Lunedì 12 novembre, interno del Tempietto Egizio del Verano, dove si svolgono i funerali laici.
Le immagini s’alternano sullo schermo al plasma sulla parete, mentre amiche e amici prendono la parola per ricordarlo. Immagini di diverse epoche, foto in bianco e nero degli anni in Iran, foto più recenti, a colori, di spensieratezza, di affetti e di amicizie, in campagna, al mare, in famiglia. Molto belle. Le diverse età di Bijan. Fino alla più recente, barba bianca rasa. E lui, anche lì, anche in quelle immagini, il sorriso e la postura di chi t’ascolta davvero e che quando sta con gli altri ci sta davvero, la cordialità – il suo tratto identitario –, una rara umanità. Figura speciale, carismatica. Bijan Zarmandili.
Quella sequenza m’ha acceso il ricordo di un’immagine, ma non so neppure se ci sia nel suo album fotografico. L’immagine di Bijan in vespa. Sulle strade senza traffico dell’Umbria. Contento come un ragazzino. Se l’indimenticabile Carlo Acreman, suo cognato e amico, cavalcava una comoda Bmw – ma Carlo, con Roberta, amava viaggiare in moto, amava viaggiare tanto quanto amava il jazz – Bijan trovava la vespa l’unico mezzo possibile per andare dalla sua casa in campagna a comprare il giornale, al bar, a fare spese. Soprattutto, la vespa gli dava un senso di libertà e il piacere della libertà. Una vecchia vespa, s’intende, di quelle che oggi sarebbero da collezione. Non so se Claudia ci si facesse portare, di certo si vedeva che guardava con simpatia il marito in sella alla sua 125. E chissà se il talentuoso figlio Samad l’abbia lui adesso, quella vespa, o ne abbia ereditato la passione…
Bijan amava la libertà e la vespa gli dava prova che era possibile averla e godersela, la libertà. Credo che solo la pipa avesse un posto altrettanto importante nel suo mondo delle cose. Ultimamente avevo perso i contatti con lui, non era più capitato di incontrarlo e di conversare con lui, non so cosa ne sia stato della sua vespa, del suo buen retiro in Umbria, dove ha scritto i suoi bellissimi libri ambientati in Persia e tanti articoli colti per Limes. A me, comunque, piace ricordarlo così, in una giornata di sole nelle campagne primaverili dalle parti di Marsciano, sulla sua vespa.
Bijan Zarmandili conosceva e sapeva apprezzare le cose belle del nostro paese, diversamente da tanti italiani nati in Italia, forse perché molti italiani sono arrabbiati – e lui non aveva alcuna familiarità con la rabbia, l’hanno detto tutti nel Tempietto. Molti italiani non sanno guardarsi intorno come sapeva fare Bijan, mettendosi in sintonia con l’ambiente circostante, nel quale riusciva, chissà, a vedere anche un po’ del suo Iran, nelle colline umbre (ma questa è una nostra fantasia).
Scomparso una settimana fa, a 77 anni, la sua morte ha colpito tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo o anche solo d’incontrarlo. Sono stati ricordati i suoi libri, l’Iran che lasciò molto giovane e a cui è rimasto sempre legato. E i suoi articoli di esperto di cose mediorientali, e chi più di lui ne sapeva? In quel ginepraio irrazionale d’intrighi e d’intrichi Bijan riusciva sempre a trovare un filo logico che aiutava a spiegare quello che stava succedendo.
Era italiano ed era iraniano, non era la somma delle due cose, non alternava le due dimensioni, non era la miscela delle due cose. Era Bijan.
A Claudia, Samad, Roberta e Giulia il nostro cordoglio.
Riccardo Cristiano, “Addio ad un grande scrittore, Bijan Zarmandili”, Reset
Anna Toscano, “Bijan Zarmandili e il suo Iran”, Doppiozero

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