Chi ricorda oggi le condizioni preliminari e gli sviluppi del boom economico 1950-1962, in quegli anni doveva essere pressappoco adolescente; ma certamente anche gli allora bambini hanno ben chiare nella memoria le réclame dei manifesti visti per strada, o affissi agli ingressi dei cinema, o li ricordano animati nei Caroselli in televisione (quando finalmente è sbarcata anche in Italia). Fanno parte della terza delle mostre – dopo “La Belle Époque” e “Tra le due guerre” – del programma ternario “Illustri Persuasioni” che Marta Mazza, direttrice del Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso ha ideato e organizzato, avviandolo sedici mesi fa.
Aperta fino al 17 marzo, s’intitola “Verso il boom 1950-1962” e sciorina immagini di poster realizzati dopo il penoso immediato dopoguerra (durante il quale non di rado era ancora problematico trovare nei negozi il puro fabbisogno), cioè appena i produttori di beni di consumo – poco importa di qual genere – hanno sentito l’opportunità di pubblicizzarli. La seconda data nel titolo corrisponde al fine-vita del collezionista, il trevigiano Nando Salce (1878-1962), che aveva raccolto quasi 25.000 tra manifesti, locandine e cartoni sagomati, definiti “teatrini”, lasciandone erede lo stato. Un patrimonio ora all’incirca raddoppiato grazie ad acquisizioni successive (i lettori sappiano che le donazioni al Museo di materiale pubblicitario e pubblicazioni sull’argomento sono molto gradite).
Proprietà dello stato, dunque, e ciò spiega non solo perché il Salce sia “Museo Nazionale”, ma soprattutto come mai, dopo l’acquisizione, per istituirlo si siano aspettati ben cinquantacinque anni – dovuti ovviamente alla proverbiale lentezza delle iniziative statali – essendo inoltre l’unico di questa specialità in Italia, uno dei rarissimi in altre nazioni e tra i più completi.
Nettamente contrastante, da questa parte dell’Atlantico, è l’essenzialità ironica, assurda, divertente, studiata per la medesima Coca Cola dal francese Herbert Leupin.
I nostri cartellonisti, frattanto, puntano al sodo: Erberto Carboni per la pasta all’uovo Barilla, l’olio d’oliva Bertolli, la polverina solubile “Ecco” per una bevanda “che batte il tempo”.
E un suo collega, Armando Testa, di una ventina d’anni più giovane, non esita a richiamare le crudeltà imposte agli animali da macello, inserendo l’immagine della carne inscatolata nel mezzo della silhouette del bovino che appare diviso in due, come mutilato dalla scatoletta (oggi prevale la tendenza a mostrare la soddisfazione di un attore famoso, che comunque per l’animale non cambia le carte in tavola). In questa sala si vede l’opera nell’insieme di altri prodotti, tra i quali alcuni particolari della sua serie per il Carpano, consistente nello sviluppo in un ciclo di manifesti su singoli prodotti.

Scorcio centrale della sala Dudovich. “Con Simmenthal è tutta carne scelta!” di Armando Testa, 1959.
E prima di passare alla seconda sezione, è il caso di segnalare l’innovazione pubblicitaria dei cartoni illustrati, rilegati per poterli ripiegare e conservare chiusi a libro, facilmente apribile per formare dei “teatrini”.
È una novità l’idea della curatrice di una “mostra nella mostra”, distribuita nelle tre sale, che comprende otto manifesti realizzati appositamente quest’anno da uno degli illustratori più autorevoli del panorama nazionale, il quarantaquattrenne piemontese Riccardo Guasco, attivissimo creatore di composizioni graficamente attraenti sul tema della sostenibilità ambientale, proposte nel quadro del “Treviso Comic Book Festival”. Qui sviluppa un dialogo assai coinvolgente con il linguaggio dell’illustrazione pubblicitaria nel dopoguerra.
Esempio tipico il “Punt e a capo, manifesti sostenibili 100% bio”, che riproduce nella forma – riconoscendone in pari tempo il meritorio valore grafico – il celebre cartellone di Armando Testa (1960) per il “vermuth” (scritto così nei manifesti) Carpano, con sfera (il Punt) e semisfera (il Mes, che in piemontese significa “mezzo”) rosse. Virandone i toni in una scala di verdi e grigi, ha creato una profondità spaziale inesistente nel modello, con una scena in cui si vede, in piedi sulla mezza sfera, rigogliosamente verde, un attacchino che sta incollando sul “punto intero”, diventato un mappamondo grigio, un foglio verde su cui traspaiono l’Africa settentrionale e i paesi del Mediterraneo, verosimilmente per alludere all’attuale situazione problematica.

Lo storico “Punt e mes” di Armando Testa, il “Punt e a capo” di Riccardo Guasco, e due altri poster di Guasco contro l’uso della plastica non deperibile e la crudeltà contro gli animali nei laboratori.
Nella sezione della Sala Grignani che segue, intitolata “Nuovi strumenti, nuove opportunità”, le serialità si ripetono per Cinzano soda, Lambretta, Lux (“il sapone di 9 stelle su 10” cui, negli studi Lintas – Lever International Advertising Service – donde escono, ovunque siano situati, s’imprimono sorrisi di genuina marca USA), e Persil, Omo, Binaca, Pirelli, Chlorodont anticarie (per i sei manifesti di questa impresa Franco Grignani inseriva attrici fotografate da Elio Luxardo, che stringono tra i denti qualcosa di sodo e immangiabile: Isa Barzizza un elenco telefonico, Lea Padovani una collana di perle…).
Tuttavia, tra tutti si distinguono i sei manifesti per il “vermuth Punt e Mes” di Carpano, dove Armando Testa fa diventare un Re la bottiglia, trasformandone il collo nel volto con tanto di barba e baffoni, con il tappo rosso nella base della corona, e decorando il mantello con disegni tratti dalle etichette. Nel ’49 lo fa brindare con un altro se stesso, e nel ’54 lo pone sul trono con in mano uno scettro fatto di due bottiglie contrapposte e lo mette alla guida della prima Fiat – con la fatidica bottiglia poggiata sul radiatore – e nel ’56, per il ciclo dei suoi “Brindisi storici”, gli fa fare cin-cin con un “collega re”, Umberto I, e poi con Cavour, Napoleone, Giuseppe Verdi. Con i primi tre di profilo, pancione contro pancione, e con il quarto di fronte: sorridono, ma non brindano.
Altre aziende, come Olivetti, hanno preferito distribuire gli incarichi tra più autori. Qui sotto vediamo (da sinistra) le realizzazioni di Giovanni Pintori, Marcello Nizzoli, altre tre di Pintori e l’ultima di Raymond Savignac. Delle macchine da scrivere essi traducono simbolicamente in immagini le doti di velocità, precisione, flessibilità, praticità, leggerezza (in fondo a destra, per la Olivetti lettera).
Nella Sala Carboni, al piano inferiore, un unico geniale stampato orizzontale pubblicizza le polverine “Idriz”, il cui motto, “Idrizzate l’acqua!”, che imperversava a metà anni Cinquanta, è apposto, appunto, sotto una fila di sei bottiglie, in ognuna delle quali è illustrata una fase della preparazione. È firmato dagli olandesi Bob Noorda e Leen Averink. Il primo, nel 1952, attratto dal fermento culturale e industriale che rendeva l’Italia “una delle nazioni più promettenti per progettisti nordeuropei e svizzeri”, si trasferì venticinquenne a Milano, e lì divenne uno dei principali innovatori della grafica italiana. L’altro vive tuttora a Parigi, dopo un trentennio trascorso a Milano in sodalizio con Noorda.
Trentatré sono gli autori presenti, in parte già visti nelle edizioni precedenti – Boccasile, Carboni, Dudovich, Grignani, Munari, Nizzoli – undici dei quali stranieri (cechi, francesi, svizzeri, olandesi, ucraini, americani).
In chiusura un’immagine per il settimanale OGGI che, con un lungimirante sguardo perforante, interpreta le politiche che dovrebbero guidare ogni organo di stampa.
Chiaramente impostato ed esauriente è il catalogo di Silvana Editoriale, con prefazione di Daniele Ferrara, direttore del Polo Museale del Veneto, e testi di Marta Mazza, Alberto Cibin, Roberta Rizzato e Serena Franzon.
Signor Salce. Un collezionista di manifesti è il titolo di uno dei libri pubblicati alcuni anni fa da Toni Basso, amatissimo autore di studi sulla sua Treviso, che rattrista poter citare a pochi giorni dalla sua scomparsa.

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