Un investimento di 110 milioni di euro stanziati dalla Fondazione di Venezia, per un polo culturale/tecnologico che ospita un museo, aree per le esposizioni, spazi per le attività didattiche e servizi al pubblico.
Domani l’inaugurazione del museo multimediale M9, e da domenica 2 dicembre sarà possibile visitarlo senza necessità di prenotazione.
Progettato dallo studio berlinese Sauerbruch-Hutton, il complesso comprende sette grandi edifici, di cui tre costruiti ex novo, completamente ricoperti da oltre ventimila piastrelle di tredici diversi colori, un auditorium da duecento posti dotati di visori per la realtà aumentata.Dei tre piani del museo, i primi due sono dedicati alle esposizioni permanenti mentre l’ultimo a quelle temporanee. Otto i filoni tematici in esposizione: “Come siamo e come eravamo”, dedicata alla demografia e alle strutture sociali; “The Italian Way of life” a consumi, costumi e stili di vita; “La corsa al progresso”; “Soldi soldi soldi. Economia, lavoro, produzione e benessere”; “Guardiamoci intorno” sulle trasformazioni socioeconomiche che hanno interessato paesaggi e insediamenti urbani; “Res publica”; “Fare gli Italiani” e “Per farci riconoscere”.
Di notte, un’immagine satellitare della Nasa mostra un’ampia macchia bianca di luci sfavillanti, senza fratture tra le parti che la costituiscono. Una metropoli. Un bel pezzo di Veneto. Al suo centro c’è Mestre. Dieci minuti di treno dal centro storico di Venezia, dodici da Padova, quindici da Treviso. Città bifronte, Mestre. Guarda verso Venezia, di cui amministrativamente è parte, e guarda verso l’area metropolitana di cui è anche parte, un’area che comprende la provincia veneziana, le province e le città di Padova e di Treviso. Senza soluzione di continuità. Le ovvie conseguenze amministrative di uno sviluppo urbano che nella seconda metà del Novecento ha saldato tra loro tre territori distinti, forse non le vedremo nei prossimi anni – ci sarà mai una grande città metropolitana veneta intorno al suo capoluogo? Ma intanto un museo che nasce in questi giorni a Mestre, l’M9, proprio questo futuro anticipa.
Ci racconta di una grande città moderna, viva e in espansione. Quelli che ancora la considerano la periferia di Venezia insulare, bisogna aggiornarli – e questo sarà uno dei compiti dell’M9 – spiegando loro che Mestre è al centro di un’area vasta, plurale e articolata, e sempre più compatta, finché un giorno non ne diventerà il centro: il centro di un’area a sua volta al centro del Nordest.
L’M9 era stato immaginato per dare a Mestre il museo che manca alla città di terraferma e per riequilibrare almeno un po’ il divario di strutture culturali tra le due parti della città veneziana. Eppure, con oltre quaranta musei a Venezia, l’idea di un nuovo museo sembrava a molti – veneziani e non – un “di più” inspiegabile, per non menzionare altre considerazioni poco eleganti. E poi cosa metterci in un museo oggi? Quali opere d’arte, quali oggetti? La scommessa di un museo “immateriale” non era facile, allora, da comunicare. Oggi che l’M9 inizia a vivere si capisce che non solo era l’unica possibile e sostenibile. È una scelta destinata a fare la storia della città.
La prima ipotesi era dunque quella di un museo “di” Mestre. Che lascia presto spazio al progetto di un museo “a” Mestre. Nella prima ipotesi, il museo della città – la città moderna – si sarebbe iscritto con evidenza “tra i musei delle città che molti luoghi al mondo hanno costruito per connettere la loro storia al momento attuale”. Inoltre “il recupero della storia moderna” avrebbe dato luogo “a un segno di innovazione che possa connotare emblematicamente la Venezia del futuro”, una storia “da raccogliere in un museo che riutilizza, ordina e rende manifesta la documentazione dell’espansione urbana ed edilizia, delle memorie aziendali e delle cronache dell’esodo”. Così scriveva su La Nuova Venezia il 30 luglio 2005 Giuliano Segre, persona dalle maniere controllate che non celano l’irrequietezza interiore del visionario anticipatore dei tempi. Segre è allora presidente della Fondazione di Venezia, in quella veste è il principale ideatore e sostenitore del museo mestrino, fino al 2015, quando lascia la guida della Fondazione e, quindi, la responsabilità della realizzazione del museo.
Ma la storia di una città che inizia e si svolge nel Novecento, senza tracce anteriori rilevanti, non avrebbe giustificato uno spazio museale ad hoc, un museo con l’ambizione di attrarre molti visitatori, non solo locali, e capace di generare un indotto significativo. Inoltre, l’identità mestrina oggi non si gioca tanto in rapporto a quella soverchiante di Venezia, quanto rispetto al ruolo di una città che assume proprie dimensioni e aspirazioni metropolitane.
Il ragionamento di Segre e degli altri promotori e ideatori del progetto – articolati in due gruppi di studio (gli advisory board del progetto nominati dal consiglio generale della Fondazione di Venezia), uno dedicato a tracciarne i contenuti museali presieduto da Cesare De Michelis, da poco scomparso, e uno dedicato all’utilizzo delle migliori e più recenti tecnologie espositive, guidato da Valerio Zingarelli, tecnologo dei grandi progetti da Vodafone all’Expo, alla Rai on demand – si sposta nella direzione di un museo al centro di un grande bacino d’utenza, proprio di una città di dimensioni metropolitane. È mantenuta l’impostazione originaria di museo multimediale, d’immagini e interattivo, basato sulle più moderne e innovative tecnologie e periodicamente rinnovate, un museo “editore” più che “conservatore”, come sottolinea Segre. E, in quell’impostazione, quella che doveva essere una storia locale diventa la storia italiana.
Il Novecento – sostiene Gianni Toniolo, ora coordinatore del comitato scientifico dell’M9 – è il secolo in cui l’Italia cambia completamente, il secolo delle grandi trasformazioni. In quest’ottica Mestre era il sito perfetto, il posto che da tanti punti di vista, a cominciare dalla sua storia urbana e industriale poteva essere preso a metafora del Novecento.
Ci vogliono dieci anni per arrivare alla realizzazione. Ed ecco oggi M (museo) 9 (Novecento), il primo museo tutto interattivo in Europa.
La relazione con le tecnologie della conoscenza è la grande scommessa di una complessa installazione come l’M9. Nel breve periodo s’apprezzeranno le sue ricadute più evidenti, a partire da quelle riguardanti l’area in cui esso sorge, nel cuore di Mestre, per tanto tempo lasciata deperire, e oggi destinata a rendere ancora più vivo il centro della città. Con i suoi spazi espositivi e d’incontro. I suoi ristoranti. I negozi. M9 sarà un luogo dove varrà la pena andare per incontrarsi, oltre che per visitare il museo e vedere le esposizioni temporanee. Ma tutto questo dovrà produrre un giro di soldi sufficiente per contribuire a mantenerlo bene in attività e per sintonizzarlo via via con l’innovazione tecnologica, com’era nelle premesse progettuali originarie.
Non c’è un retroterra di alta tecnologia nei dintorni, ma potrebbe essere proprio l’M9 a stimolare iniziative d’impresa della conoscenza e di ricerca e sviluppo, specialmente nel campo dell’interazione tra cultura e hi tech, che è l’essenza e il motore del progetto mestrino. Se nel medio lungo periodo si vedrà sorgere qualcosa in quella direzione, significherà che M9 è un “incubatore” e volano d’innovazione oltre a essere un museo molto bello. Questa duplice funzione è nel suo dna fin dal pensiero originario al quale collaborarono in tanti sulla chiamata di Segre. Occorrerà un grande forzo specifico da parte dei curatori perché essa si estrinsechi in entrambi i suoi aspetti, nel rispetto della capacità materiale e politica della Venezia dei grandi secoli della storia. Altrimenti sarà difficile e sempre più costoso correr dietro agli sviluppi tecnologici, nel rischio costante di finire in un futuro di prematura obsolescenza e irrilevanza.

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