Se uscisse dal partito di cui pure è stato segretario, Matteo Renzi non potrebbe dar vita a un gruppo suo al senato, ma finirebbe – e con lui i suoi fedelissimi – nel gruppo misto, in compagnia di vecchie conoscenze, come Vasco Errani e Pietro Grasso. A Palazzo Madama non è possibile costituire gruppi che non rispecchino i partiti che si sono presentati alle ultime elezioni.
Non sarà però questo a impedire la scissione – anche se non è un dettaglio minore – ma piuttosto lo sviluppo di eventi non previsti all’inizio della sua manovra di sganciamento dal Pd, un’operazione che per la verità gli è stata attribuita sulla base di diversi indizi ma non è mai stata annunciata dall’interessato (ma neppure smentita, se non con giri di frasi che dicono e non dicono).
Le voci della separazione hanno intanto prodotto la rinuncia, da parte di Marco Minniti, alla corsa per la segreteria del Pd. Decisione che ha stupito, anche perché presa sulla base, appunto, del disimpegno di Renzi e dei suoi seguaci nei suoi confronti, quello stesso Renzi dal quale l’ex ministro aveva preso con grande enfasi le distanze nel momento dell’annuncio della sua candidatura. La rinuncia di Minniti ha creato sconquasso nei gruppi parlamentari e soprattutto nei “territori”, tra tutti i dirigenti e quadri locali che si erano messi in moto per sostenere la sua corsa. Totalmente spiazzati, alcuni di loro non sanno davvero che pesci prendere, altri pensano a come arruolarsi nell’ancora informe cosa renziana.
Ma di questa “cosa” si sa in realtà molto poco, se non che se ne stanno occupando Sandro Gozi e Ivan Scalfarotto e che c’è ancora molto da fare perché il movimento prenda quota. Un’operazione più complessa di come la presentino i media.
Nel frattempo gli altri, nel Pd, non stanno fermi, nonostante la confusione estrema che regna nel partito a Roma e in periferia.
Il ritiro di Minniti potrebbe perfino produrre la messa in discussione del congresso così com’è stato impostato, specie se contemporaneamente dovesse davvero prendere corpo il progetto di Renzi, che per quanto possa essere considerato complementare al Pd molto difficilmente lo sarebbe.
In quel caso potrebbe avvenire – se ne parla in queste ore – quello che in molti auspicano da tempo, e cioè un embrassons-nous intorno a un leader che sia in grado di garantire tutti e contemporaneamente di ridurre la portata della minaccia renziana.
E chi, se non Paolo Gentiloni, potrebbe rispondere a un simile identikit?

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