Quando i bambini molisani erano “venduti” per miseria

I "piccoli disgraziati sanniti”, una pagina della storia italiana che non va dimenticata
NICOLINO PAOLINO
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Era il 12 settembre 1885. Con un lungo articolo il Corriere della Sera toccava un argomento verso il quale le élite dell’epoca erano particolarmente sensibili: il ruolo e l’immagine dell’Italia a pochi anni dall’unificazione. L’articolo riguardava il Molise, oggetto di una lettera inviata alla Rassegna da Raffaele De Cesare intitolata “La morale dell’esposizione di Anversa” e in cui scriveva del

disgustoso spettacolo che dappertutto all’estero, e anche nell’Olanda e nel Belgio, offrono quei poveri sciagurati fanciulli che vanno attorno rompendo gli orecchi e le tasche al pubblico col canto delle canzonette e col suono di qualche organetto.

Si svolgeva in quell’anno ad Anversa l’Esposizione universale, che con gli oltre quattro milioni di visitatori previsti era una vera manna per chi viveva di accattonaggio. Le esposizioni erano il luogo in cui mostrare i progressi scientifici ed economici delle nazioni. Gli emigranti girovaghi erano lo spettacolo più visibile che l’Italia dava di sé nelle principali città del mondo, vanificando buona parte della retorica nazionalista. Riprendendo la lettera alla Rassegna il Corriere prosegue:

È nel Belgio, che è il paese più ricco d’Europa, e in Olanda, che dopo l’Inghilterra è il paese più commerciale del vecchio mondo, che si sarebbe continuato a giudicare l’Italia e gli italiani dallo spettacolo degradante che danno in quei paesi tribù intere di piccoli pezzenti, maschi e femmine che nelle birrerie e nei trattori affollatissimi suonano l’organetto, e che interrogati dagli astanti e da noi stessi di qual paese fossero, vi rispondono: “di Roma”. E invece sono nativi del Molise, di quella derelitta provincia di Campobasso, che dà il maggior contingente alla peggiore emigrazione, che vive di accattonaggio o peggio.
I soli poveri che io abbia incontrato in due mesi circa di dimora nel Belgio, sono stati questi piccoli e disgraziati sanniti, prigionieri di avidi mercanti, ai quali furono venduti da genitori disumani, e la cui vita è una pagina di pianto e di vergogna. Ne ho incontrati a Ostenda sulla diga, a Bruxelles, a Gand, a Liegi e in ogni grande città del Belgio; ne ho incontrati a Rotterdam, a Amsterdam, all’Aja e sulla spiaggia di Scheveningen, dappertutto noti come “i piccoli italiani” o “i piccoli romani”.

In realtà i girovaghi italiani (arpisti lucani, zampognari e suonatori molisani e ciociari, birbanti chiavarini, espositori di animali, commedianti e commercianti di inchiostro dalle province di Genova, La Spezia, Parma e Piacenza, figurinai lucchesi) erano un mondo molto variegato che si distribuiva lungo tutto l’Appennino. Una cosa però li accomunava: provenivano tutti da quel mondo contadino in cui il “disagio di vivere”, così come descritto in un bellissimo libro di Costantino Felice, li spingeva costantemente a individuare forme integrative del reddito con lavori che venivano definiti, alternativamente, produttivi o improduttivi secondo la morale del lavoro dell’epoca.

Già prima dell’Unità d’Italia, emigrando clandestinamente, i suonatori di zampogne e ciaramelle avevano raggiunto dapprima i medi e grandi centri urbani italiani per poi andare all’estero. C’era una moltitudine di bambini che mendicavano al suono dei loro strumenti per le strade di Londra, Parigi, New York e in tante altre città dove chiedevano l’elemosina ed erano spesso soggetti a maltrattamenti. Notizie di questo tipo erano riportate con enfasi dalla stampa e vanificavano gli sforzi del governo italiano tesi a migliorare la percezione del nuovo stato.

Parigi, Esposizione universale, 1867

Nel solo 1867, a Parigi, in occasione dell’Esposizione universale, furono individuati 1500 bambini e 150 padroni. La maggior parte di essi proveniva da San Biagio Saracinisco, comune nelle immediate vicinanze di Filignano. Avevano con sé i propri figli e ragazzi che venivano “ceduti” dalle famiglie a incettatori che battevano campagne e paesi alla ricerca delle famiglie più povere. Spesso si trattava di madri vedove che di fronte alle estreme difficoltà si vedevano costrette ad affidare i loro figli a personaggi sui quali non avrebbero avuto più alcun controllo. Si stilava un contratto in cui erano descritti gli obblighi dei “padroni” e dei ragazzi con tanto di penali. Veniva specificato l’impegno a non maltrattare i minori e i compensi che venivano riconosciuti alla famiglia.

Avere una o due bocche in meno da sfamare per una madre allo stremo era un grande risultato economico a un costo umano e sociale altissimo. Una volta partiti, non vi era alcuna possibilità di controllo. Dopo lo scandalo parigino, sei anni dopo, fu approvata una legge che vietava l’utilizzo di minori in professioni girovaghe. Non era una legge a difesa e a garanzia del lavoro dei ragazzi, che continuavano a lavorare negli opifici, nelle solfatare o nei campi, ma un provvedimento che mirava semplicemente a stroncare il “turpe commercio”. Ed è proprio grazie a questa legge e ai processi che si celebrarono presso il Tribunale di Isernia che è possibile vedere dall’interno l’emigrazione immorale” che avveniva nel Molise.

Expo 1885, Anversa

Geograficamente, tutta la vicenda era circoscritta alla valle del Volturno, un vero e proprio bacino di reclutamento dei bambini, con epicentro i comuni di Filignano e Castellone.

Un’altra emigrazione di altra natura, quasi sempre clandestina, è quella che si avvera in alcuni paesi dei Mandamenti di Venafro e di Castellone che mandano i loro contingenti di uomini e fanciulli che esercitano professioni girovaghe ed anche di suonatori ambulanti. Due casi di contravvenzione sonosi nel semestre ora decorso verificati a carico di genitori contravventori alla legge che vieta l’impiego di fanciulli minori di 18 anni in professioni girovaghe, ed a carico di coloro che li avevano per l’oggetto assunti al loro servizio, ed i relativi provvedimenti penali trovansi in corso.

Così si esprimeva il sottoprefetto di Isernia nel 1877, quattro anni dopo l’entrata in vigore della legge che vietava le professioni girovaghe. E di nuovo, nel 1887:

La massa degli emigranti è rappresentata di una falange di accattoni vagabondi che invadono quasi tutte le città d’Europa menando seco dei monelli minorenni che loro abbandonano genitori snaturati per bassa speculazione; i quali muniti di un organetto o di un piffero vanno suonando per le vie, con uno strazio a danno delle orecchie altrui e chieggono la carità.

San Polo Matese

Purtroppo per i bambini, nei decenni successivi nessuna delle cause alla base di tale pratica era stata eliminata. I processi che furono celebrati erano solo la punta di un iceberg. Raramente i procedimenti si attivavano su iniziativa dei genitori, perché questi temevano le conseguenze penali del loro comportamento. Fa eccezione il caso che si verificò a San Polo Matese, unico comune al di fuori della Valle del Volturno in cui ci sia traccia di una “cessione” provata dalla disperata lettera di denuncia che una madre di San Polo Matese indirizza al procuratore del re il 6 dicembre 1898:

Annamaria Liberatore, del fu Giuseppe, di anni 40, infelice contadina di S. Polo Matese, l’espone: essendo ella madre di un figlioletto a nome Giuseppe Vacca e vedova, siccome il medesimo quantunque appena in sul dodicesimo anno ben istruito a suonar la così detta ciaramella, glielò stappò dal fianco il compaesano Liberato D’Egidio di Salvatore, per condurlo in America del Nord, come col fatto ve lo strascinò, e se ne rese garante, giusto che risulta dalle fedi di imbarco esistenti presso una delle agenzie di emigrazione di Napoli.
Il barbaro e crudele mallevadore D’Egidio, uomo fedifrago e rotto alle più grandi dissolutezze, giunto con il povero e disgraziato ragazzetto della esponente, si mise a bivaccare nelle osterie col denaro che andava procacciando al giorno il giovincello, da £10 a £15 al giorno, e lo bastonava da orbo.
Una delle due: non si sa se per impulso di brutale malvagità, o per immeritato abbandono da parte del troppo colpevole D’Egidio, o per uccisione commessa da lui, il fatto sta che lo sventurato giovincello è sparito dalla scena del mondo. È una madre vedova che alla S.V.Ill.ma si rivolge, con esporre querela davanti la S.V.Ill.ma contro il ripetuto Liberato D’Egidio di Salvatore, onde il medesimo sia punito con tutto il vigore della vigente legge penale
…. 

Poi, di pugno, con evidente mano tremante aggiunge:

La supplicante Annamaria Liberatore, alzando i suoi occhi lacrimanti al Cielo prega la Vergine Ssa. dei sette dolori, perché come la tutta santa dopo di aver disperso il suo unigenito Gesù, appunto quando costui aveva appena 12 anni, così la volesse consolare di ritrovare il figliolo sperduto.

Qualche giorno dopo l’invio della lettera alla sorella, alla stessa fu inviato un telegramma in cui si preannunciava il ritorno in Italia del D’Egidio. Avvisata la Questura, ad attenderlo a Napoli vi erano le guardie di pubblica sicurezza che, fermatolo, lo interrogarono immediatamente circa la sorte di Giuseppe. Era successo già dieci anni prima e di quel bambino che gli era stato affidato non si erano avute più notizie. Nonostante la questura di Napoli richiedesse notizie al consolato d’Italia a New York, che a sua volta le girò, tra gli altri, alla polizia del luogo della sua ultima residenza conosciuta, del ragazzo non si ebbero altre notizie. Abbiamo conferma, quindi, con il caso di San Polo Matese, dell’intima connessione tra l’area di diffusione della zampogna e la “tratta dei fanciulli”.

Quando i bambini molisani erano “venduti” per miseria ultima modifica: 2018-10-27T21:23:40+02:00 da NICOLINO PAOLINO
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