimità politica. Non hanno un programma comune. Sono partiti nazionali con un loro programma nazionale che lavorano assieme al Parlamento europeo. Le liste transnazionali potevano migliorare questa mancanza di legittimità. Il Parlamento europeo, tuttavia, ha rifiutato quest’idea. Quindi si parte da liste nazionali.
L’idea di En Marche! è quella di riunire l’insieme dei progressisti, che vogliono continuare con il processo di integrazione europea. Per riformare l’Europa. Quindi presenteremo una lista “larga” di apertura politica.
Politicamente Lei ha un passato nel Parti Socialiste. Quali saranno le relazioni con i socialisti al Parlamento europeo?
Credo che cambierà la configurazione del prossimo Parlamento europeo. Non ci sarà più l’attuale equilibrio tra socialisti e popolari. Oggi ci sono due blocchi: i progressisti favorevoli all’Europa, di cui ho parlato, e quelli contro l’Europa. Aggiungo che l’alleanza tra i progressisti filo-europei non sarà facile: vi saranno persone che, pur condividendo la medesima idea di Europa, proverranno da culture politiche differenti, da destra e da sinistra.
L’Italia è spesso considerata un laboratorio politico per gli altri paesi europei. E come abbiamo visto, l’ultima creazione è il populismo al governo di uno dei paesi fondatori. Esiste un rischio di contagio verso altri paesi? E la Francia teme questo contagio?
No, al momento non lo temiamo. Tuttavia bisogna fare attenzione perché è vero che l’Italia ha spesso anticipato dei fenomeni politici. E in Francia abbiamo due partiti populisti: a sinistra La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, a destra il Rassemblement National di Marine Le Pen. In futuro, non possiamo più escludere che non vi sia un’alleanza tra i due partiti. Non sarebbe qualcosa di diverso dall’accordo tra M5S e Lega.
Penso comunque che, nonostante il calo di popolarità del presidente della repubblica, alle prossime elezioni europee avremo un buon risultato di En Marche. E grazie a quest’apertura politica che abbiamo messo in essere con l’idea di una lista “larga”. Inoltre se guardiamo ai partiti tradizionali, questi sono in difficoltà. La posizione sull’Europa de Les Républicains (ndr, il partito di Nicolas Sarkozy e François Fillon, ora guidato da Laurent Wauquiez) non è proprio coerente. E il Parti Socialiste è ormai impercettibile.
Aggiungo infine che i sondaggi ci dicono che i simpatizzanti di En Marche! si sentono più coinvolti dalle prossime elezioni europee rispetto ai simpatizzanti di altri partiti. E quindi si mobiliteranno più facilmente. E voteranno.
Non pensa che il presidente Macron rischia lo stesso fato di Matteo Renzi: l’apertura di troppe battaglie politiche che non ha saputo poi vincere?
Il nostro gruppo parlamentare è stato eletto per cambiare le cose. Sappiamo che vi sono sempre delle resistenze e dei conflitti ai cambiamenti. Non penso tuttavia che il presidente della repubblica corra il rischio di fare la fine di Matteo Renzi. La situazione politica non è la stessa: Emmanuel Macron ha una maggioranza forte che gli garantisce di restare al potere fino alla fine del proprio mandato.
Inoltre non è nel dna del movimento En marche! l’organizzazione di fronde contro il presidente della repubblica. Ci sono ovviamente delle discussioni tra di noi ma la maggioranza non rischia di sfasciarsi. Prendiamo un esempio. Lunedì scorso il nostro gruppo all’Assemblée nationale ha votato per scegliere il prossimo presidente dell’assemblea (ndr, dopo le dimissioni del ministro alla transizione ecologica, Nicolas Hulot, e la nomina alla carica ministeriale di François de Rugy, fino a quel momento presidente dell’Assemblée nationale). Anche se c’erano delle voci discordanti, Richard Ferrand (ndr, ex deputato PS e fino a qualche giorno fa capogruppo di En Marche!), una delle figure storiche del movimento, è stato eletto facilmente al primo turno.

ll presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, riceve a Montecitorio il presidente dell’Assemblea nazionale francese, François de Rugy, 30 luglio 2018
Se dovesse spiegare il movimento En Marche! agli italiani, che cosa direbbe?
All’inizio En Marche! ha la stessa origine del M5S. Condividiamo l’idea che non si possa più continuare con la vecchia politica. E che bisogna creare qualcosa di diverso perché le regole che oggi reggono la Francia, come l’Italia, sono ancora quelle decise nel secondo dopoguerra. Dopo quel momento, non abbiamo più cambiato le regole: i partiti di sinistra avevano delle idee, quelli di destra le loro. I singoli partiti non avevano un’idea globale di cambiamento. En Marche! invece ha cercato di mettere assieme tutti coloro che pensano che si debba discutere per trovare delle soluzioni ai problemi della Francia.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!