Pensioni e… donne

MARIA LUISA SEMI
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Pensioni, argomento di oggi e non solo.

Secondo me molta chiarezza non se n’è mai vista: di vecchiaia, di anzianità, contributive, private, integrative.

Anni Settanta: esisteva una baby pensione, per cui persone – purtroppo donne – alla fresca età di quarant’anni, riscattando magari anni di laurea, lasciavano il lavoro e si dedicavano ad altro.

Vi erano anche importanti aziende che per integrare la normale pensione che sarebbe stata erogata dall’Inps istituivano pensioni integrative, per cui il dipendente, spesso un dirigente, alla fine del ciclo normale lavorativo godeva di due pensioni.

Piccolo inciso: la Cassa nazionale del notariato – legge istitutiva risalente al 1913! – porta il limite del pensionamento a 75 anni, senza tener conto della reale aspettativa di vita. Non male; il giorno del compleanno deposito degli atti all’Archivio notarile, consegna del sigillo e… fine.

Tuttavia vigeva e vige tuttora il principio della mutualità, per cui il notaio che negli anni, con una notevole mole di lavoro e conseguente versamento di altrettanto notevoli somme alla Cassa, gode di una pensione identica al collega che ha, nel tempo, stipulato un atto all’anno. 

Ma, e qui vengo all’argomento, mai si faceva e si fa una qualsiasi differenza fra notaio uomo e notaio donna. Soltanto persone e quindi professionisti (nonché pubblici ufficiali). Da sempre invece, nel normale pensionamento, le donne hanno il “privilegio” di poter abbandonare l’attività lavorativa in linea di massima due anni prima dei colleghi uomini.

Perché?, qualcuno si chiederebbe. Ma la situazione è ormai talmente fissata nel tempo, che nessuno batte ciglio.

Vi sono, è vero, i cosiddetti lavori usuranti – ma questo vale per le donne come per gli uomini – che fisicamente e mentalmente logorano le persone. Non so quanti ancora lavorino nelle miniere, ma mi rendo conto che gli eventuali minatori, o altro, non possono reggere fino ai settant’anni.

Un tempo – fino ai “decreti delegati” di un certo ministro Malfatti – gli insegnanti venivano pensionati appunto ai settant’anni, poi a sessantacinque, per cui a giugno un professore o maestro poteva scoprire che a settembre non sarebbe potuto ritornare alla propria scuola.

Ma ancora, le donne: perché? Formalmente si scriveva che erano più fragili, che il lavoro, di qualsiasi genere, le logorava. Poi, senza pudori, vennero le motivazioni: esistevano i nonni, i suoceri da accudire, i nipotini da accompagnare a scuola e insomma una serie di attività che inevitabilmente dovevano essere riservate alle donne.

Ritengo tale mentalità non soltanto maschilista, ma anche immorale. 

Se una signora lavora in un qualsiasi ufficio, pubblico o privato, si logora esattamente come il collega maschio. Non solo: abbandonare un’attività che può anche piacere e che comunque offre possibilità di avanzamento, non sembra gradevole.

E poi: è più usurante lavorare in un’azienda o nel settore pubblico, con mansioni forse gratificanti, e con la possibilità di socializzare con colleghi e amici, o starsene in casa, cambiando pure pannoloni a parenti anziani, andando al supermercato e ritornando col peso di sporte, tenere a bada responsabilmente nipotini propri o altrui, senza veri riconoscimenti, se non quello di una pensione? Sei una donna, quindi tocca a te.

Pensare che tutte queste, e altre attività casalinghe, possano essere svolte dal marito, dal compagno, dal fratello sembra una follia.

Nella realtà quanto lavoro una donna, ancora valida fisicamente, possa svolgere in casa è molto, ma molto più usurante di una attività lavorativa esterna.

Purtroppo si pensa, e si è sempre pensato – anche se lo si nega oggi – che la donna che lavora fuori delle mura domestiche ha in realtà due aziende da organizzare: casa e lavoro esterno. E quindi liberiamo le povere donne da qualcosa: naturalmente dal lavoro esterno.

È sempre stato così, non è una novità, ma si va al peggio, ora. Leggo che una donna di cinquantotto anni può serenamente pensionarsi: ci rendiamo conto che a tale età una “femmina” ha ancora la possibilità di viaggiare, di fare sport, anche di trovarsi un “moroso”?

Già, con l’allungamento medio della vita il pensionamento, anche maschile, a sessantadue anni, mi sembra assurdo; si sostiene che in tal modo si fa spazio ai giovani. Sarà…

Credo che ritenere sbagliato il pensionamento a sessantadue anni mi possa attirare le ire di molti, anche perché – e qui rincaro la dose – in fondo il lavorare, ovviamente non quello usurante, non piace. Ma differenziare le donne secondo me è sempre stato ingiusto. Anzi, a dire il vero, offensivo.

Pensioni e… donne ultima modifica: 2018-10-18T16:29:03+02:00 da MARIA LUISA SEMI
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