Paolo Poli, multiforme genio

Una mostra negli spazi del Teatro Valle sui 64 anni di carriera teatrale dell’artista scomparso nel 2016. Un percorso scandito da oggetti, video, bozzetti, scenografie.
ANGELICA FEI BARBERINI
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Non solo una mostra per chi Paolo Poli (1929-2016) l’ha seguito e amato nel tempo, ma un’occasione, forse unica, per conoscere il genio e la storia di uno degli attori più grandi del Novecento, così difficile da raccontare a coloro che non hanno avuto l’opportunità di vederlo in scena.

Si tratta infatti di una mostra-album, curata dal critico teatrale Rodolfo di Giammarco e dal compositore Andrea Farri, nipote di Poli, nella quale calarsi dal vivo e che consente di sfogliare le pagine di vita di Paolo Poli attraverso quaranta monitor allestiti nei palchi e in platea, uno per ogni spettacolo che ha realizzato (dal 1950 al 2014), in una polifonia di suoni e immagini che restituisce in pieno le tante sfaccettature di questo artista.

Sostando davanti a ogni monitor si può ascoltare in cuffia la voce di Paolo Poli, si possono ammirare le fotografie, i video, i bozzetti di scene di Eugenio Guglielminetti, Aldo Buti, Lele Luzzati; i bozzetti dei costumi di Santuzza Calì, Anna Anni, Danda Ortona, le locandine e i poster. Le scenografie realizzate da Lele Luzzati (da La leggenda di San Gregorio e Caterina de Medici) sono collocate sul palcoscenico, mentre i costumi di Santuzza Calì sono sparsi per tutto il teatro.

È una mostra che riempie e anima il teatro Valle come un vero spettacolo: non c’è nulla della fissità che si può ritrovare, talvolta, nelle mostre di costume. Nel foyer si possono leggere su un video wall i 568 appellativi con cui la stampa, nell’arco di più di mezzo secolo, ha descritto Poli, da “acrobatico” a “zitellesco”, tutt’ora a rappresentare le facce multiformi del suo essere artista. Perché Paolo Poli, eclettico, aristocratico e dissacratore – “amante del kitsch elegante” ha scritto Francesco Sala – era davvero inafferrabile.

Personalmente, il problema di come descriverlo mi si è presentato per la prima volta verso la metà degli anni Novanta, quando ancora frequentavo le elementari. In quel periodo mio padre, Vito Molinari e Paolo Poli lavoravano a un programma radiofonico che si intitolava “Quant’è bella la vecchiezza”. Il titolo lo ricordo perché fecero cantare la sigla di testa a me e mio fratello. Noi però non eravamo andati in RAI a registrare, la trasmissione non l’avevo sentita, Paolo Poli non l’avevo ancora incontrato. L’avrei conosciuto una sera che siamo andati a cena tutti insieme, la mia famiglia e lui, dopo che avevano finito di lavorare. Ovviamente, nessuno se l’è più scordato.

Eravamo seduti ai tavoli all’aperto di una trattoria del centro con questo signore magro che parlava di cose difficili gesticolando, le sue risatine come pastelli colorati che lanciasse in aria. Sembrava un bambino più furbo di me. D’un tratto, quel signore in camicia ha smesso di parlare di arte antica con mia madre, ed è diventato King Kong. Probabilmente per coinvolgere mio fratello, che a cinque anni aveva degli interessi ancora limitati, ha iniziato a raccontare e interpretare tutti i personaggi del film. E poco dopo, era come se nella piazzetta ci fosse solo lui, perché anche le persone dei tavoli accanto smisero di parlare e si misero tutte a guardare lo spettacolo di King Kong che scalava un grattacielo in Giappone. C’era solo lui e c’era mio fratello, la bocca spalancata, che lo fissava attonito, come davanti a un giocattolo gigante.

Così ho conosciuto Paolo Poli, e così ho capito che quel signore con il papillon – che sapeva fare la voce delle fate e dei mostri cattivi, sempre gentile e spesso dispettoso – mi avrebbe creato problemi di catalogazione. Forse, mi dissi anni dopo, chi più di tutti è riuscita a trovare le parole giuste per dire qualcosa su di lui è stata Natalia Ginzburg:

Fra i suoi molteplici volti nascosti, c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza.

Io, che non sapevo come raccontarlo, decisi che la cosa migliore che potessi fare fosse condividere la scoperta di questo personaggio meraviglioso con quante più persone possibili. Eravamo una piccola carovana che ogni anno lo andava a vedere: parenti, amici, amici di amici. Qualche volta ci tornavo da sola con il mio fidanzato, e Paolo Poli mi prendeva in giro: diceva che non lo cambiavo abbastanza spesso.

Per questo, anche, è importante la bella mostra al Valle: perché non è commemorativa o celebrativa, ma è spettacolo vero. E così, visitandola, possiamo ricordare Paolo Poli senza immalinconirci, e al tempo stesso continuare a far conoscere il suo teatro.

PAOLO POLI è …    
Mostra multimediale su Paolo Poli
giovedì, venerdì, sabato dalle ore 17.00 alle ore 20.00
domenica dalle ore 11.00 alle ore 18.00
dal 20 settembre al 4 novembre 2018
via del Teatro Valle, 21 Roma

ingresso libero

Paolo Poli, multiforme genio ultima modifica: 2018-09-21T12:52:32+02:00 da ANGELICA FEI BARBERINI
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