Sidney Blumenthal è impegnato da qualche anno in una monumentale biografia di Abraham Lincoln. A settembre prossimo uscirà il terzo volume, di certo accolto come i precedenti da critiche molto lusinghiere. L’opera non è finita, occupa molto del suo tempo, ma non lo distrae dalla politica, la sua grande passione e per molti anni il suo mestiere. Quand’era ancora un giovane giornalista, già molto conosciuto, l’incontrammo a Boston per parlare del suo libro, The Permanent Campaign. Sì, è lui l’inventore di quelle tre parole che già ai primi anni Ottanta descrivevano il cambiamento radicale che s’avviava a vivere la scena politica in America con l’ingresso in forze nei partiti ma anche nelle stanze del governo di consulenti politici, sondaggisti e diavolerie varie, che avrebbero trasformato, appunto, la lotta politica in una campagna permanente.
Dal giornalismo all’impegno politico diretto. Al fianco di Bill Clinton nella Casa Bianca, il suo principale consigliere, e poi di Hillary Clinton nelle campagne elettorali. Blumenthal conosce da dentro, come pochi, la politica americana, il potere a Washington, le dinamiche nel Partito democratico. Oggi osserva quanto accade con un misto d’indignazione e di preoccupazione, vede in corso una “guerra civile fredda” che polarizza sempre più l’America ma vede anche segni vistosi di un prossimo crollo del trumpismo.
Ecco quanto ci ha detto in una conversazione telefonica il giorno dopo il voto di midterm.
La mia impressione è che il significato di questo voto sia un profondo rigetto, da parte della maggioranza “popolare”, di Trump e dei Repubblicani, molto più profondo di quanto non dicano i risultati elettorali. I Democratici hanno vinto alla Camera e hanno perso seggi al Senato, ma i voti che hanno ottenuto al Senato superano di oltre dieci milioni quelli ottenuti dai Repubblicani. Abbiamo a che fare con un partito politico, i Repubblicani, che hanno posto la nazione in una morsa per conservare il controllo nonostante il fatto siano sempre più un partito di minoranza. I Repubblicani sono essenzialmente in guerra con la maggioranza della nazione. Ne consegue che gli Stati Uniti sono impegnati in quella che io chiamo una “guerra civile fredda”, che non sarà risolta in tempi brevi. Il fatto che i Democratici abbiano vinto alla Camera significa che il periodo dei primi due anni della presidenza Trump, nel quale lui e il suo partito avevano il controllo totale, è una cosa del passato. E sarà soggetta a intensa investigazione. Non solo per tutelare l’indagine di Robert Mueller sulle interferenze russe nella nostra politica, ma anche per far luce sulla corruzione pervasiva di Donald Trump, della sua famiglia – che opera come una famiglia mafiosa -, del suo gabinetto e della Casa Bianca, che è alla testa di una vasta cleptocrazia. Presto vedremo decine se non centinaia di indagini sui più grandi scandali della storia americana.
In un tweet Donald Trump ha minacciato i deputati democratici: se indagate su di me, il senato indagherà su di voi…
È spaventato, ha perso il controllo. E ricorre alla tattica dell’intimidazione.
Il Partito repubblicano, che pure al suo apparire sulla scena e poi nel primarie lo detestava, oggi è il suo partito. Quindi può dare l’ordine ai senatori del GOP di fare cose pazze, come aprire indagini sui deputati democratici che osano sfidarlo giudiziariamente.
Sì, ma non controlla lui completamente il Senato. E su che cosa poi dovrebbero indagare (i senatori)? Trump è come il gorilla che getta la polvere pensando di far scappare così i nemici: la sua è “gorilla dust”, ecco che cos’è.
Ci sono tanti precedenti di presidenti che a metà mandato vedono passare il Congresso, o una delle due camere, all’opposizione. Fu anche il caso di Bill Clinton, nel periodo in cui tu eri consigliere del presidente alla Casa Bianca.
Senato e Camera dei rappresentanti sono due camere molto diverse tra loro sia per il tipo di lavoro parlamentare che svolgono sia in quanto corpi istituzionali, e anche sotto i Repubblicani il Senato si muove con esitazione e più lentamente. Ma quando i Repubblicani conseguirono il controllo della Camera dei rappresentanti nelle elezioni del 1994, quella vittoria portò poi all’impeachment. E abbiamo visto in questi primi due anni di Trump che cosa succede quando la Camera è controllata dai Repubblicani. Ma con i Democratici in maggioranza prevedo che vedremo centinaia di indagini sulla corruzione.
Nancy Pelosi [la probabile nuova Speaker della Camera] sembra però riluttante a lanciare un’offensiva frontale nei confronti del presidente…
Penso che i Democratici si muoveranno in modo tale che la loro appaia come la conduzione di un processo equilibrato e basato sulla valutazione delle evidenze che emergeranno via via. Vorranno vedere che cosa c’è, insomma, e una volta che le cose emergeranno, su di esse ci saranno le dovute prese di posizione. Di certo non esiteranno a indagare.
Mi sia però consentito dire un’altra cosa sulla recente condotta di Trump in questa campagna elettorale. Non c’è mai stato un presidente, nella storia americana, che abbia condotto una campagna elettorale come l’ha condotta Donald Trump in queste elezioni di medio termine. Per quanto abietto e deprecabile fosse stato in precedenza, è sprofondato ancora più in un comportamento spregevole. Ha scatenato la prima campagna nella storia americana – che si è riverberata anche in quella della suo partito – antisemitica. Apertamente antisemitica. Non solo contro George Soros ma con spot contro candidati ebrei con stereotipi antisemitici. Immagini con montaggi che li ritraggono mentre maneggiano soldi. Questo incitamento ha senza alcun dubbio portato alla strage, undici morti, nella sinagoga di Pittsburgh. Inoltre, questo incitamento è responsabile delle bombe-lettera inviate da un sostenitore di Trump in Florida a esponenti del Partito democratico ed ex esponenti del governo.
Per non parlare della campagna razzista senza remore contro gli immigrati e contro i diritti delle donne. Il Partito repubblicano è stato ridefinito da tutto questo, ed ecco cosa sono adesso. Non sono più un normale partito politico, nel senso corrente della politica americana.
Con effetti anche sul clima politico in altri paesi. Si pensi all’Europa, all’Italia.
Esattamente, ha un’enorme influenza internazionale e fornisce un esempio e un incoraggiamento ai neofascisti in tutto il mondo.
Come vedi i Democratici dopo questa prova elettorale? Possono ritrovare una linea, una coesione che possa condurre al successo nelle prossime elezioni?
Stiamo entrando in un periodo molto conflittuale. Di resa dei conti. Sulla presidenza Trump. Lo scontro è in arrivo. In definitiva, la questione in ballo è se gli Usa continueranno ad aderire a ciò che sono stati fin dalla loro fondazione, nella Dichiarazione d’Indipendenza, che proclama che “tutti gli uomini sono creati uguali” e che il paese è stato unito intorno a questi valori, ideali e principi o se siamo un paese unito essenzialmente dal nazionalismo bianco, dalla razza, dall’antisemitismo e dal patriarcato. Mai gli americani si erano trovati di fronte a un bivio così, e così brutalmente.
Va detto che quest’America che si ritrova nel trumpismo, non se l’è inventata Trump.
Certo, non è una sua invenzione, è sempre esistita. Gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra civile, una parte degli Usa, un parte consistente, ruppe per formare un’altra nazione – the Confederate States of America – al fine di preservare, difendere ed estendere la schiavitù. Fu una controrivoluzione contro la democrazia e non è un caso che siano emersi problemi in queste elezioni, fino al rigetto, in Georgia e in Florida, di candidati africano-americani più impegnati, più preparati e migliori dei loro avversari. La fede è il problema del Sud, il problema che si è trovato di fronte Beto O’Rourke in Texas.
Ma a parte le difficoltà in Ohio, che è uno stato diviso tra una parte nel Nord e una parte nel Sud, è interessante quanto è successo in tre stati che nel 2016 diedero a Trump un esile margine di vittoria e che si sono rivoltati contro di lui, cacciando via i Repubblicani: Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Quindi c’è una rivolta in corso contro Trump nel Nord e nell’Ovest del paese. Per questo parlo di “guerra civile fredda”, questo ne è un altro aspetto. D’altronde stiamo ancora vivendo la nostra storia.
Va anche detto che i dati recenti descrivono un’economia che va…
È una questione diversa. A mio avviso, Trump sta attaccando le basi del benessere economico. Ci sono voluti i due mandati dell’amministrazione Obama per rimettere l’economia su fondamenta solide dopo il grande panico finanziario e il collasso del 2008-2009. Trump introduce un taglio fiscale regressivo che favorisce le grandi ricchezze. Offre quella che tipicamente gli analisti definiscono un “picco di zuccheri” a corporation che non sono impegnate in investimenti produttivi ma nel riacquisto di azioni, ma quel “picco di zuccheri” poi svanisce e crea una specie di diabete economico. La Federal Reserve alzerà i tassi di interesse, cosa che ha già iniziato a fare perché Trump è da sempre in contrasto con la teoria economica keynesiana. Solitamente bisogna cercare di dare stimoli economici quando l’economia è in recessione, lui invece lo sta facendo quando siamo in crescita e questo, prevedibilmente, sta facendo esplodere il deficit federale. Ed è per questo che la Federal Reserve sta alzando i tassi d’interesse che avranno effetti negativi sulla crescita. Allo stesso tempo, Trump decide di non adottare un sistema di scambio basato sul rule of law come quello che gli Stati Uniti avevano creato così attentamente con gli alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale, partito con gli accordi di Bretton-Woods e in seguito con il sostegno a quei processi che hanno portato alla formazione della Comunità europea e poi dell’Unione europea. Ha abbandonato quel sistema in favore un sistema atavico, anacronistico del diciannovesimo secolo basato sulle guerre commerciali e sull’imposizione di tariffe come armi rozze e contundenti. L’uso di queste armi si basa sull’ignoranza di come davvero funziona e opera l’economia globale: la catena internazionale dell’offerta di beni, la natura della finanza, i mercati del lavoro e così via. Non è un’accusa. È un dato.
È un fatto.
Sì, è un fatto. La sua ignoranza è a trecentosessanta gradi, su tutti gli argomenti.
Ne è fiero, della sua ignoranza.
Si batte con piglio bellicoso a difesa della sua ignoranza.
Tornando all’economia, che è fondamentalmente messa bene, la ragione per la quale soffre alti e bassi, con le nervose reazioni in un’altalena di boom e crolli, ha a che fare con l’ignoranza economica di Trump e con i suoi attacchi all’economia. Credo che stia colpendo seriamente i lavoratori e gli agricoltori americani. L’industria dell’auto sta operando tagli e porterà parti della produzione all’estero, mentre gli agricoltori, in particolare nel Mid-west, stanno risentendo enormemente della sua guerra commerciale con la Cina. Insomma, stiamo cominciando a sentire i danni che ha iniziato a fare, a risentire delle distorsioni che sta imponendo all’economia. Ecco perché quando qualcuno chiede “l’economia va alla grande, perché non ha fatto la campagna elettorale sull’economia?”, la riposta è che innanzitutto la gran parte degli americani non sostiene i suoi tagli fiscali e che se avesse cavalcato quel tema in campagna elettorale non avrebbe funzionato. Quello che ha funzionato, con lui, nelle elezioni di Midterm è stato l’antisemitismo, il razzismo, il nativismo, la misoginia. Ecco che cosa funziona con Trump. È quello che mobilita la sua base.
Si può ipotizzare che, di fronte ai guai prevedibili in arrivo, nella politica interna, possa gettarsi in avventure militari?
Non so, di sicuro John Bolton è in ascesa. È un tipo che cova ostilità, e credo che il segretario alla difesa James Mattis sarà mandato via. È stato in qualche modo una forza di freno alla stupidità e alla belligeranza di Trump. A me sembra però che l’amministrazione Trump, mentre lancia dichiarazioni fortemente ostili, stia di fatto andando alla deriva soggetta com’è a enormi manipolazioni da parte di potenze straniere, come Russia, Arabia Saudita e il governo Netanyahu.
Trump è talmente psicologicamente danneggiato che risponde personalmente alle lettere di lusinghe di Kim Jong Un, pensando davvero che i sentimenti che esprimono siano genuini, su quanto Trump sia una persona meravigliosa… No, non bisognerebbe sottovalutare il perverso narcisismo di Trump, e le sue conseguenze. Siamo tutti prigionieri della patologia di Trump.

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