Il Brasile svolta pericolosamente a destra

Jair Bolsonaro largamente in testa al primo turno delle elezioni presidenziali. E l’ex capitano dell'esercito che loda la tortura e incensa il passato regime dei militari sembra essere ad un passo dalla vittoria. Che cosa accadrà al ballottaggio?
CLAUDIO MADRICARDO
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Domenica 28 ottobre si vedrà se il Brasile, come da sempre è accaduto dal ritorno della democrazia, assegnerà la vittoria al ballottaggio al candidato che ha ottenuto più voti al primo turno, confermando alla presidenza l’ex capitano Jair Bolsonaro. Se la tradizione fosse confermata, il più grande e ricco paese del Sud America sancirebbe l’irruzione nella scena politica del continente dell’estrema destra, che è la prima novità che proviene dal risultato del primo turno, in cui Bolsonaro, candidato del Partido social liberal (Psl) cui aveva aderito solo lo scorso marzo, ha sfiorato la vittoria per un soffio fermandosi al 46,1 per cento dei suffragi.

La seconda novità riguarda la perdita secca d’influenza da parte del Partido dos Trabalhadores (Pt), che hai tempi gloriosi di Lula da Silva, condannato a scontare dodici anni di galera a Curitiba per una faccenda di corruzione, aveva vinto rispettivamente in diciotto stati nel 2010, in quindici nel 2014, per ridursi a resistere solo in nove col voto di domenica scorsa.

Il risultato è stato che il sud e sud-est del paese, zone tradizionalmente più ricche dove vive il cinquantotto per cento degli elettori, hanno premiato Bolsonaro, il quale stravince in Mato Grosso e riesce persino a conquistare lo stato di Minas Gerais, roccaforte dell’ex mediocre presidenta Dilma Rousseff, che viene esclusa da un seggio in senato, dove arriva addirittura quarta.

Solo il più povero Nordeste sembra arrestare l’irresistibile ascesa dell’ex capitano, e si consegna a Fernando Haddad, che il Pt ha messo all’ultimo momento al posto di Lula. Mentre lo stato di Ceará, nella parte nordorientale del paese, va in dote a Ciro Gomes che ne è stato governatore, altro esponente nobile dell’armata con cui la sinistra si è presentata in ordine sparso all’appuntamento elettorale. E porta a casa al primo turno un 12,5 per cento.

Jair Bolsonaro

Prima del suo ritiro i sondaggi davano a Lula un 35 per cento e contenevano Jair Bolsonaro al 22, e lasciavano intravedere un possibile ballottaggio tra i due da cui l’ex presidente era dato vincitore. Ora, i risultati reali del 2 ottobre certificano l’effetto tsunami del candidato di destra, il quale, nella sua onda di piena, trascina con sé le forze di centro e arriva a un passo dalla vittoria.

Per raggiungere questo risultato, Bolsonaro ha imbastito una campagna basata sull’odio, il razzismo e l’omofobia su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro. E su cui in tutto il paese è scattato il campanello di allarme per le conseguenze possibili. Largamente ispirata ai peggiori esempi di populismo planetario, dopo l’accoltellamento subito in un comizio, Jair si è dovuto giocoforza sottrarre al confronto diretto con i suoi contendenti, mandando i suoi messaggi attraverso la rete.

Ciò, secondo molti commentatori, l’ha fatto apparire diverso dagli altri candidati e alla fine l’avrebbe pure favorito, in un paese che ha affrontato la campagna travolto dai temi della corruzione, dell’aumento della criminalità, e delle minacce che provengono dall’economia, con un ex presidente in galera per corruzione, cocciutamente deciso a difendere la sua innocenza e a non voler chiedere sconti di pena, del che gliene va dato atto. Con una classe politica, identificata soprattutto col Pt, che in larga parte è accusata di malversazioni e privilegi, che la gente vuole mandare a casa.

Di fronte a questo risultato, è lecito domandarsi se la fotografia che il paese ha consegnato col primo turno, sarebbe stata uguale se l’ex presidente Lula, il cui fascino descamisado esercita ancora il suo peso, avesse potuto correre. Di certo a Fernando Haddad, docente universitario e ex sindaco di San Paolo, poco conosciuto a livello paese e poco carismatico, va dato atto di aver saputo realizzare un mezzo miracolo, sobbarcandosi l’eredità pesante di Inácio Lula da Silva, e spostando il suo gradimento dall’iniziale 8 per cento, al quale era stimato, al 29,1 del primo turno.

Se forse è vero che a Lula il paese e soprattutto il suo elettorato avrebbero potuto perdonare gli errori e le ruberie commessi in questi anni dal Pt, in parte anche per nostalgia di un periodo felice di grande sviluppo e progresso che l’ex metalmeccanico, grazie ai prezzi alti delle materie prime, era riuscito a realizzare, così non è stato per il suo successore Haddad.

E una volta smorzato il richiamo esercitato dalla vicenda umana e politica di Lula, identificato ancor oggi come paladino degli esclusi, non esente da sfumature populiste e barricadiere nell’approccio con i suoi sostenitori, il Brasile, orfano del sogno che bene o male egli aveva saputo fargli vivere, si è alla fine in gran parte consegnato all’apprendista stregone Jair Bolsonaro. Portatore di semplici ricette in tema di macelleria sociale ed economica, che potrebbero immergere presto il Brasile nell’atmosfera pesante dell’incubo.

Bolsonaro segna una novità per l’America Latina e nel resto del mondo si va ad affiancare ai vari Trump, Duterte, Modi, Salvini, Orban, confermando una tendenza già in atto che presto farà sentire le sue conseguenze sugli altri paesi del continente. Così, se il presidente Sebastián Piñera dichiara dalla Spagna di sentirsi lusingato per le ricette alla Chicago boys che Bolsonaro vuole mutuare dal Cile, ma prende le distanze da tutto quanto di più indigeribile egli sostiene sul resto, dall’Uruguay Pepe Mujica, che pur dimessosi da senatore rappresenta ancora la coscienza critica del continente, lancia un accorato allarme sulla pericolosità di quanto sta accadendo per tutta la regione. 

Fernando Haddad e Dilma Rousseff

Mentre l’attuale vice presidente uruguayana e moglie di Mujica, Lucía Topolansky, si spinge fino a riconoscere che “esiste una tendenza conservatrice nella regione, ma questo (del Brasile, ndr.) è quasi un ritorno alla dittatura”, da parte sua Maduro evita di riferirsi direttamente a quanto sta accadendo ma chiama a reagire contro lo sbocciare del fascismo in America Latina. E altri scelgono per il momento il silenzio di fronte a un’affermazione elettorale che in buona parte si spiega con il desiderio dei brasiliani di farla finita con i ladri, perfino al costo di sorvolare sugli aspetti più razzisti e omofobici che Bolsonaro ha sparso, come letale veleno nelle coscienze dei brasiliani, per tutta la durata della campagna.   

Ora, è pur vero che il suo vantaggio elettorale è grande, ma in linea teorica non è irreversibile. Certo è che gli basterebbe portarsi a casa quel 4,7 per cento del Partido de la social democracia (Psdb), tradizionale rivale del Pt, che è uscito con le ossa rotte da queste elezioni, e per lui sarebbe fatta.

Una delle cose che potrebbero in ciò favorirlo, sarebbe poi la frammentazione del voto sui dieci candidati che hanno corso al primo turno, qualcuno dei quali potrebbe far confluire i propri magri suffragi su Bolsonaro, in cambio di qualche trattamento di favore nella squadra del prossimo governo. Se questo è ipotizzabile possa succedere a destra, per quanto riguarda la sinistra e il destino di Fernando Haddad pare scontato che il 12,5 per cento raccolto da Ciro Gomez andrà a ingrossare il suo bottino, portandolo a una percentuale vicina al quaranta per cento. Buona ma ancora assai lontana dalla maggioranza necessaria.

In quest’ottica diventa cruciale nella partita che si giocherà il 28 ottobre la posizione di quanti al primo turno non hanno votato Bolsonaro, e che potrebbero essere o meno disposti a farlo al ballottaggio. Sarebbe quindi questa la vera posta in gioco, non tanto i voti avuti dagli altri schieramenti di destra, tutto sommato trascurabili, a tal punto che alcuni osservatori, soprattutto a sinistra, sostengono che egli abbia già fatto il pieno dei voti. Ne consegue che per Fernando Haddad la strada è tutta in salita, ed è facile prevedere che la partita potrebbe giocarsi al fotofinish.

Tanto più che ora Bolsonaro dovrà pur uscire allo scoperto e confrontarsi con il suo diretto avversario, e quindi dovrà scendere concretamente in campi in cui potrebbe non trovarsi a proprio agio. Ma se per un momento dalle fredde percentuali passiamo ai numeri, scopriamo che domenica scorsa ha raccolto più di quarantanove milioni di voti, superando di ben diciotto le preferenze andate a Haddad.

Sono cifre che fanno oggettivamente paura, che consentono all’ex capitano, tutto tranne che una faccia nuova della politica brasiliana dal momento che è in parlamento dal ’91, di presentarsi come una novità, un misto di reazionario per quanto riguarda i diritti della persona e di liberale in economia. E non sarà certo un caso se dietro di lui si sono schierati i potentati economici del paese, guidati dai grossi gruppi editoriali che hanno orchestrato la campagna contro Lula, benedetti dalle chiese evangeliche, che non vedono l’ora di partecipare al banchetto delle liberizzazioni che il candidato promette sul fronte economico.

Fernando Haddad con Lula

Così, l’impegno di mettere fine alla corruzione e alle ruberie che hanno decretato la condanna inappellabile dei governi del passato pare aver buon gioco sulle minacce palesi di voler calpestare i diritti, anche delle donne. Proprio a questo riguardo, infatti, se all’inizio della campagna la misoginia di Bolsonaro spingeva il 49 per cento dell’elettorato femminile a dire che mai lo avrebbe votato, con l’andar del tempo questa percentuale si è indebolita, mentre il gradimento delle donne per il candidato si è addirittura raddoppiato.

Un altro segnale, semmai fosse necessario, che il Brasile, nel voler cambiare pagina e mettere fine alla situazione in cui l’ha cacciato il Pt, vuole ancora una volta affidarsi a un imbonitore. A cui è riuscito il difficile gioco di prestigio grazie al quale appare diverso dagli altri, e non come un appartenente a quella stessa casta che il paese vorrebbe punire.

Se questa è la narrazione che per lo più corre su di lui, risulterà comprensibile come in Brasile ci sia chi è convinto che solo un attacco portato alla sua persona che ne mini in qualche misura l’immagine morale potrebbe condurlo alla sconfitta.

Ed è notizia di ieri che la procura brasiliana ha aperto un’indagine su Paulo Guedes, suo consigliere e soprattutto suo prossimo ministro dell’industria, per sospetti di frode fatta in fondi pensione d’imprese statali. Sembrerebbe l’ennesimo episodio di una campagna elettorale condotta senza esclusione di colpi dalla quale la magistratura brasiliana non sempre si è mantenuta estranea. Con quali conseguenze sul voto del 28 ottobre, al momento è troppo presto per dirlo.

Per l’intanto in un sondaggio divulgato oggi da Datafolha, Bolsonaro ottiene il 58 per cento delle preferenze con un vantaggio di 16 punti su Haddad, stimato al 42 per cento.  Il sondaggio conferma la crescita di Bolsonaro che in tutte le simulazioni fatte prima del primo turno era in pareggio con Haddad. Mentre centinaia di persone sono scese in piazza a San Paolo mercoledì in difesa della democrazia e contro la dittatura, e i partiti si mobilitano per chiedere il voto al candidato della sinistra.

Il Brasile svolta pericolosamente a destra ultima modifica: 2018-10-11T20:01:48+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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