Yemen, un civile ucciso ogni tre ore

Una nuova ondata di scontri causa una crescita esponenziale di vittime, lasciando la popolazione senza cibo e sempre più esposta al rischio di nuove epidemie. L'allarme di Oxfam
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Si può disertare, in segno di protesta, la “Davos del deserto”. Esternare dichiarazioni indignate per il brutale assassinio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi. Si può addirittura tirare in ballo l’impunibile erede al trono Saud, il principe Mohammed bin Saman. Tutto si può fare. Tranne una cosa: bloccare la vendita di armi (Merkel esclusa) a Riyadh. Quelle armi che stanno martoriando un popolo: quello yemenita.

Dall’inizio di agosto nello Yemen è stato ucciso un civile ogni tre ore. Una nuova ondata di scontri – tra la coalizione a guida saudita e gli Houthi per il controllo dei principali porti e città del Paese – che causa una crescita esponenziale di vittime, lasciando la popolazione senza cibo e sempre più esposta al rischio di nuove epidemie.

È l’allarme lanciato da Oxfam, di fronte all’inerzia delle grandi potenze mondiali, che al momento stanno facendo poco o nulla per fermare quella che da tempo è diventata la più grave emergenza umanitaria al mondo.

Tra il primo agosto e il 15 ottobre, nello Yemen 575 civili sono stati uccisi a causa dei combattimenti. Tra loro c’erano anche 136 bambini e 63 donne. Un quadro atroce a cui s’aggiungono oltre un milione e centomila casi di colera negli ultimi diciotto mesi, con oltre duemila vittime e più di cento decessi causati da un’epidemia di difterite nello stesso periodo.

Mercoledì scorso a Hodeidah, il principale porto del Paese, un attacco aereo ha provocato la morte di sedici civili in un mercato; all’inizio del mese ancora quindici le vittime, compresi quattro bambini, e 23 i feriti per un altro attacco aereo ad opera della coalizione saudita che ha colpito autobus carichi di passeggeri a un checkpoint controllato dagli Houthi nella parte sud-est della città.

Un bombardamento di terra in un campo di sfollati ha ucciso una giovane donna e ferito altre sette persone, di cui sei erano bambini. Lo Yemen è sull’orlo della carestia ed è sempre più difficile per le agenzie umanitarie raggiungere la popolazione a causa della violenza inaudita che si è diffusa nelle ultime settimane.

Secondo le stime delle Nazioni Unite di questa settimana, se non s’arriverà a un cessate il fuoco e a una pace duratura, oltre quattordici milioni di persone potrebbero letteralmente morire di fame. Al momento solo la Germania ha congelato i contratti di vendita di armi verso l’Arabia Saudita, dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi all’interno del consolato saudita a Istanbul, invitando anche gli altri Paesi europei a fare lo stesso. Afferma Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie:

Di fronte a ogni singola vita persa in questo scandaloso conflitto, le potenze mondiali dovrebbero provare vergogna. Chiunque sostenga direttamente o indirettamente le parti in conflitto si sta rendendo di fatto complice di questo massacro. Quante persone devono ancora morire perché si abbia un’ammissione di complicità da parte delle potenze che alimentano questa guerra da oltre tre anni? Per questo chiediamo agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e all’Italia di sospendere immediatamente la vendita di armi ai sauditi. Dopo l’audizione in Commissione esteri alla Camera della settimana scorsa con le altre associazioni umanitarie impegnate nel Paese, ci aspettiamo che il nostro governo cambi strada rispetto agli ultimi anni, smettendo di avallare l’export di armi, soprattutto bombe, verso l’Arabia Saudita e gli altri paesi coinvolti per milioni di euro.

L’Italia, ha fatto sapere il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, sta “senz’altro valutando” la possibilità di bloccare la fornitura di armi all’Arabia Saudita.

Sulla vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani fondamentali, noi del Movimento abbiamo sempre avuto una posizione chiara,

hanno fatto sapere Simona Suriano, Yana Ehm, Santi Cappellani e Pino Cabras, parlamentari 5 Stelle in commissione affari esteri di Montecitorio. E hanno aggiunto:

proprio per questo vorremmo che l’Italia adottasse in merito normative altrettanto chiare. E la legge 185 del 1990 sull’export delle armi, purtroppo, non sembra capace di rispondere a tali esigenze, come comprovato dal rapporto tra il nostro Paese e l’Arabia Saudita.

Fra i più decisi a preservare gli accordi vi sono gli Stati Uniti, per bocca dello stesso Donald Trump, che ha dichiarato:

Non amo certo l’idea di mettere fine a un investimento di 110 miliardi di dollari.

In sintonia con Trump, il premier spagnolo Pedro Sánchez, che pur denunciando il “terribile assassinio” ribadisce la priorità:

La difesa degli interessi della Spagna, del lavoro in un settore strategico per la maggior parte localizzato in un’area [del Paese] dove è già alto il tasso di disoccupazione.

Sulla stessa lunghezza d’onda Emmanuel Macron, che il 26 ottobre si è espresso a favore delle sanzioni estese dell’Ue contro i colpevoli dell’omicidio, definendo invece “demagogica” la possibilità di limitare le sanzioni solo alla vendita delle armi.

Secondo il presidente francese, il problema della vendita delle armi non ha niente a che fare con l’omicidio di Khashoggi. Sarà. Resta il fatto – dati ministero della difesa di Parigi – che il regno è il secondo più grande cliente delle società francesi del settore della Difesa dopo l’India.

Secondo la relazione al parlamento del 2018 sulle esportazioni di armi,

sono stati convalidati oltre undici miliardi di euro di ordini sauditi in nove anni, in media 1,2 miliardi di euro all’anno.

Il primo ministro canadese Justin Trudeau dice di “valutare” se rispettare o meno la più importante vendita di armi canadesi a Riyadh, che riguarda il trasferimento di 742 blindati leggeri. “Stiamo valutando le opzioni” ha dichiarato, pur ammettendo che sarà “molto difficile” annullare il contratto.

I vertici francesi preferiscono invece prendere tempo fino a che non saranno “accertate” responsabilità o complicità. E, all’orizzonte, si delineano Cina e Russia pronte a subentrare senza particolari remore in un mercato del valore di miliardi di dollari.

Sana’a

Del resto il regno saudita è per molti Paesi occidentali un partner commerciale privilegiato per quanto concerne il settore delle armi. Riyadh si è infatti piazzata al secondo posto, subito dopo l’India, per volume di importazione nel periodo fra il 2013 e il 2017.

Secondo quanto emerge da uno studio dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nell’ultimo quinquennio le importazioni di armi sono aumentate del 225 per cento rispetto al periodo 2008-2012. Fra i principali Paesi esportatori verso l’Arabia Saudita vi sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, i cui volumi s’aggirano attorno al 61 per cento e al 235 del totale.

Ai due giganti anglofoni s’aggiungono Italia e Spagna, che mantengono una quota significativa di mercato. Il ricercatore Sipri Pieter Wezema sottolinea che

A oggi Usa ed Europa sono i maggiori esportatori di armi nella regione e, unite, hanno fornito il 98 per cento di armi [al regno wahhabita].

Un mercato fiorente che non s’è fermato neppure di fronte alle accuse lanciate dal segretario generale dell’Onu António Guterres, che aveva inserito Riyadh nella lista nera dei Paesi che violano i diritti dei bambini nelle aree di conflitto.

Al centro del contendere, che ha suscitato le ire dei sauditi (sostenuti dall’alleato statunitense), le violenze commesse contro i civili, anche minori, nel contesto della guerra nello Yemen.  Nel marzo 2018 il dipartimento di stato americano ha annunciato la vendita di armi ai sauditi per un valore attorno al miliardo di dollari, fra cui missili, pezzi di ricambio per carri armati ed elicotteri di fabbricazione Usa. Un accordo frutto dell’incontro, avvenuto qualche giorno prima, fra il principe ereditario Mohammad bin Salman e il segretario alla difesa James Mattis, i quali hanno rilanciato l’asse Washington-Riyadh in chiave anti-iraniana.

Affari e geopolitica: un mix esplosivo che alimenta l’apocalisse umanitaria che segna lo Yemen. La recente svalutazione del Riyal ha causato un’impennata dei prezzi dei beni alimentari disponibili nei mercati locali. Lo Yemen dipende dall’importazione della maggior parte di alimenti di base, ma i commercianti stentano a comprare in dollari per rifornire di grano il mercato interno. Anche il prezzo del petrolio è aumentato enormemente: il prezzo medio al litro è salito del 280 per cento da quando il conflitto è iniziato.

Per l’acqua pulita la popolazione fa per lo più affidamento su auto-cisterne, ma anche questa modalità sta diventando costosa e inaccessibile. Sempre più persone non potranno che fare ricorso a fonti di acqua sporca, con il rischio di contrarre malattie e diffondere epidemie.

Se non si arriverà al più presto a un cessate il fuoco, non sarà più possibile impedire una catastrofe umanitaria senza precedenti [conclude Pezzati]. La comunità internazionaIe deve agire immediatamente facendo pressione sulle parti in conflitto per fermare il massacro e impedire ulteriori danni alle poche infrastrutture rimaste….

C’è poi un doveroso post scriptum che riguarda la certezza espressa da Macron sul fatto che l’omicidio di Khashoggi non abbia nulla a che vedere con le armi vendute all’Arabia Saudita. Khashoggi era sul punto di rivelare l’uso di armi chimiche da parte dell’Arabia Saudita nello Yemen: sarebbe questa la causa del suo omicidio nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre scorso.

A riportarlo è il Daily Express, che cita un accademico mediorientale, che non vuole essere nominato.

L’ho incontrato una settimana prima della morte. Era infelice e preoccupato [racconta]. Quando gli ho chiesto il motivo della preoccupazione, non aveva voglia di rispondere ma alla fine mi ha detto di aver ottenuto riscontri che l’Arabia Saudita ha usato armi chimiche [nello Yemen]. Ha spiegato che sperava di ottenere prove documentali.

Non ne ha avuto il tempo. 

Yemen, un civile ucciso ogni tre ore ultima modifica: 2018-10-31T12:49:27+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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