La risposta all’arresto di Mimmo Lucano, sindaco di Riace, è stata straordinaria. In tutta Italia si sono registrate iniziative, mobilitazioni, prese di posizione. Sabato 6 ottobre in più di cinquemila, sfidando distanza e maltempo, hanno invaso il piccolo borgo della locride per manifestare la loro solidarietà al sindaco e alla comunità che ha fatto di Riace un esempio citato in tutto il mondo. Il giorno dopo, alla marcia Perugia Assisi, Riace e Lucano erano protagonisti assoluti degli striscioni, dei cartelli, degli slogan e anche dei discorsi finali. Personalità della cultura, dello spettacolo, della politica (non solo italiana, basti pensare alla sindaca di Barcellona Ada Colau) hanno espresso il loro sostegno a un progetto e a una persona che avevano avuto modo di conoscere direttamente.
Già questo è da considerare un miracolo e spiega molto di quanto sta avvenendo attorno al comune calabrese e al suo sindaco.
Affacciato sul mare Jonio nella provincia di Reggio Calabria, poco più di duemila abitanti, Riace aveva subìto nella seconda metà del secolo scorso la sorte comune di tanti paesi dell’entroterra calabrese: il duplice abbandono dell’emigrazione e del trasferimento lungo la statale 106 che costeggia il mare.
Il centro storico si è via via pressoché svuotato, le case abbandonate, gli esercizi chiusi, i servizi a singhiozzo e sempre più carenti.
La prima volta che l’opinione pubblica internazionale sente parlare di Riace risale al 1972, quando due magnifici guerrieri in bronzo, oggi esposti al Museo nazionale di Reggio Calabria, furono ritrovati al largo della sua costa.
La seconda è a seguito di uno straordinario esperimento di accoglienza e integrazione che il piccolo comune calabrese ha cominciato ad avviare alla fine degli anni novanta, quando lo stesso specchio di mare che aveva regalato all’Italia i suoi bronzi più celebri vede approdare circa duecento persone in fuga dalla guerra.
È il primo luglio del 1998 quando un’imbarcazione carica di curdi fa naufragio sulla spiaggia di Riace e Mimmo Lucano, allora semplice cittadino e insegnante, insieme ad altri suoi compaesani si dà da fare per offrire loro i primi soccorsi e garantirne l’accoglienza.
Sono passati vent’anni. È stato il mondo, con le sue terribili contraddizioni, ad andare incontro a Riace e a indicare la strada a Mimmo Lucano e ai suoi compagni. Le case abbandonate del centro storico diventano presto un rifugio, e successivamente recuperate, luogo d’accoglienza. Oggi circa un quarto degli abitanti del piccolo comune calabrese sono immigrati, si sono riaperti esercizi commerciali e botteghe artigiane, rimessi in piedi servizi, creato lavoro e rimessa in moto una comunità più giovane e portatrice di tante storie e culture diverse. Riace è diventata meta di un turismo solidale e sostenibile, e punto di riferimento in tutto il mondo per le sue pratiche di accoglienza.
È sull’onda di questi successi che Mimmo Lucano ne diventa sindaco, la prima volta nel 2004, venendo riconfermato nel 2009 e ancora una volta nel 2014. Wim Wenders, nel 2010, dedica a Riace e alla sua esperienza un cortometraggio che fa il giro del mondo. Nel 2016 la rivista statunitense Fortune inserisce Mimmo Lucano, il sindaco, tra le cinquanta personalità, unico italiano, più influenti a livello globale.
Quella di Riace e di Lucano non è una storia nata a tavolino, come lui stesso ripete spesso, non è un esperimento sociale e amministrativo pianificato, nasce nella e dalla emergenza, dalla necessità di dare risposta alle persone, spesso donne e bambini in fuga, che il destino ha portato lì e che a quel posto poi si sono affezionate. Non un semplice luogo di transito, né un posto dove accogliere soggetti passivi e ignari del proprio destino, ma una comunità in cui sperimentare e progettare insieme una convivenza possibile, un futuro diverso, occasioni nuove sia per chi è accolto che per chi accoglie, entrambi da protagonisti, partecipi delle scelte e delle decisioni. Ecco la bellezza e la difficoltà della sfida di Riace.
Una sfida a tutte le burocrazie e a tutti i luoghi comuni, per di più vinta in uno dei luoghi più difficili e aspri per presenza mafiosa. Solo così si capisce il calvario che è toccato a Riace e a Lucano negli ultimi anni. Il successo e la fortuna di quell’esperienza, il loro essere continuamente sotto i riflettori ha messo in moto anche coloro i quali, per ragioni diverse, non condividevano o osteggiavano direttamente quell’esperienza. Se l’immigrazione non è più solo fonte di allarme e paure, proliferare di ghetti e disagi, ma invece possibile occasione di cambiamento e sviluppo per comunità altrimenti abbandonate a se stesse e condannate a un lento ma inesorabile declino, la narrazione su quel fenomeno e le fortune elettorali costruite su di essa rischiano di indebolirsi.
Se il modello Riace funziona, lo Sprar, l’accoglienza diffusa nei piccoli e medi comuni italiani può essere un’alternativa di gran lunga meno costosa e di più facile gestione dei grandi centri (Cpt, Cara ecc.) spesso inumani e investiti da scandali d’ogni sorta che rappresentano, con la loro stessa esistenza, una ferita e una contraddizione sociale sempre aperta, su cui continuare a soffiare e utile per alimentare le paure. Di qui i ritardati pagamenti, le verifiche burocratiche, gli ostacoli disseminati sempre più spesso lungo il percorso. E se Riace e il suo sindaco studiano i modi per superare quelle difficoltà e quelle resistenze, quei modi diventano sospetti e addirittura possibili capi di imputazione.
La diaria per i migranti (i famigerati 35 euro) arrivano con mesi di ritardo e il comune, per le sue dimensioni e casse, non è in grado di farvi fronte? Allora ci s’inventa una sorta di moneta locale, di voucher che i migranti possono spendere negli esercizi del luogo per nutrirsi, per le proprie necessità quando ne hanno effettivo bisogno e il comune, una volta giunte le risorse destinate per legge, rifonde i commercianti. Un circolo virtuoso per spezzare il circolo vizioso dei ritardi, delle incertezze, della paura, della burocrazia. Ma non previsto, e quindi sospetto. Il centro storico si ripopola e allora si promuovono cooperative sociali miste di cittadini riacesi e migranti per la raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti, utilizzando gli asini, gli unici in grado di passare per gli stretti vicoli del borgo, e anche questo viene visto con sospetto. E la stessa dedizione del sindaco per la causa degli ultimi diventa l’occasione per insinuare il dubbio: cosa ci guadagna?
Lo farà certamente per interesse personale. Le accuse più gravi avanzate dalla Procura di Locri sono già cadute all’esame del Gip, che le ha addirittura considerate inesistenti, ma restano in piedi quella di favoreggiamento d’immigrazione clandestina per aver suggerito un matrimonio tra un’immigrata e un cittadino italiano, e di affidamento fraudolento (perché diretto, come del resto possibile dalle norme sul terzo settore per cifre tra l’altro assai modeste) di lavori alle due cooperative sociali locali, e noi speriamo, anzi siamo certi, che anche queste cadranno alla prova dei fatti. Anche per questo la custodia cautelare nei confronti di Mimmo Lucano è apparso subito come un provvedimento sproporzionato e non necessario, tanto da suscitare la solidarietà e la mobilitazione che abbiamo avuto modo di vedere.
Ecco perché su Riace si gioca una partita che va ben oltre i confini di quel piccolo comune e dei suoi coraggiosi protagonisti: riguarda la possibilità di restare umani, di fare fronte al problema – perché certamente è un problema – delle migrazioni con razionalità, visione di lungo periodo, umanità, così come ci suggeriscono la Costituzione e tutti i trattati internazionali di cui il nostro Paese è stato non solo sottoscrittore, ma in tanti casi sostenitore attivo. E si gioca anche una partita tra una politica fatta di paure, minacce, urla e fake news diffuse dai social e una politica fatta di prossimità, solidarietà, condivisione e ricerca comune delle risposte, delle soluzioni possibili e più giuste.

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