Di quale squadra possiamo far parte? Di quella di Domenico Lucano, il sindaco di Riace che ha affrontato un grave problema sociale di enorme attualità, l’integrazione della popolazione straniera in un contesto italiano, da un punto di vista umano? O della squadra di Salvini, che in modo più o meno strumentale vede la questione da un punto di vista legale?
Mi viene di pensare ad Antigone che di questa materia è un gigante al femminile, cioè due giganti, vista l’epoca in cui il femminile era esistenza subalterna, qualità di altre funzioni. Antigone, nata dall’unione di Edipo e di Giocasta, era figlia dell’incesto tra un figlio e la madre, ma non per questo incapace di pensare, di essere soggetto anche se negato, di essere esistenza. La fanciulla è coinvolta suo malgrado in una vicenda terribile: Eteocle e Polinice, i suoi due fratelli, si sono uccisi l’un l’altro, essendo il primo, Eteocle, difensore della città di Tebe e il secondo, Polinice, un suo nemico e aggressore.
Creonte, il re di Tebe, depositario del principio supremo della città, dell’ente che guida e legittima l’azione degli uomini, decreta che il corpo di Polinice non debba essere sepolto per il delitto commesso contro Tebe, che sia privato della sua appartenenza e condannato per sempre a vagare nel nulla, come tutti coloro che hanno agito contro il bene della città e sono perciò usciti dalla comunità territoriale. È la grave condanna di chi non ha difeso la patria: vagare per sempre nel non territorio, che non è il nulla ma la negazione dell’essere, della sua stessa esistenza.
Antigone però crede nella legge che non è stata scritta e seppellisce il fratello perché gli dei hanno stabilito che gli uomini debbano trovare sepoltura, perché la sepoltura è una questione che qualifica l’essenza dell’umano, perché la terra è il ricettacolo che conclude un percorso, la dimensione finale dell’accoglienza: è una condizione dell’equilibro cosmico ed è perciò giusta e necessaria. Ma Antigone compie un’azione che contrasta con la legge e il potere la condanna. Viene sepolta viva e muore trascinando Tebe nella tragedia. Emone, lo sposo promesso, si suicida e con lui la madre Euridice, che non vuole sopravvivere al figlio.
Creonte, la legge, non può non prendere atto della rovina in cui viene trascinata Tebe, e prende ugualmente atto di quanto la legge possa determinare. Tebe è condannata non dai nemici, ma da scelte legate a una questione di potere e non della convivenza che impongono le circostanze, per quanto drammatiche. È il modo con cui Sofocle chiede agli uomini di decidere, ma soprattutto di evitare che avvenga il peggio, perché nelle vicende umane e della città, la legge fondamentale è quella degli dei, ed è una legge che non suppone vincitori.
Domandarsi se Domenico Lucano, cioè se un sindaco, un soggetto dello Stato, sia dalla parte del giusto o dell’errore, non può essere questione che si risolve schierandosi con una o con l’altra squadra. È un problema molto simile a quello dell’acqua alta a Venezia che non si risolve con gli stivali, che però permettono la convivenza con l’acqua che cresce. Il fenomeno migratorio non ha soluzioni, fa parte della ricerca degli uomini di una migliore condizione di vita, un passaggio che è alla base del progresso e della civiltà. L’accadimento di cui è protagonista il sindaco di Riace appartiene alla gestione del quotidiano ed è di proporzioni che hanno a che vedere per un verso con la giustizia e per l’altro con la legge, che sono due cose che divergono, come testimonia l’antico mito rappresentato da Antigone.
Domenico Lucano agisce pensando alla giustizia e la magistratura interviene perché la legge in qualche modo lo richiede o lo permette. E noi ovviamente siamo d’accordo con Lucano, perché cerchiamo la giustizia e crediamo che le azioni debbano essere guidate dal senso di giustizia. Ma Domenico Lucano è agli arresti mentre noi andiamo liberamente per le strade a manifestare. Lui rimane nella limitatezza della restrizione, noi ci esaltiamo nella purezza della partecipazione, che si risolve però con il suo sacrificio e con la semplice e umana solidarietà. Ma è sufficiente per assicurare la vittoria della giustizia? Qua e là bandiere senza memoria condannano, senza però fare chiarezza tra il senso della giustizia e quello della legge.
Credo che la lezione di Riace debba farci capire qual è il baratro che è stato scavato tra legalità e giustizia e quanto possa essere pericoloso, oggi, agire in nome del senso comune che ci spinge a cercare le ragioni che ci accomunano nella grande e affascinante vicenda della vita e non in quelle che ci annullano in un conflitto che non potrà mai avere vincitori. Ed è bene che nella ricerca si decida di non delegare il proprio destino ad altri e di fare buona guardia per evitare che demagoghi e mestatori possano ostentare un’indecorosa verginità e un’innocenza che nulla hanno a che vedere con un recente passato che sicuramente non ha lavorato per affermare la giustizia.

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