Su Potere al popolo esordivo il mio articolo il 17 gennaio
Poco sappiamo, davvero, di Viola Carofalo capo politico di Potere al popolo, ma quel che sappiamo ci piace.
Ora, prima di qualsiasi notazione ulteriore, devo fare autocritica. Non sarei Nikolaj Bucharin, altrimenti.
Il processo politico di Potere al popolo interrotto definitivamente in queste ore era risultato intrigante più di ogni altra cosa per la discreta presenza di giovani che aveva coinvolto, per parole d’ordine semplici e controcorrente, per un programma politico poco “populista” ad esempio in tema di garanzie democratiche e carcere. Erano state svolte in tutte le circoscrizioni d’Italia assemblee sul programma e sulle candidature, non sul nome della lista e del capo politico, che avevano offerto uno spaccato di processi decisionali effettivamente democratici. E di quel piccolo miracolo si erano accorti anche un pezzo di classe dirigente e di mondo della cultura che aveva firmato e sostenuto l’appello al voto prime firme Citto Maselli, Francesca Fornario, Moni Ovadia.
Il risultato del voto è stato il primo tornante per Potere al popolo. Il dato non lusinghiero è stato venduto dal nucleo d’acciaio alla testa della sigla politica come un buon risultato: era particolarmente straniante vedere la dichiarazione felice di Viola Carofalo a La7 nella notte elettorale con la chiosa finale “e ora beviamo!” con la conseguente battuta caustica di Mentana.
Chi credeva nel progetto, però, poteva derubricare l’assenza di riflessione sul voto come una reazione emotiva a un sistema di media oggettivamente non favorevole. La parola d’ordine avrebbe potuto diventare rilanciamo il mutualismo, attività che Rifondazione comunista, il centro sociale napoletano ex Opg praticano e sostengono con molte associazioni. La ripartenza di Potere al popolo avrebbe, dunque, potuto essere un volano e un punto di aggregazione di tante reti e, finanche, di soggettività sparse senza abbandonare il terreno della rappresentanza politica, ma facendo altro.
Se non che è emersa un’idea semplicistica ma ultramoderna: le finte dicotomie nuovo/vecchio, burocrazia/base, mediazione/purezza. Il gruppo dirigente dell’ex Opg – con in testa Viola Carofalo e Saso Prinzi – spalleggiati dal gruppo intorno a Giorgio Cremaschi hanno pensato che la vecchia struttura di partito, per quanto piccolo e malconcio, fosse un ostacolo alla crescita del progetto di Potere al popolo e ha lavorato non solo per umiliare il gruppo dirigente di partito, ma per marginalizzarne la base.
Strumento fondamentale, e unico di comunicazione, è stato il sito e il profilo Facebook gestito esclusivamente e gelosamente dal gruppo del centro sociale napoletano. In questa ottica vanno lette tutte le dichiarazioni pubbliche dei due leader Carofalo/Cremaschi, i quali nel frattempo hanno trovato un buon megafono sia nelle tv del gruppo Cairo che nei giornali del gruppo De Benedetti, dichiarazioni volte autonominarsi come
nuova sinistra, in assoluta e totale discontinuità con qualsiasi esperienza della sinistra precedente
e nel sostenere l’assoluta bontà dell’astensione elettorale prima di Potere al popolo. Argomento politico, finanche, comico se sostenuto da un settantenne ex massimo dirigente Fiom/Cgil per quanto abile oratore televisivo.
Le prime avvisaglie dell’affondo si sono avute alle elezioni amministrative in cui Carofalo dichiarava che avrebbe votato solo le liste di Potere al popolo, implicitamente bocciando tutte le liste e le coalizioni civiche delle “Città in comune” che rappresentano alternative programmatiche di sinistra antiliberista. Liste di discreto successo, ad esempio a Pisa, colpevoli, tuttavia, di non essere nuove, cioè di avere un bagaglio di esperienze politiche differenti da un centro sociale di Napoli e di aver preso più voti di Potere al Popolo.
Alla narrazione esterna dal campeggio nazionale di Marina di Massa è corrisposta un’accelerazione organizzativistica: si è cominciato a scrivere “partito politico” sul profilo Facebook, poi si è fatto girare ad arte uno statuto “apocrifo” che rendeva incompatible l’adesione a un partito e a Potere al popolo. Infine si è costruito uno scontro all’arma bianca sullo statuto. Statuto indigeribile per tutti i militanti di un partito classico perché mosso dalla logica ipermaggioritaria e in cui i territori non contano in nome di una disintermediazione tra base della piattaforma informatica e i due capi eletti da questa.
Nel frattempo uscivano da Potere al popolo due minuscoli partiti comunisti: quello di Diliberto (Pci) e di Turigliatto (Sinistra anticapitalista). Per metterci una pezza Rifondazione comunista, intestardita, giustamente, a evitare di sfasciare tutto, proponeva emendamenti allo statuto e poi, essendo questi impediti, uno statuto alternativo che otteneva il consenso di un buon novero di indipendenti: Marina Boscaino fondatrice dell’associazione Per la Scuola della Repubblica, l’esperto gramsciano Guido Liguori, prestigiosi aderenti al Partito della sinistra europea come Roberto Musacchio.
Le cose, infine, precipitavano: tutti gli estensori del secondo statuto ritiravano la proposta e chiedevano di disertare la consultazione. Il gruppo intorno a Carofalo e Cremaschi votava lo statuto che otteneva 3332 voti a favore su una platea di 9100 iscritti alla piattaforma. Sipario anche su Potere al Popolo, con il corollario di scemenza di qualche dirigente rifondarolo che canta vittoria per gli oltre seimila che non hanno approvato lo statuto, e l’ex Opg che canta vittoria per l’approvazione di uno statuto da un terzo degli aderenti.
Ora quest’area politica si lecca le ferite in attesa di De Magistris che è in ottimi rapporti con Rifondazione, nelle persone della eurodeputata Forenza e del segretario Acerbo, e con l’ex Opg al quale lui ha concesso e garantito lo spazio sociale. Un’altra storia, un altro percorso per una lista europea alle cui riunioni partecipano sia Carofalo che Acerbo con molti altri, tra cui Sinistra italiana e molti centri sociali che con Potere al popolo non hanno voluto avere a che fare.

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4 commenti
Rifondazione Comunista non ha “cantato vittoria” perché non è affatto contenta di come sono andate le cose. Nessuno di noi ha brindato. Il PRC ha solo messo in evidenza che i sostenitori del primo statuto hanno perso lo scontro che hanno voluto.
Non c’è da esultare in nessuna maniera; i soliti giochetti di potere di cui alla gente non importa niente. e abbiamo la lega al potere che qualcuno, anche a sinistra, crede che sia di sinistra. Da iscritto al pci faccio una precisazione: il segretario del “piccolo” partito è alboresi. Diliberto è da mò che è sparito.
teniamo duro e manteniamoci lucidi e razionali, i tempi non aiutano ma non abbiamo scorciatoie, i percorsi politici sono diversi, le identità confuse, anche se motivate, si resiste all’onda nera solo con l’unità.
Può faticosamente nascere qualcosa solo se ci si sbarazza dei “liderini” che parlano sempre di unità e praticano il contrario per rimanere a galla con l’acqua quasi prosciugata. Su Cremaschi è bene stendere un velo pietoso ma la Garofalo si è montata la testa e nei fatti si è iscritta a questo sottoceto politico. Segue Cremaschi per opportunismo, è contenta come una Pasqua che la chiamano in Televisione (sempre e solo lei) dove smozzica semplici giudizi come una casalinga (senza offesa per queste) senza approfondire nessun contenuto. Credo, non durerà molto.
Ora bisognerà stare attenti a De Magistris che quanto a presunzione ed individualità non scherza, ma credo non ci siano alternative grazie a Bertinotti ed al suo ministro senza portafoglio. Sarebbe giusto cominciare a pensare al dopo voto per cercare di non far sparire i comunisti .