Giudecca è ancora un’isola. Non lo sarebbe più da tempo se fosse andato a buon fine il progetto di un imprenditore della parrocchia dei Gesuati alle Zattere, Gaspare Biondetti, che prevedeva nel 1837, in alternativa al progetto poi realizzato nel 1846, un ponte da Fusina a San Giorgio in Alga e da qui a Sacca San Biagio in Giudecca, per poi proseguire “attraverso le ortaglie” fino alla spianata di San Giorgio Maggiore, adatta per insediarvi la stazione di testa della futura ferrovia Milano-Venezia, proprio dirimpetto a Piazza San Marco.
Ma Giudecca è – fortunatamente – rimasta un’isola, legata al porto, quel porto che fece grande Venezia per la sua capacità di collegamento di merci e di civiltà con tutti i mari del mondo fino a quando fu collegato anche al mondo terrestre raggiungendo così l’intera Europa.
Di quel porto è vissuta a lungo la grande famiglia giudecchina, nel contorno delle mille attività portuali che chiedevano lavoro umano diffuso nel percorso di carico/scarico delle merci. Per la verità qualche altro spazio la Giudecca lo concesse al mondo industriale, affrancandosi dalla presenza austriaca e affacciandosi al secolo ventesimo, a partire da antiche attività artigianali e da una importante struttura carceraria: poi arrivarono nell’isola un mulino, cantieri moderni, una fabbrica metalmeccanica, una birreria, uno studio cinematografico, e ancora più vicini all’oggi, atelier e gallerie con una struttura espositiva divenuta riferimento della cultura della fotografia attivata nel monumento architettonico liberty dei Tre Oci.
Un’isola a lungo marginale la Giudecca rispetto alla ricchezza dei vicini sei sestieri, con i suoi cantori della grama vita quotidiana, ma fiera di questa in una visione politica condensata nella certezza dell’uguaglianza sociale degli uomini.
Ora nel duemila l’isola è tale solo per la geologia e va infatti perdendo alcuni connotati autonomi, aprendosi però ogni giorno al mondo piuttosto che alla altra riva del grande canale portuale e acquistando autonomia culturale di dibattito e di proposta.
In questo percorso opera un centro di cultura locale che ha saputo affermarsi nell’antica sede di una sezione di partito, mantenendo vivo un prodotto culturale di base, rivolto ai toni minori dei concorsi annuali di poesia e di pittura, ma capace di cogliere i grandi temi della storia contemporanea in diverse riprese, che culminano in sette giorni di incontri e dibattiti alla fine di settembre.
Il circolo di cultura che vi è nato ricorda Renato Nardi, giovane “compagno” vittima negli anni ottanta di un incidente stradale, ma nello stesso esalta la figura del politico dedicato alla sua realtà locale e conferma nel dinamico e maturo protagonista Luigi Giordani un ruolo che ora sembra sparito: l’organizzatore dal basso del pensiero di un popolo, che opera nel quotidiano con il contatto diretto nelle strade e nelle piazze – qui calli e fondamente – piuttosto che nell’immaginario degli affollati “social” digitali.
da La Nuova Venezia

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