Referendum Atac, le ragioni del “No”

Domenica 11 novembre si terrà una consultazione sulla messa a gara del servizio di trasporto pubblico di Roma. L'occasione per ridare colore e corpo a un’idea di politica di sinistra. Almeno secondo le ragioni del “No”.
MICHELE MEZZA
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Forse la pretesa più stupida che si sia innalzata nell’agitazione antimunicipale – la quale è in realtà un’agitazione diretta a riservare tutti i servizi pubblici al lucro dei privati – è la pretesa di una “revisione commerciale”.

È uno dei passaggi di un elegante e sagace libretto pubblicato nel 1914 dalle edizioni de L’Avanti con il testo di un’argutissima requisitoria di George Bernard Show contro la privatizzazione dei servizi comunali in Inghilterra. Il brillante commediografo britannico si scagliava contro quelle che denunciava come “gli accaparramenti di tesoro pubblico” da parte di avventurosi speculatori che puntavano a impossessarsi del nascente mercato dei trasporti metropolitani. 

Il prossimo referendum promosso a Roma sulla privatizzazione delle tratte di trasporto comunale gestito dall’Atac ci offre l’occasione per riflettere sul tema che già allora era all’ordine del giorno: come gestire efficacemente il trasporto di un grande comune.

È chiaro che l’alternativa non è certo quella di una difesa dello status quo, che vede la capitale ormai precipitare a livelli di imbarbarimento di ogni attività di servizio pubblica, fra cui in prima linea il trasporto, senza pari in Europa.

L’attuale situazione del trasporto pubblico a Roma è un disastro, sia nell’esercizio del servizio per i cittadini, sia nella gestione di quel girone dantesco di malaffare che è la società Atac.

Sarebbe bene forse chiedersi da quanto tempo perdura questa situazione. Per quanto riguarda la qualità del servizio potremmo dire da sempre. L’assenza praticamente di ogni infrastruttura di metropolitana sotterranea, con la struttura urbanistica della città, rende oggettivamente complicato offrire un servizio realmente rispondente alla domanda di una massa di almeno quattro milioni di persone che in qualche modo si riversano sulle strade della cintura urbana ogni giorno. Detto questo, siamo oltre ogni livello di tolleranza, anche per un’aumentata domanda di servizio pubblico che è cresciuta, per fortuna, grazie a una sensibilità e una cultura sempre più avversi al trasporto privato.

Insieme a questa atavica e grave insufficienza da qualche tempo, diciamo gli ultimi dieci anni, dalla iattura dell’amministrazione Alemanno in avanti, l’Atac è poi diventato uno dei simboli di mafia capitale per le malversazioni e la gamma di abusi e corruzioni che si allignano, arrivando fino al paradosso dei biglietti falsi, stampati dentro l’azienda pubblica.

Dunque niente da salvare, ancora meno da preservare. Delenda CarthagoMa chi sono i liberatori? Davvero tutto può essere bonificato appaltando spezzoni di trasporto ad aziende private, in concorrenza fra di loro?

Qui torniamo alle solite illusioni e gravi disattenzioni sul valore salvifico del privato. L’anedottica è ormai vastissima, e sarebbe facile rispondere colpo su colpo a ogni dimostrazione dell’irriformabilità del pubblico, con altrettante dimostrazioni della inqualificabilità del privato. A partire da mafia capitale, allo stadio della Roma, a ogni scandalo che si è succeduto nella capitale dove a ogni pubblico amministratore corrotto corrispondeva un privato corruttore.

Ma sarebbe volgare propaganda, da entrambi i lati. Vediamo quali sono i nodi reali.

1 È davvero gestibile una privatizzazione pilotata, in cui il cruscotto di comando rimanga saldamente in mano pubblica? Io penso di  no. Il punto riguarda la pretesa di far funzionare l’ente pubblico, chiedendo spietatamente ragione ai responsabili di ogni amministrazione, e non solo dell’attuale, dei propri errori o, peggio, corruzioni. Perché un ceto politico incapace di bonificare un servizio quale appunto il trasporto dovrebbe essere capace di governarlo strategicamente?

Si riaffaccia qui la logica prettamente grillina, per cui è bene che il pubblico non faccia le cose perché così non si compromette. È bene che non si facciano le olimpiadi, che non si aggiornino le opere pubbliche, che non cambi il piano regolatore, che non si metta mano all’Atac, così non ci sono occasioni di inquinamento. Ma un paese, uno stato, una città può progredire, svilupparsi, anche solo funzionare con questa logica pilatesca?

2 Il privato funziona? La riposta è no. In nessuna realtà italiana ed europea l’alternativa privata funziona. L’esempio più evidente e significativo, quello di Londra, dove la sbornia thatcheriana ha portato a casi limite, vede da una parte, nel trasporto ferroviario, rinazionalizzare le linee che erano state privatizzate per evidente inadeguatezza ad assicurare servizi universali, ossia capacità di rispondere a ogni domanda di trasporto e non solo a quelle delle tratte più convenienti; dall’altra, nell’area urbana della capitale britannica, dove funziona una realtà considerata virtuosa, si vede una struttura poderosa di trasporto dove i privati partecipano, nella compagine azionaria, con quote di minoranza all’allestimento del network di mobilità urbana. Partecipano a un unico disegno, non si lottizzano le tratte creando nuovi monopoli privati.

3 Il trasporto urbano può rispondere a un criterio di convenienza economica? anche in questo caso la mia riposta è no. Già il citato George Bernard Show all’inizio del secolo scorso, spiegando la necessità di gestione municipale dei trasporti, spiegava che

la spesa che il comune fa per le sue opere è sempre spesa produttiva, e i suoi debiti sono soltanto il capitale con il quale opera.

Infatti la mobilità di una città è uno dei volani della governance della stessa città, un motore di pianificazione e di strategia che interviene nel vivo del tessuto urbano: la mobilità è politica concentrata, potremmo dire parafrasando Lenin sull’elettrificazione. Una strategia che deve rispondere, quasi giorno per giorno, alle dinamiche e mutate condizioni della geometria della città. Come è possibile decentrare a soggetti privati che devono decidere investimenti a lungo e medio termine la pianificazione di linee urbane che attengono al modo in cui si vive, si produce, ci si relaziona in una città?

Torniamo così al buco nero: allora, tutto va bene madama la marchesa? Tutt’altro. Dunque si torna a fare politica. Il funzionamento di un servizio pubblico è parte essenziale del giudizio di un’amministrazione, oltre che della sua moralità, quando investe anche aspetti etici e corruttivi. Se non funziona il trasporto va a casa l’assessore, e se non basta anche il sindaco. Ma non si svende a privati per incapacità congenita a gestire. Altrimenti cosa rimarrebbe della sanità o dell’istruzione pubbliche?

Tutto questo potrebbe ridare colore e corpo a un’idea di politica, ancora di più di sinistra. Può esistere una sinistra che non abbia al centro un’idea di protagonismo pubblico? Può vivere una sinistra che non abbia come motore quello che Mariana Mazzucato chiama lo “stato innovatore”?

La risposta è “No”. Come il 12 novembre al referendum a Roma.

Referendum Atac, le ragioni del “No” ultima modifica: 2018-11-06T10:18:23+01:00 da MICHELE MEZZA
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