Macron, il re Tartufo

Agli inizi del suo mandato la Francia ha vissuto la fase del re Ossimoro: colui che voleva riconciliare o superare gli opposti inconciliabili. E rinnovare, o ringiovanire, la democrazia francese. L’illusione è durata qualche mese: nelle ultime settimane, il movimento dei gilet gialli ha continuato a “svestire” il re. E questa volta fino all’osso.
PATRICK GUINAND
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Con il presidente Macron, all’inizio del suo mandato, la Francia ha vissuto la fase del re Ossimoro: colui che voleva riconciliare o superare gli opposti inconciliabili. E rinnovare, o ringiovanire, la democrazia francese. L’illusione è durata qualche mese, poi ci siamo resi conto che il re, così preso dal suo desiderio di governo verticale e impigliato in qualche vicenda maldestramente o ciecamente gestita, come all’inizio dell’estate quello della sua guardia del corpo coinvolta in un evento in cui non avrebbe dovuto esserci, era improvvisamente diventato quasi nudo. Un effetto collaterale dell’hybris macroniana.

Nelle ultime settimane, il movimento dei gilet gialli – che riflette un malessere sociale profondo, una rivolta di quella Francia che arriva a stento a fine mese, che soffre la forte disuguaglianza nella distribuzione dei frutti della crescita, abbandonata dai servizi pubblici locali e che rivela così una saturazione viscerale contro una politica condotta per anni da vari governi, accelerata da un’azione appropriata da parte dell’uomo che è diventato in modo indelebile “presidente dei ricchi” – ha continuato a “svestire” il re. E questa volta fino all’osso.

La popolarità del “re” Macron è diminuita in quindici mesi dal 65 per cento al ​​23 per cento. La caduta più spettacolare nella storia della Quinta Repubblica. E lo scorso lunedì 10 dicembre, quando il presidente Macron ha preso la parola in maniera solenne davanti alle telecamere per cercare di calmare le acque e risollevare la situazione, abbiamo assistito a uno dei più spaventosi esercizi di “tartufferie” istituzionale.

Il suo tentativo di identificarsi coi poveri e di comprendere i problemi della Francia profonda, con un’aria di triste compassione, di emozione contenuta, quasi sull’orlo del pianto, è stato così poco credibile che sarebbero da maledire i coach che devono averlo consigliato. Ha assunto un ruolo impossibile, infatti. Una schiacciante mancanza d’impersonificazione.

Un evidente misero interprete, come si dice nel mondo dello spettacolo, se non per il ruolo di Tartufo. Un Tartufo tecnocrate che, come si apprende a fare nelle grandi “écoles d’administration”, accoglie coraggiosamente i rimproveri che gli sono rivolti e gli argomenti dell’avversario, dando l’apparenza di aver capito, ma la cui magia oratoria non funziona più.

In ogni caso non è l’unificatore nazionale e vicino al popolo che la Francia sperava. I francesi sono stati in attesa di un nuovo slancio, un nuovo contratto sociale, di farla finita con le disuguaglianze clamorose, e hanno ottenuto un registro contabile di misure di emergenza, e probabilmente temporanee, più marketing politico che la visione nazionale di una Francia più equa e più equilibrata. Il presidente Macron, così appassionato di filosofia, sembrava aver dimenticato Montesquieu, Rousseau e la tradizione egualitaria francese. E si è smarrito in un esercizio di finta empatia.

Le misure annunciate sono state pertanto ben mirate, “tecnocraticamente” circoscritte alle principali richieste dei gilet gialli, anche se ancora imprecise nella loro effettiva applicazione, ma in nessun modo hanno risposto al malessere sociale – nella società e nella vita privata – che vive la Francia profonda. E rischiano di essere giudicate dai gilet gialli, e dal popolo in rivolta, come un primo passo, un’elemosina, benvenuta certamente, ma in ogni caso totalmente inadeguata a soddisfare la richiesta di cambiamento che sta attualmente accendendo la Francia.

Ed è sicuro che il movimento continuerà. Con tutte le incertezze di una mobilitazione spontanea – multiforme e molto eterogenea rispetto alle rivendicazioni – nella quale i corpi intermedi che Macron ha fatto di tutto in questi mesi per ridurre al minimo, evitare, o svuotare dei loro poteri, non hanno possibilità di dire alcunché. Dice che ora vuole consultarsi con loro, sindaci, associazioni di eletti, sindacati, gruppi di sostegno presenti sul terreno, in un “piano di emergenza economica e sociale” per ripristinare una società solidale. Le parole di oggi sono improvvisamente l’opposto delle azioni di ieri. Da vedere come reagiranno gli interessati.

L’attacco di martedì sera a Strasburgo dovrebbe mettere per un momento la solidarietà nazionale in primo piano, unita contro il terrorismo. Un improvviso cambiamento di priorità, che raccoglie consensi. Ma il male economico, il malessere sociale, non saranno meno presenti.

In effetti dalla rabbia contro i bassi salari, contro la scure sulle pensioni, contro lo schiacciante onere fiscale e contributivo (in questo settore la Francia è in testa ai paesi europei), contro i regali fatti ai più ricchi con l’imposta sul patrimonio (gli economisti non riescono ancora a dimostrare, a distanza di un anno dalla sua cancellazione, che i considerevoli guadagni realizzati per questi privilegiati – stiamo parlando di 5-8 miliardi di euro – sono stati reinvestiti nell’economia) o contro gli errori della politica ambientale (tradotti in termini di maggiori imposte, in particolare alla pompa di benzina, a scapito del sociale, che hanno soffiato sul fuoco) siamo passati nelle ultime settimane a uno slogan unitario: “Macron démission!”. Un odio che raramente si era visto così chiaramente espresso.

La prestazione televisiva di questo lunedì non dovrebbe davvero cambiare qualche cosa. I deputati macronisti iniziano a fare il loro mea culpa, riconoscendo di essere stati presi da “un’ebbrezza maggioritaria”, facendo passare con la forza le riforme che credevano giuste poiché volute direttamente dall’Eliseo, e osano pronunciarsi oggi qua o là per un riequilibrio nelle disparità sociali. Alcuni addirittura mettono in dubbio la riforma sulla tassa sul patrimonio, dall’alto valore simbolico, che rimarrà un marchio della presidenza Macron. Ma naturalmente inviso ai gilet gialli, e brandito come prova del disprezzo presidenziale.

Il presidente Macron nel suo discorso televisivo ha posto fine alla non-ricevibilità. Si è avventurato fino a promettere come compensazione una sorveglianza maggiore sull’evasione fiscale e una tassazione più rigorosa delle imprese che fanno profitti in Francia, promesse che gli esperti hanno ben presto qualificato come una pia illusione, tenuto conto delle regole internazionali che permettono l’ottimizzazione fiscale, ma del riesame o della soppressione della riforma dell’imposta sul patrimonio ha fatto sapere che era fuori questione.

E così quelli che sono a salario minimo e si sono visto concedere dal “re” un aumento di cento euro al mese, saranno felici di sapere che lo 0,1 per cento dei contribuenti più ricchi hanno ottenuto quest’anno attraverso la riforma un guadagno medio di 86.000 euro, e che continuerà così. Mentre le misure annunciate, descritte da molti gilet gialli intervistati a caldo lunedì sera come “briciole” in gran parte insufficienti, avranno un costo per il bilancio dello stato, secondo le prime stime, di circa dieci miliardi di euro. E rischiano di portare la Francia oltre la sacrosanta regola europea del deficit di bilancio del tre per cento. Che tra l’altro dovrebbe dare una forte argomentazione al governo italiano nei suoi negoziati con Bruxelles.

Ma minacceranno seriamente anche i sapienti equilibri inventati finora dai macronisti e le scommesse economiche e ideologiche su cui si basano, e che non hanno ancora dato alcun risultato visibile o tangibile per la popolazione.

Il presunto re Macron, ora demistificato, voleva colpire duramente: dare con una mano, troppo poco infatti per calmare la rabbia popolare, e continuare con l’altra la sua linea ideologica. Ha cercato di salvare il suo mandato di cinque anni, e questo non sarà facile. E sappiamo, grazie a Molière, che Tartufo non fa una bella fine.

[traduzione di Marco Michieli]

versione originale in francese

Macron, il re Tartufo ultima modifica: 2018-12-13T14:20:49+01:00 da PATRICK GUINAND
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