Si sfarina quel che resta dei socialisti francesi

L’agonia del partito che fu di Mitterrand sembra non finire. Tra la vendita della sede storica e una scissione a sinistra, la sua sopravvivenza è legata a un filo sempre più sottile
MARCO MICHIELI
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[PARIGI]

Il trasloco dall’hotel particulier di rue de Solférino è forse il simbolo più evidente della crisi del Parti socialiste (Ps). Venerdì 12 ottobre il partito che fu di François Mitterrand ha definitivamente chiuso i battenti della prestigiosa sede a pochi passi dal Musée d’Orsay. Destinazione Ivry-sur-Seine, in Val-de-Marne, nella petite couronne parigina, fuori dal périphérique che separa la banlieue dalla città di Parigi. In breve la periferia (e ultimo bastione del Parti communiste français, Pcf).

“Per ritrovare le radici popolari”, aveva dichiarato Olivier Faure, segretario del Ps. La nuova sede sarà più piccola e meno cara, un’antica fabbrica riadattata per ospitare degli studi di artisti e di startuppers. E avrà meno personale. Perché abbandonare rue de Solférino ha comportato anche molti licenziamenti, in quello che molti consideravano il “paradiso socialista”: fino al 2017 i salari di chi lavorava nella sede del Ps erano più che buoni, ottime condizioni di lavoro e molti vantaggi sociali. Oggi di cento impiegati che lavoravano per il Ps ne rimangono solo quarantadue. Licenziamenti di cui i dipendenti hanno preso conoscenza tramite i giornali. E questi tagli riguardano anche le sedi regionali e locali del Ps.

Un partito allo sbando finanziariamente e frammentato in numerose correnti che Olivier Faure fatica a tenere assieme in vista delle elezioni europee del 2019. Che potrebbero essere il de profundis del Ps, visto che i sondaggi lo accreditano attorno al 6 per cento.

Olivier Faure (foto Mathieu Delmestre per il Ps)

Come si fa a tenere assieme un partito senza leader e diviso su temi come l’Europa e l’immigrazione? Per ora Faure non ci riesce.

Manca una figura di riferimento che possa guidare il partito nella campagna elettorale. I pesi massimi se ne sono andati. Chi con La République en marche (Lrem) di Emmanuel Macron (Manuel Valls, Jean-Yves Le Drian, Gérard Collomb, Christophe Castaner e Richard Ferrand). Chi per una strada tutta personale, guardando a sinistra, come l’ex candidato alle presidenziali Benoît Hamon con il suo nuovo partito Génération.s. Chi a sinistra, come Emmanuel Maurel, il leader della minoranza di sinistra del Ps, che ha deciso di seguire gli Insoumis di Jean-Luc Mélenchon.

E in assenza di altro, per il Ps è meglio ripiegare sula passato che conforta. L’unica infatti che pare raccogliere l’unanimità tra le correnti del Ps come capolista sembra essere Ségolène Royal, che ha fatto però sapere di non essere interessata. E quello di Royal è solo l’ennesimo rifiuto: nessuno vuole mettere la faccia su una sconfitta. E forse è anche il motivo per il quale molti chiedono a Faure di guidare la lista socialista: anche se il partito è ormai al tramonto, i tentativi di far fuori i segretari non cessano mai. Per Faure, un ripensamento di Ségolène Royal potrebbe salvargli il posto. E questo sguardo al passato riguarda anche il “futuro” di François Hollande, la cui ambizione di ripresentarsi alle elezioni presidenziali nel 2022 non è stata oggetto di alcuna posizione ufficiale del partito.

Ma è sui temi che il primo segretario c’ha messo del suo nel complicare le cose.

Qualche giorno fa Faure ha presentato il programma nazionale per le elezioni europee. Un programma che sposta nettamente il partito a sinistra e soprattutto su posizioni euro-tiepide, molto lontane dal discorso politico socialista recente: l’Unione europea viene oggi definita come il “braccio armato della globalizzazione neoliberista”. Una delle ragioni per le quali Pierre Moscovici, socialista e attuale commissario europeo agli affari economici e finanziari, ha detto no all’ipotesi di essere capolista: troppo lontano da una linea politica che, ha fatto sapere, lo costringerà probabilmente a votare un altro partito (leggi Macron).

Tentativi socialisti per mantenere la sinistra interna nel partito e scimiottare Mélenchon, che domina lo spazio politico a sinistra della Lrem. Una mossa però che non è servita a molto. Pochi giorni dopo, Emmanuel Maurel, deputato europeo e leader della minoranza di sinistra del PS, e la senatrice Marie-Noëlle Lienemann, figura storica della sinistra socialista, hanno abbandonato il partito per avvicinarsi a Mélenchon. E molti, pare, li seguiranno. Perché per Marie-Noëlle Lienemann:

[…] il Ps si incammina verso una morte lenta. Non vuole trarre alcuna lezione dal quinquennato di François Hollande né prendere atto del divorzio col popolo della sinistra. È nella fase di negazione. Questo partito ha voltato le spalle al socialismo storico, al socialismo di Jean Jaurès. È diventato un partito di accompagnamento e non di trasformazione […] la linea del segretario ‘né Macron, né Mélenchon’ non porta a nulla.

Più duro ancora Emmanuel Maurel, secondo il quale i socialisti:

[…] non hanno smesso di piegarsi alle posizioni della socialdemocrazia europea che ha fallito […] non sopporto che i principali dirigenti del Ps accreditino la tesi delle ‘due sinistre irreconciliabili’, né che conducano politiche che non migliorano le condizioni di vita materiale e morale delle persone che avrebbero dovuto rappresentare […] non solo non hanno tratto lezioni dal quinquennato disastroso di François Hollande, ma alcuni continuano a rifugiarsi nella negazione, fino a considerare nel suo carnefice un potenziale salvatore.

Dopo decenni passati a resistere a ogni contestazione della linea europeista del partito – imposta da Mitterrand – i socialisti francesi sembrano avere adottato una posizione più ambigua. Perché oggi in Francia essere pro-Europa significa sostenere Emmanuel Macron.

Ségolène Royal

Lo ha ben capito quello che ormai è la figura centrale della sinistra francese: Jean-Luc Mélenchon. Non c’è foglia che si muova che lui non voglia e comincia ad attirare classe dirigente dai socialisti, dopo aver divorato quella del Pcf. È Mélenchon che ha offerto a Emmanuel Maurel e a Marie-Noëlle Lienemann la possibilità di finire nella lista de La France Insoumise (Lfi) per le prossime elezioni europee. Che saranno secondo il leader de La France Insoumise un “référendum anti-Macron” e un’opposizione totale al suo progetto europeista. Missione che necessita di tutti gli alleati possibili ed è in quest’ottica che si deve guardare al recente apprezzamento di Jean-Luc Mélenchon per il governo M5s-Lega. Ai quali ha assicurato il proprio sostegno nella sfida che hanno lanciato a Bruxelles con la nuova legge di stabilità:

Non spetta alla Commissione europea di decidere quello che è un buon bilancio. L’Italia ha tutti i suoi diritti.

Anche sul tema dell’immigrazione il Ps è agli spasmi, tra posizioni securitarie e pro-immigrazione. E le diverse posizioni non dialogano, nonostante il tentativo di Olivier Faure di unire il partito attorno alla critica ai populismi di destra e di sinistra:

La nostra cultura non è quella della passione che porta all’impulso. La nostra cultura, a sinistra, è la ragione. La nostra cultura è la tutela della nostra sovranità e il rifiuto del sovranismo. La nostra cultura è quella dell’internazionalismo. La nostra cultura non è quella di mettere il popolo contro le élite […] se avessimo seguito il populismo non avremmo abolito la pena di morte o realizzato il matrimonio omosessuale o l’accoglienza dei migranti.

Sull’immigrazione si assiste quindi a un vero e proprio mutamento del Ps, alla disperata ricerca di riannodare i fili con l’elettorato. E in questo caso poco contano le differenze tra destra e sinistra del partito. Martine Aubry, l’ex ministro delle trentacinque ore e sindaco di Lille, ha recentemente dichiarato che:

Abbiamo bisogno di più poliziotti e di Crs (un corpo della police nationale francese con funzioni antisommossa e di protezione civile, ndr). Non che io sia una fan assoluta del Crs ovunque, ma in alcuni casi sì. Penso alle torri di Lille-Sud che sono occupate da spacciatori. È impensabile che in una città ci siano dei luoghi dove gli assistenti sociali o i medici non possono mettere piede, dove amici, parenti, famiglie che vivono lì non possono tornare. Non siamo più in una Repubblica, è così.

Termini non molto diversi da quelli usati dal dimissionario ministro dell’interno, Gérard Collomb, socialista “macroniano” ed ex sindaco di Lione:

Il termine di riconquista repubblicana ha davvero senso in alcuni quartieri. Perché, sì, oggi è la legge del più forte che si impone, quella dei narcotrafficanti, degli islamisti radicali, che hanno preso il posto della République.

Mosche bianche in un partito più propenso a rispondere agli atti criminali con politiche sociali piuttosto che securitarie. Un complesso socialista sulla sicurezza e sull’immigrazione che però mette in difficoltà il partito. E che, a sinistra, Mélenchon sfrutta, riposizionando il proprio partito. L’adesione dell’eurodeputato socialista Emmanuel Maurel a Lfi è legata anche alla nuova posizione del partito sul tema. Qualche tempo fa, infatti, in un noto discorso a Marsiglia, il leader de La France Insoumise aveva dichiarato:

Sì ci sono delle ondate migratorie. Sì, possono porre numerosi problemi ai paesi di accoglienza. Pongono numerosi problemi quando alcuni se ne servono per fare del profitto sulle spalle dei più sfortunati […] Se voi leggete Jean Jaurès e i teorici del socialismo, questi hanno sempre detto che ‘voi vi servite dell’immigrazione per abbassare i costi dei salari; ve ne servite per lottare contro le conquiste sociali’.

Jean-Luc Mélenchon

E gli Insoumis non cessano di ripetere che si debba, da un lato, combattere le cause dell’immigrazione e, dall’altro, difendere il diritto dei migranti di vivere e lavorare nel loro paese. E risuona l’eco delle parole che Georges Marchais, storico leader del Pcf, aveva pronunciato nel 1981:

Bisogna fermare l’immigrazione ufficiale e quella clandestina. È inammissibile di lasciare entrare nuovi lavoratori immigrati in Francia, mentre il nostro paese conta due milioni di disoccupati francesi e immigrati.

E alle parole sono seguiti gli atti. Tra le fortissime polemiche a sinistra di militanti e opinionisti, Mélenchon si è rifiutato di firmare il “Manifesto per l’accoglienza dei migranti” pubblicato da Mediapart, Regards e Politis (e firmato da Thomas Piketty, Christiane Taubira, Benoît Hamon, tra gli altri).

Una posizione quella di Mélenchon sui migranti che ha infastidito molti a sinistra. Tanto che il leader degli Insoumis ha dovuto intervenire per sconfessare pubblicamente Djordje Kuzmanovic, uno dei propri portavoce, che in un’intervista a Le Nouvel Observateur aveva difeso la linea “patriota” del partito di sinistra:

Sulla questione migratoria, in particolare, la buona coscienza della sinistra ostacola la riflessione concreta sui modi per rallentare e mettere fine ai flussi migratori che rischiano di accentuarsi ancor più in seguito alla catastrofe climatica. Piuttosto di ripetere ingenuamente che bisogna accogliere tutti, si tratta di fronteggiare le politiche ultra liberiste, cosa che la socialdemocrazia ha rinunciato a fare.

Sembra lontana l’equazione sinistra/pro-immigrazione, destra/anti-immigrazione: le carte si mescolano e le posizioni dei partiti pure. Se Europa e immigrazione stanno diventando opportunità (e terreno di scontro) per i populisti di sinistra, sono sicuramente temi esiziali per i partiti socialdemocratici e socialisti, senza leader e in guerra tra bande.

 

P.S.: in queste ore sono in corso delle perquisizioni nella sede nazionale de La France Insoumise e nell’abitazione di Mélenchon da parte dell’Ufficio centrale per la lotta alla corruzione, nell’ambito di due inchieste preliminari della Procura di Parigi. La prima riguarda presunti impieghi fittizi di assistenti parlamentari europei; la seconda riguarda i bilanci della campagna elettorale per le presidenziali di Mélenchon, inchiesta avviata su segnalazione della Commissione nazionale di controllo sui bilanci delle campagne e i finanziamenti politici.

Si sfarina quel che resta dei socialisti francesi ultima modifica: 2018-10-16T23:35:34+02:00 da MARCO MICHIELI
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