La cittadinanza europea, una grande menzogna o una promessa non ancora compiuta? Lo scontro tra euroscettici ed europeisti, in fondo, si riassume nella risposta che diamo a questa domanda. “Gli europei non costituiscono un popolo”, argomentano i detrattori del progetto europeo. Il loro è un approccio per cui il popolo è definito dall’omogeneità dei caratteri etnici e culturali. Fanno coincidere il demos con l’etnos, il popolo con il gruppo etnico.
Ma, se si ritiene invece che i cittadini di uno stato sono tali non per i comuni caratteri etnici e culturali, ma per la capacità di riconoscersi in comuni diritti e doveri, ecco che allora si intravede perlomeno un embrione di popolo europeo.
Un embrione che, però, assomiglia a una crisalide che fatica a diventare farfalla. Ben venticinque anni or sono, infatti, il primo novembre 1993, il Trattato di Maastricht metteva nero su bianco il concetto di “cittadinanza europea”.
Fu una svolta epocale per il progetto di integrazione. Il termine cittadinanza fa riferimento al legame giuridico tra l’individuo e lo stato e definisce chi beneficia dei diritti e doveri che consentono di partecipare alla vita della comunità politica dello stato.
L’applicazione di questa formula all’Unione europea, che stato non è ma che presenta crescenti elementi di statualità, ha assunto connotati originali. La cittadinanza europea, infatti, completa e non sostituisce quella statale, nel senso che, in quanto cittadino italiano, sono cittadino dell’Unione europea, ma non sono, per esempio, cittadino francese o tedesco.
I diritti a essa connessa sono relativamente pochi ma di valore significativo, soprattutto per chi sceglie di vivere in uno stato europeo diverso da quello in cui è nato. Tra le cose più importanti, la cittadinanza europea sancisce la libertà di circolazione e di soggiorno di ogni cittadino europeo nel territorio dell’Unione e consente di votare e di candidarsi alle elezioni comunali nello stato membro in cui si risiede.
Il problema è che, venticinque anni dopo Maastricht, siamo ancora lì, ad aspettare che affianco all’unione di stati si sviluppi un’unione dei cittadini. Cittadini che, per dirla tutta, si sentono spesso esclusi dal processo decisionale europeo. Eleggono i membri del parlamento europeo, certo, ma questo detiene un potere legislativo limitato, che si trova a condividere con due organi non elettivi come il consiglio e la commissione.
La sensazione è quella di vivere in una post-democrazia, dove si può sempre votare, ma dove pare al contempo difficile fare una scelta genuina.
I tentativi di rilanciare il progetto europeo dando voce ai suoi cittadini non mancano. Il caso francese è probabilmente il più emblematico, con il presidente Emmanuel Macron che ha introdotto lo strumento delle consultazioni, ovvero eventi che hanno luogo su tutto il territorio nazionale nei quali i cittadini sono chiamati a dire la loro su differenti questioni relative all’Unione europea.
O si pensi al tentativo, abortito, di introdurre delle liste transnazionali in occasione delle prossime elezioni europee. Un tentativo che ambiva a rafforzare la comunicazione tra i cittadini dei vari stati membri.
Rafforzare il dialogo tra i cittadini è la chiave di volta per la nascita di un vero demos europeo. Senza dialogo, non c’è da stupirsi che si faccia fatica – per usare un eufemismo – a gestire la questione della solidarietà a livello europeo. Ma se non c’è solidarietà, se non si va avanti insieme, l’alternativa è indietreggiare agli scontri nazionalisti. Ovvero, procedere verso la disintegrazione.
Lo sanno bene i britannici, a cui la Brexit sta facendo toccare con mano le conseguenze della disintegrazione europea e che, probabilmente per questo, sono tra i più impegnati a livello di società civile nell’organizzazione di iniziative destinate a rilanciare l’unione dei cittadini.
È il caso, ad esempio, di New Europeans, associazione con sede a Bruxelles, molto attiva sulla scena europea per rilanciare il progetto di integrazione proprio ripartendo dai cittadini.
Dobbiamo essere partigiani per l’Europa,
è solito ripetere il fondatore e segretario generale di questa organizzazione, Roger Casale, londinese, un passato da deputato nel governo laburista di Tony Blair, ma anche una grande passione per l’Italia e la Toscana, che è diventata da anni la sua casa.
Il trattato di Maastricht instaurò l’idea di un’Europa più democratica, ma che ne è oggi di quel progetto? La partecipazione alle elezioni europee ha raggiunto i minimi, le iniziative europee dei cittadini non sono riuscite a scalfire un modo dirigistico di fare politica. Molti credono che il processo decisionale sia determinato più dalle pressioni di grossi gruppi di interesse che dai valori comuni. E con la Brexit, cinque milioni di cittadini europei – dell’Ue a 27 – rischiano di perdere il loro diritto a vivere sul suolo britannico,
sostiene Casale, che in occasione del venticinquesimo anniversario del Trattato di Maastricht ha deciso di promuovere il “manifesto di Maastricht”, un documento di intenti per rilanciare la promessa della cittadinanza europea. Un documento che verrà sottoscritto domani, 1 novembre 2018, a Limburg, in Olanda, davanti a più di 150 giovani europei.
Solo se procederemo verso un’unione dei cittadini riusciremo a salvare, in ultima analisi, anche il mercato unico e l’euro, perché solo un forte movimento democratico può riformarli in maniera tale che possano continuare a esistere in futuro,
continua Casale.
Il “manifesto di Maastricht” propone, tra le altre cose, di promuovere “nuovi modelli di democrazia partecipativa”, di “trasformare l’Unione nella prima democrazia rappresentativa transnazionale al mondo” e di lavorare verso “un’Europa della giustizia sociale e dell’uguaglianza, ancorata al rispetto dei diritti umani”.
Il traguardo è la creazione di una cornice statuale europea che garantisca ai cittadini europei in quanto tali i loro diritti, che ne tuteli la diversità e che si regga su una vera sovranità popolare esercitata a livello europeo. In altre parole, una repubblica europea.
Un’utopia? Forse. Ma anche l’Unione europea era un’utopia prima di diventare realtà. L’Europa dei cittadini, in fondo, non è altro che la tappa successiva del più grande progetto di pace nella storia dell’umanità.
In questo senso, risuonano oggi ancora forti le parole di Jean Monnet:
Non stiamo federando gli stati, stiamo unendo le persone.

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