Essere bambini nella Russia di Putin

Tra indottrinamento e marketing politico, il presidente russo cerca di dare all’infanzia una forte valenza geopolitica in grado di mostrare un’immagine di un paese moderno e aperto. Ma, in realtà, i diritti dei minori sono poco rispettati.
ANNALISA BOTTANI
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Quando Putin parla con la madre di un bambino o lo guarda “è chiaro quanto ami i bambini, ha un’umana e sincera predisposizione verso i bambini”. Parola di Vladimir Soloviev, giornalista del canale di stato Rossiya 1 che ha trasmesso all’inizio di settembre una serie che documenta le attività settimanali di Putin. Anche secondo il portavoce Peskov, “Putin non ama solo i bambini, ma le persone in generale.”

Un amore che coinvolge, dunque, secondo quanto dichiarato, tutta la popolazione, dai bambini piccoli agli adulti, di ogni età e genere.

Mentre sull’“amore” per gli adulti sono state spese moltissime parole, quello per bambini e i giovani merita particolare attenzione, soprattutto perché la Russia si è lentamente trasformata da democratura a dittatura. E in questi casi spesso sono proprio gli individui di questa età a essere monitorati e “gestiti” dal governo, in quanto costituiscono la futura opinione pubblica da allineare ai dettami dell’ideologia di stato. Secondo una classifica stilata da Save the Children e diffusa a maggio del 2018, tra i 175 Paesi in cui i minori hanno maggiori opportunità di vivere bene la Russia si posiziona al 37° posto.

Se si guarda la fascia giovanile, questo amore non sembra così evidente, soprattutto negli ultimi mesi che hanno visto l’intensificarsi, durante le proteste antigovernative contro la riforma delle pensioni, di arresti da parte della polizia di giovani, minorenni e, in alcuni casi, anche di pre-adolescenti. Di recente un membro del parlamento ha suggerito di privare dei diritti parentali i genitori dei ragazzi che partecipano a manifestazioni non autorizzate. E alcuni giorni fa la Duma ha predisposto in prima lettura una legge che propone di punire il coinvolgimento dei giovani in manifestazioni non autorizzate. 

Secondo quanto riportato da Radio Free Europe Radio Liberty, a settembre durante una protesta a Omsk un ragazzo di diciassette anni ha dichiarato di essere stato fermato, afferrato e trascinato in un furgone della Omon, la polizia antisommossa. Una donna del dipartimento affari minorili era già lì ad aspettarlo. Anche altri ragazzi hanno raccontato storie simili, evidenziando un trend negativo in costante crescita. In altri casi i giovani sono stati interrogati in assenza dei genitori e accusati di essere stati pagati dal dipartimento di stato americano.

La medesima pressione è stata esercitata anche sui genitori, colpevoli di aver fallito, secondo le autorità, nell’esercizio delle proprie responsabilità. Alcuni sono stati poi convocati dalla polizia a scuola, con l’obbligo di portare un certificato attestante la propria buona condotta e, in altri casi, sono stati inviati a casa dei ragazzi anche gli assistenti sociali. Tuttavia, malgrado le minacce, non hanno impedito ai figli di partecipare alle manifestazioni, ma ne hanno riconosciuto l’impegno, considerandoli vittime di “oppressione politica”.

I giovani coinvolti sono stati anche costretti a consegnare alla scuola di appartenenza la notifica della commissione per gli affari minorili per giustificare l’assenza. Il primo pensiero di genitori e parenti è la possibilità che la scuola stessa possa ostacolare l’accesso all’università, una minaccia neanche poi tanto velata rivolta già ad alcuni studenti nei mesi scorsi. 

L’indottrinamento resta sempre uno degli strumenti più utilizzati: in alcuni casi i giovani sono stati avvertiti da un class monitor di rimuovere, in caso di partecipazione a manifestazioni organizzate da Navalny, eventuali badge o spille, spiegando che si tratta di una “spia”, mentre “i patrioti supportano Vladimir Putin”. Uno strumento che, talvolta, si trasforma in intimidazione, com’è avvenuto a un giovane che ha ricevuto la visita a casa di due uomini in borghese che hanno affermato di essere della polizia e hanno avvertito i genitori che, se il figlio avesse continuato a partecipare alle manifestazioni, sarebbe divenuto un criminale. Se avesse smesso, tutto sarebbe andato bene.

Talvolta l’indottrinamento è preventivo: secondo quanto riportato da Meduza, alla Moscow State University un ex agente dell’Fsb ha tenuto un corso al dipartimento di scienze politiche sulla “guerra dell’informazione”, ossia una lezione sulle modalità di interpretazione della strategia di falsificazione delle news da parte delle agenzie di intelligence occidentali sul caso Skripal. Un corso simile è stato organizzato anche al Moscow State Institute of International Relations, anche se entrambe le università precisano che si tratta di offrire agli studenti “nuove informazioni, non propaganda”.

A queste tattiche se ne affiancano altre di marketing politico. L’agenzia governativa Rossotrudnichestvo, incaricata di verificare le condizioni degli studenti russi all’estero e sospettata per anni di portare avanti azioni di spionaggio e reclutamento, ha lanciato nel 2018 il programma Highly Likely Welcome Back (dall’espressione del primo ministro inglese Theresa May “highly likely”, usata per indicare una possibile responsabilità russa nell’affare Skripal) per favorire il ritorno in patria degli studenti russi, per paura di attacchi derivanti dalla russofobia. Un’ulteriore mossa per esacerbare la contrapposizione tra Russia e Occidente, utile allo storytelling putiniano.

Ma i “Puteens”, come li hanno soprannominati, sono in opposizione al presidente o mantengono una visione positiva?

Secondo The National Interest, non è possibile rilevare una posizione monolitica, un cruccio per gli osservatori occidentali che considerano un enigma la gioventù russa. Molti giovani apprezzano il presidente per aver ridato alla Russia, dopo il crollo dell’Urss, un ruolo geopolitico importante, ma nel contempo criticano la renitenza di Putin a favorire una transizione di potere. 

Un presidente non dovrebbe trasformarsi in zar e il paese sotto Putin si sta avvicinando ai tempi in cui regnava lo zar,

afferma un giornalista e videoblogger. Dello stesso tenore anche altri commenti di giovani che si sentono traditi dalla riforma delle pensioni perché Putin non ha mantenuto una promessa fatta proprio durante gli anni del suo mandato. Non sono queste le uniche critiche: mancanza di riforme oltre a quelle economiche, sfiducia nelle istituzioni e nell’autorità governativa nel suo complesso, clima di incertezza, preoccupazione per le criticità infrastrutturali, residenziali e logistiche. 

E veniamo alla fascia più delicata: quella dell’infanzia.

Il Cremlino in questi anni ha organizzato iniziative e incontri presso centri spesso caratterizzati, tuttavia, da una forte valenza geopolitica in grado di mostrare un’immagine della Russia moderna e aperta.

Basti pensare, solo per citarne alcuni, al Centro Artek, una delle strutture per bambini più ampie del mondo in termini di presenze, situata in Crimea e fondata nel 1925, che ha accolto nei decenni non solo giovani sovietici e russi, ma anche bambini di altre nazionalità. Un’altra struttura di rilievo per il Cremlino è l’Okean National Children’s Centre situato a Ussuri Bay. Nel 2008 il centro ha avuto la funzione di ospitare i bambini cinesi che avevano sofferto a seguito del terremoto. Ogni anno molti bambini cinesi si recano al Centro per partecipare a diversi programmi educativi, mentre studenti e insegnanti dalla Repubblica Popolare Cinese possono frequentare corsi di lingue e i funzionari del Centro possono frequentare le università cinesi in qualità di tirocinanti. A settembre, in occasione del decimo anniversario della struttura e del Festival dell’amicizia tra Russia e Cina, Putin ha visitato il Centro e ha ricordato che lo sviluppo dell’amicizia tra cinesi e russi a una giovane, seppur ragionevole, età è davvero un fattore importante, in grado di dare a tutti la speranza per un futuro delle relazioni tra Cina e Russia. 

Ma non parliamo solo di incontri e iniziative. Come ai tempi sovietici, la coesione e l’orientamento all’“ortodossia” sono ancora strumenti fondamentali per “allenare” le giovani menti. La “IunArmia”, creata due anni fa, è l’organizzazione militare-patriottica per bambini e adolescenti – voluta dal ministro della difesa Sergej Šojgu – che ricorda i piccoli pionieri sovietici. Un’iniziativa non isolata. Per il “Giorno della Vittoria” (9 maggio) il merchandising per bambini va a ruba: dalle uniformi dell’Armata Rossa alle pistole giocattolo. E ogni anno le classi di alunni vengono portate ad assistere alla parata. Gli studenti guidano anche l’“Immortal Regiment”, una marcia in cui i partecipanti portano con sé i ritratti dei propri cari che hanno lottato e sono morti nella Seconda Guerra Mondiale. 

Al di là delle iniziative di propaganda politica, viene spontaneo chiedersi quale sia il piano del Cremlino per l’infanzia. L’anno scorso, a maggio, il presidente ha annunciato l’istituzione del “decennio dell’infanzia” (2018-2027) finalizzato a “migliorare la politica governativa nell’ambito della difesa dell’infanzia, tenendo conto dei risultati ottenuti nella realizzazione della strategia nazionale nell’interesse dei bambini negli anni 2012-2017”.

A novembre del 2017 Putin ha incontrato il Consiglio di coordinamento per l’implementazione della “National Children’ Strategy”, una struttura incaricata di supervisionare l’interazione delle agenzie governative, delle organizzazioni pubbliche e private ai fini dell’implementazione della strategia stessa, della durata di cinque anni, mettendo al primo posto nell’elenco delle priorità la demografia e la preoccupante riduzione del tasso di natalità. L’obiettivo è quello di “stabilizzare la forza numerica della popolazione e prevenire il suo decremento nel decennio a venire.”

Il programma di misure avviato si concentra principalmente sull’incentivazione economica, con uno sguardo ovviamente anche alle ricadute in termini di salute, benessere e crescita (ad esempio, il “maternity capital” di rilievo in quanto la presenza di due figli per famiglia è divenuto un trend stabile), definita per reddito familiare e regioni di provenienza, sulla revisione dei programmi per l’accesso ai mutui a tasso fisso e sul supporto alle famiglie che desiderano avere tre o quattro figli o che non possono permettersi di averne uno. A queste misure si aggiungono l’Order of Parental Glory, istituito nel 2008, che premia le famiglie con sette o più figli, e la medaglia del 2010 dell’Order of Parental Glory per premiare chi fa quattro figli, anziché sette.

In un interessante articolo del Telegraph che analizza la questione demografica, si coglie l’elemento essenziale sottostante alla priorità di Putin. Il paese sta, infatti, affrontando una crisi che ha visto la popolazione russa (dopo il crollo dell’Urss) ridursi di 700.000 persone l’anno. Tra il 1992 e il 2009, il Paese ha perso circa sei milioni di persone o il 4 per cento della popolazione. “Stiamo affrontando”, ha dichiarato Putin, “il rischio di trasformarci in uno spazio vuoto, il cui destino non sarà deciso da noi.” Ed ecco la priorità: riprodursi per non diventare “uno spazio vuoto”.

In una dichiarazione rilasciata a marzo del 2018, dopo l’incendio nel centro commerciale di Kemerovo in Siberia che ha portato alla morte di sessantaquattro persone, tra cui oltre quaranta bambini, Putin, secondo quanto riportato da Sputnik, ha confermato la sua preoccupazione principale:

Che cosa sta succedendo qui. Non ci sono ostilità e non è un’emissione di metano inaspettata in una miniera. Le persone sono venute a rilassarsi con i bambini. Stiamo parlando di demografia e stiamo perdendo così tante persone.

Ecco riemergere, dunque, una visione “strumentale” dell’infanzia e del ruolo che questi “futuri adulti” potranno rivestire nella Federazione.

Ovviamente non si può negare che il governo punti a risolvere anche altre criticità, come la riduzione delle liste d’attesa per accedere alla scuola materna, il miglioramento della qualità dei servizi medici, la costruzione di residenze per gli orfani, solo per fare alcuni esempi. Nel mese di giugno, durante il consueto Direct Line, Putin ha dichiarato di aver risolto il problema delle scuole materne per i bambini dai tre ai sette anni. Per l’89 per cento dei bambini che rientrano in questa fascia vi è posto, anche se non vi sono ancora abbastanza asili nido utili alle mamme che desiderano fare carriera. 

Ma è la classificazione per priorità che lascia intravedere un’agenda politica per l’infanzia, strumentale rispetto a quella possibile in una democrazia. 

In un altro incontro avvenuto quest’anno a giugno, il Commissioner for Children’s Rights Anna Kuznetsova ha illustrato a Putin il rapporto annuale sull’attività svolta, portando all’attenzione del presidente le lettere scritte dai bambini per i soldati in Siria. Un passaggio di pura propaganda politica per rafforzare l’idea di un impero in cui tutti servono, persino i bambini, nel bene o nel male, un ideale più ampio. Anche in questo caso, pur nella consapevolezza delle competenze di Putin rispetto al governo e alla ripartizione delle mansioni nella macchina governativa, si è assistito al prevalere del ritorno politico sulla risoluzione delle criticità più rilevanti.

Malgrado i riferimenti alle problematiche riguardanti i bambini russi – famiglie adottive, bambini con esigenze particolari o disabilità, alloggi per gli orfani, relazioni familiari – i punti su cui si è posto l’accento erano legati alla qualità del sistema educativo, alla possibilità di accedervi, ai percorsi per i ragazzi disabili. Ma un tema preoccupava, nello specifico, il Commissario: garantire l’opportunità di far sviluppare e far crescere i bambini “come individui, educandoli ad essere anche futuri genitori”.

Un’ulteriore proposta del Federal Service for Supervision in Education and Science (Rosobrnadzor) è stata quella di creare un gruppo speciale in grado di valutare le opportune modalità per “forgiare il carattere” a scuola. Un percorso che, si spera, non sarà ispirato ai criteri che attualmente utilizzano per regolare il comportamento dei giovani, anche e soprattutto di quelli che manifestano in piazza contro il governo.

Un altro elemento puramente politico che serve a separare nettamente le responsabilità del governo centrale (e, in particolare, del presidente che non fa parte del governo) da quelle dei singoli governatori (non scelti direttamente da Putin, ma “filtrati” certamente in base alle sue decisioni) è l’inserimento dei desiderata in termini di politiche per l’infanzia nelle performance dei singoli governatori, che hanno visto negli ultimi mesi un rimpasto significativo.

Finalmente, solo alla fine del meeting, sono stati affrontati i temi più importanti: le residenze per gli orfani, i bambini con ritardi nello sviluppo e le malattie che colpiscono gli orfani. Secondo il Commissario, la centralizzazione, per motivi economici, dell’acquisto dei farmaci è considerato un punto centrale in quanto la differenza tra il prezzo al dettaglio sostenuto oggi dalle regioni e quello all’ingrosso è davvero rilevante. Un processo che, secondo Putin, richiede una procedura che ancora non è presente.

E ora veniamo ai fatti, dalla politica alla realtà.

Si accennava in precedenza all’importanza, secondo il Commissario, di “forgiare il carattere”. E in questo ambito il Cremlino sembra dare il meglio di sé. La pressione, anche per i più piccoli, inizia già a scuola. Lo scorso anno si è aperto un dibattito tra gli insegnanti di storia sulla scelta del governo di imporre la propria versione dell’interpretazione della Seconda Guerra Mondiale. Anche la presenza di un ministro dell’educazione di stampo staliniano ha ulteriormente aggravato la situazione.

Ovviamente questo si riflette anche nei testi scolastici di storia che propongono “varianti” alternative, soprattutto se si parla del Patto Molotov-Ribbentrop (il noto “Patto di non aggressione”, divenuto “di difesa”), l’invasione della Polonia attuata dalla Germania di concerto con l’Unione Sovietica e la gravità dei crimini di Stalin, volutamente edulcorata. E l’“orientamento” non si limita solo alla politica, ma si estende anche all’ambito religioso. Alcuni genitori si sono lamentati per l’imposizione di un’ideologia religiosa diffusa attraverso lezioni sulla “cultura russa morale e spirituale” e libri di storia sbilanciati a favore della chiesa ortodossa, una mossa certamente inappropriata per cattolici, ebrei, musulmani e altre confessioni religiose. Anche i genitori di fede ortodossa si sono opposti all’imposizione di queste lezioni a persone di un altro credo religioso.

Anche in ambito normativo la realtà sembra smentire le dichiarazioni. Come molti ricorderanno, nel mese di febbraio del 2017 è stata approvata una legge che depenalizza alcune forme di violenza domestica. Tutto questo in un paese che vede non solo morire ogni anno circa quarantamila donne per abusi domestici (una ogni quaranta minuti), ma anche violenze sistematiche sui bambini. A causa di questo provvedimento, picchiare la moglie e i figli (le ossa non devono essere rotte) porta a quindici giorni di carcere o a una sanzione (cinquecento dollari, ad esempio), se non avviene più di una volta all’anno.

Un altro provvedimento che, secondo The Moscow Times, ha trasformato i bambini in “pedine” coinvolte in una guerra geopolitica che ha toccato interessi economici di rilievo è il noto Dima Yakovlev Law del 2013, inserito nelle misure che la Federazione ha intrapreso in risposta al Magnitsky Act. La legge, il cui nome appartiene a un bambino russo adottato da una famiglia americana e morto nel 2008 dopo essere stato “dimenticato” dal padre in auto per ore, impedisce l’adozione da parte di cittadini statunitensi di bambini russi e ha coinvolto moltissime persone, causando dolore sia ai bambini orfani pronti per essere accolti in una nuova famiglia sia ai potenziali genitori adottivi. Nel mese di luglio di quest’anno Stati Uniti e Federazione Russa si sono confrontati sulla possibilità di modificare la legge, ma i russi hanno sottolineato la necessità di creare da parte statunitense un’agenzia di controllo nel ramo esecutivo. Solo in questo caso saranno disposti a emendare la legge.

Ricordiamo che la condizione degli orfani in Russia è molto grave. Le adozioni sono diminuite: nel 2012 le famiglie russe hanno adottato 6.500 bambini, nel 2015 quel numero è arrivato a 5.900, mentre per le adozioni internazionali si è passati dai 2.400 bambini del 2012 a 746 del 2015. Il numero dei bambini riportati in orfanotrofio è aumentato nel 2015, circa 5.600, ossia il 6 per cento in più rispetto all’anno precedente.

E le strutture che ospitano ragazzi orfani non sempre hanno vita facile, com’è accaduto a un centro del villaggio della Regione di Čeljabinsk. Tre famiglie adottive hanno rotto il silenzio, parlando apertamente degli orrori che i figli adottati hanno subito mentre erano nella struttura, tra abusi sessuali e stupri portati avanti da un esterno con la complicità di un referente interno dello staff. Anche il World Report 2018 di Human Rights Watch ha confermato numerosi casi di abusi su bambini (e anche adulti) disabili accolti in strutture statali. Secondo quanto indicato dal ministero del lavoro e delle politiche sociali, le autorità in alcune regioni stanno cercando di spostare i bambini dalle strutture, promuovendo l’affido familiare.

Anche trovare un supporto concreto crescendo un figlio disabile è molto difficile. La testimonianza di una madre con un bambino autistico raccolta da Open Democracy offre uno spaccato realistico delle condizioni in cui le famiglie con figli disabili sono costrette a vivere. Stanca della mancanza di un supporto statale e di medici competenti capaci di diagnosticare l’autismo del figlio, la madre, Natalya, ha aperto da sola un centro per bambini disabili, partendo da una sola stanza fino ad arrivare a creare un vero e proprio centro che rappresenta un punto di riferimento per altre famiglie. 

Vi sono poi le storie di donne coraggiose, raccontate da Radio Free Europe Radio Liberty, che combattono contro il sistema, com’è avvenuto in Crimea, ad Armyansk. Una madre è stata diffamata a mezzo stampa e accusata di essere una “spia” e una “sabotatrice ucraina” per aver denunciato le conseguenze legate alla perdita di sostanze tossiche provenienti da un impianto chimico, chiuso a settembre e riaperto il 20 ottobre. Ma dopo l’evacuazione dei bambini avvenuta a settembre la situazione non è migliorata. La polizia e le autorità hanno cercato di intimidirla, fino a minacciarla di sanzionarla con una multa tra i 150 e i 230 dollari.

Queste sono solo alcune delle storie di madri e bambini che affrontano ogni giorno le dure condizioni della vita in Russia.

E mentre si auspica un intervento governativo più incisivo per proteggere i bambini e i giovani in generale, non si può non tornare con la memoria a quel 1° settembre del 2004 quando un commando di terroristi in prevalenza ceceni prese d’assalto una scuola di Beslan, in Ossezia del Nord. Erano oltre mille gli ostaggi tra scolari, parenti e insegnanti, costretti per tre giorni a rimanere nella scuola, assistendo alle esecuzioni di molti degli ostaggi. A seguito di un “discutibile” blitz delle forze speciali russe, fu posto fine all’assedio, con 334 morti, di cui 186 bambini. Secondo la versione delle autorità, il blitz era scattato dopo tre esplosioni, forse provocate dagli ordigni piazzati nell’edificio dai terroristi, che chiedevano il ritiro dell’esercito russo dalla Cecenia e la liberazione di alcuni detenuti.

Secondo le mamme di Beslan, alcune delle quali in ostaggio, le esplosioni furono provocate dall’esterno e le autorità russe non si impegnarono abbastanza nella negoziazione con i terroristi. Molti hanno puntato il dito contro le forze speciali russe, in particolare il gruppo “Alpha”, il cui assalto deliberato, con lanciafiamme Shmel (vietati dalle convenzioni internazionali) e l’uso di carri armati, avrebbe causato l’elevato numero di vittime, tra cui tutti i sequestratori, tranne un membro del commando catturato e condannato all’ergastolo. Oggi le mamme di ’Golos Beslanà (“La voce di Beslan”) aspettano ancora di sapere la causa della morte dei propri cari, sepolti con pallottole in diverse parti del corpo o carbonizzati.

Non furono effettuati i dovuti esami medico-legali né quelli balistici. E mentre il presidente Putin parlò di irruzione non deliberata, ma provocata dal precipitarsi degli eventi, la persona incaricata di mediare con i terroristi non riuscì mai ad arrivare a Beslan a causa di un avvelenamento che la costrinse a interrompere il viaggio. Quella persona, come noto, era Anna Politkovskaja e qualcuno non voleva che arrivasse in quella scuola, almeno non quel giorno. Anna ritornò in autunno nella cittadina per ascoltare le testimonianze delle madri che avevano perso i figli, cercando di convincerle a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2017 ha condannato il Cremlino per le modalità dell’assalto. Anche se la Novaja Gazeta, per cui lavorava, ha continuato negli anni a indagare, la verità è stata sepolta insieme ad Anna, uccisa nel 2006 nell’androne del suo palazzo.

A quale Russia, dunque, dobbiamo credere? A quella di Beslan o del Commissario Anna Kuznetsova? Sembra, purtroppo, che il cammino per una Russia attenta ai diritti dei minori sia ancora molto lungo.

Essere bambini nella Russia di Putin ultima modifica: 2018-11-13T18:00:23+01:00 da ANNALISA BOTTANI
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