Grecia, finalmente la separazione tra Stato e Chiesa

Secondo l’accordo tra il primo ministro Alexis Tsipras e il primate della Chiesa greca le due istituzioni avranno in futuro “ruoli chiaramete distinti”. Contrari una parte della Chiesa ortodossa e la destra, che guarda alle elezioni europee.
DIMITRI DELIOLANES
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L’articolo della Costituzione è sibillino: “Il cristianesimo ortodosso è la religione prevalente” nel paese. Cosa significhi questo “prevalente” è questione di interpretazione da quasi due secoli. La maggior parte dei costituzionalisti esclude qualsiasi riconoscimento di una religione o di una Chiesa “di stato”. Le varie costituzioni che si sono succedute, infatti, hanno demandato i rapporti tra il potere politico e quello ecclesiale alle leggi ordinarie, proprio per evitare la loro “ufficializzazione”.

D’altra parte, il cristianesimo ortodosso è numericamente prevalente nel Paese, visto che i battezzati rappresentano più del novanta per cento dei cittadini. Quello che conta di più è che costituisce parte essenziale della cultura greca da due millenni: i Vangeli sono stati scritti in greco, greci di lingua e di cultura erano i Padri della Chiesa e lo sono ancora molti Patriarchi d’Oriente. La stessa insurrezione contro l’Impero Ottomano del 1821 è avvenuta anche in nome della fede. Non a caso c’è la croce nella bandiera.

Il Sinodo della Chiesa di Grecia

Un equilibrio delicato, quindi, che gli estensori delle varie costituzioni hanno volutamente lasciato senza definizioni precise, permettendo ai due protagonisti, politica e gerarchia religiosa, di gestire la cosa con ampi margini di manovra.

Ma non tutto è andato per il verso giusto. Spesso la Chiesa greca si è voluta appropriare di poteri non suoi, intervenendo su questioni squisitamente politiche, specialmente nel corso della guerra civile, quando il battesimo diventava di fatto obbligatorio e la fede religiosa era riportata sulle carte di identità.

Ma anche lo Stato non ci è andato leggero. Dagli inizi del secolo scorso un numero imprecisato di proprietà immobiliari della Chiesa sono passate nelle mani del demanio pubblico con procedure sommarie, provocando i risentimenti dei vescovi.

Ora Alexis Tsipras e l’arcivescovo Ieronimos, primate della Chiesa autocefala (cioè indipendente) greca, hanno voluto mettere fine a questa situazione e attribuire alle due istituzioni “ruoli chiaramente distinti”, come riporta il comunicato ufficiale. Concludendo trattative condotte in segreto dal 2016, i due hanno presentato una bozza di accordo che dovrebbe tagliare la testa al toro.

Lo stato affermerà ufficialmente la sua “neutralità” rispetto all’ambito confessionale. Tutti gli immobili contestati passeranno sotto il controllo di un fondo apposito, sul modello del fondo sulle privatizzazioni creato dalla famigerata troika. Tale fondo sarà sotto il controllo paritario dello Stato e della Chiesa e avrà lo scopo di sganciare gli immobili dalle pastoie legali, in modo che siano sfruttati commercialmente.

Sfruttare gli immobili, molti dei quali collocati su posizioni strategiche, dovrebbe aumentare gli introiti dei due “proprietari”, cioè il demanio pubblico e la Chiesa. Nella strategia dell’accordo questa parte è fondamentale, perché riguarda anche lo stipendio dei circa diecimila membri del clero greco.

Oggi i preti e i vescovi vengono stipendiati dalla casse pubbliche, con una formula che di fatto li equipara agli impiegati pubblici. È una soluzione maturata nell’immediato dopoguerra, quando la Chiesa si era schierata in prima fila nel combattere la ribellione comunista. Prima vigeva un sistema di finanziamenti indiretti: i soldi venivano versati al Sacro Sinodo che poi li gestiva autonomamente. E prima ancora i sacerdoti venivano stipendiati in parte dallo Stato in parte dagli introiti della Chiesa.

Ieronymos II di Atene e Alexi Tsipras

Tsipras ha spiegato che il progetto è quello di togliere i sacerdoti dal numero degli impiegati pubblici. Per un periodo transitorio di alcuni anni continueranno comunque a incassare il loro stipendio dallo Stato, ma alla fine sarà il fondo comune a pagarli, senza cambiare l’ammontare né il contratto nazionale. In cambio, l’amministrazione pubblica greca, decimata durante i duri anni della troika, potrà assumere ben diecimila nuovi poliziotti, paramedici e professori.

Proprio questo aspetto, il loro status lavorativo, ha provocato le dure reazioni del clero. L’Unione dei Sacerdoti ha protestato duramente, provocando un’accesa discussione nel Sacro Sinodo, che si è riunito il 16 novembre. Buona parte dei vescovi ha accolto le rimostranze dei preti e ha respinto l’accordo. Cinque metropoliti hanno anche abbandonato la riunione.

Alla fine, ci sarà un’apposita commissione ecclesiale che dovrà gestire le trattative con il governo. Tsipras e Ieronimos, peraltro, hanno annunciato che continueranno a percorrere la strada definita dalla bozza.

Oltre al desiderio dei sacerdoti di rimanere impiegati dello Stato, c’è anche da affrontare il problema costituito dal fatto che in Grecia funzionano tre distinte Chiese ortodosse. Alla giurisdizione della Chiesa autocefala di Grecia sono sottratti i territori che appartengono al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli: l’Egeo, la Macedonia e la Tracia. Mentre la Chiesa dell’isola di Creta è semi-autocefala, cioè Costantinopoli conta parecchio sulle sue decisioni.

Chi sa come funzionano le chiese ortodosse capisce che buona parte dello scontro dentro il Sinodo è di carattere preelettorale. L’arcivescovo Ieronimos ha ottant’anni e ben presto i vescovi dovranno eleggere il suo successore. Non a caso uno dei protestatari più vivaci è il metropolita di Messenia Chrisostomos, di appena cinquantasette anni.

Kyriakos Mitsotakis, leader di Nuova Democrazia

Ma non sono solo i vescovi a pensare all’elezione dell’arcivescovo. Nel 2019 ci saranno le elezioni europee in contemporanea con le elezioni regionali e comunali e infine, probabilmente a settembre oppure ottobre, le elezioni parlamentari. La campagna preelettorale è già ampiamente cominciata.

Anche l’opposizione di destra, quindi, ha buoni motivi per gettare olio sul fuoco. Il leader di Nuova Democrazia Kyriakos Mitsotakis aveva accolto positivamente la bozza di accordo, dicendo che “ricopiava precedenti proposte” del suo partito. Ma subito ha cambiato posizione e sposato la tesi della “incertezza lavorativa” del clero. Detto da un convinto neoliberista, che predica meno Stato e più privatizzazioni, suona un po’ strano, ma così va la politica di questi tempi. Più sconvolgente ancora il presidente del gruppo parlamentare di Nuova Democrazia Makis Voridis, secondo il quale con la “neutralità” dello Stato “sarà vietata la festa del Natale” e “sarà tolta la croce dalla bandiera”.

Secondo la stampa filogovernativa, Mitsotakis ha anche avuto un incontro riservato con l’arcivescovo, cercando di convincerlo di interrompere le trattative con l’“ateo Tsipras” per riprenderle con lui “vero cristiano”, dopo la “sicura vittoria” del suo partito alle elezioni. Ovviamente, sono piovute smentite.

Grecia, finalmente la separazione tra Stato e Chiesa ultima modifica: 2018-11-20T13:21:24+01:00 da DIMITRI DELIOLANES
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