Gli ultimi non saranno i primi: Matteo Amati, l’anti-Buzzi

Singolare figura della sinistra italiana, attivissimo a Roma e nel Lazio per mezzo secolo nel mondo variopinto delle cooperative agricole, dell’assistenza sociale, del volontariato e della solidarietà, ha raccolto alcune riflessioni semi-autobiografiche in uno smilzo volume che impone di riflettere su una lunga stagione di lotte sociali e di azioni amministrative
DANIELE ARCHIBUGI
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Matteo Amati è una singolare figura della sinistra italiana. Attivissimo a Roma e nel Lazio per mezzo secolo nel mondo variopinto delle cooperative agricole, dell’assistenza sociale, del volontariato e della solidarietà, è la chiara dimostrazione di quanto sia difficile essere dalla parte dei più deboli. Ha ora raccolto alcune riflessioni semi-autobiografiche in uno smilzo volume che impone di riflettere su una lunga stagione di lotte sociali e di azioni amministrative: Animali abbandonati in pascoli abusivi. Un ’68 diverso ( Viella, 114 pp., euro 19). Il titolo stesso del libro è sconclusionato, come forse gran parte del percorso politico intrapreso con sorprendente generosità da Amati e dai suoi sodali. Ma la narrazione fa emergere una vita politica e non solo contrassegnata da una sorprendente tenacia legata a un raro altruismo, di cui oggi abbiamo grande nostalgia.


Il primo tratto di questo percorso è il valore attribuito alla socialità, interpretando la solitudine come la peggiore disperazione dei più fragili. Grazie a numerose cooperative, Amati è riuscito a prendersi cura di agricoltori perduti, disoccupati cronici, handicappati, artisti spiantati, carcerati in via di redenzione. La cronaca degli ultimi anni ci ha tristemente fatto sapere che alcune cooperative sono diventate luogo di corruzione e di malaffare, ma questo libriccino mostra che i Salvatore Buzzi sono l’eccezione e non la regola. Il movimento cooperativo si compone anche di persone che amano il lavoro assai più di quanto amino il denaro, battendosi con coraggio per una società solidale. 

Le istituzioni italiane si sono purtroppo dimostrate fin troppo fragili per l’ambizioso compito di integrare e rendere socialmente utili i più deboli. Vediamo così che Amati si è mosso su due lati opposti e spesso separati da un filo di seta. Da una parte, cercare di lavorare al meglio, e con poche risorse, nell’ambito dell’amministrazione locale; ancora oggi, ad esempio, beneficiamo di alcune norme a favore dei portatori di handicap da lui introdotte all’epoca in cui era assessore della Regione Lazio. Dall’altra, agire anche al di fuori delle istituzioni, spesso ricorrendo alla disobbedienza civile, come quando più di quarant’anni fa ha partecipato all’occupazione delle terre, donando al pubblico la fiorente realtà della Cooperativa romana Nuova Agricoltura. Il combinato disposto di lavoro nelle istituzioni e ribellione sociale è stato tutt’altro che facile, ma almeno ha lasciato segni tangibili. 

Occupazione della terra, luglio 1977, www.agricolturanuova.it

Gli intellettuali che ambivano a diventare organici riuscivano a trovare pane (anche biologico) per i loro denti nelle cooperative animate da Amati, infaticabile organizzatore di dibattiti e incontri. In questo percorso politico e personale, non mancano certo le contraddizioni insanabili per animare una sceneggiatura cinematografica. Il tentativo di mettere insieme agricoltori solitari, emarginati e immigrati con artisti delle transavanguardie ha spesso generato risultati paradossali, con contadini che dopo aver passato una intera giornata sul trattore si trovavano ad assistere a performance del graffitismo o del teatro dell’assurdo. Ma le antinomie si riuscivano a conciliare grazie al linguaggio universale e a tutti comprensibile della pasta e fagioli e del vino rosso appena spillato dalla cantina. 

Gerardo Lo Russo, “Cazzo armato”.

La parte più ilare di tutto il volume è la vicenda dell’installazione di Gerardo Lo Russo, Cazzo armato. In marmo di Carrara, l’opera di tre metri per due intendeva simboleggiare tre delle grandi sfide del nuovo secolo: il pericolo atomico, la bomba demografica e la nascente epidemia dell’HIV. Ma per maestosità e dimensioni, la statua faceva impallidire tutti i monumenti priapei tra Roma e Pompei, gettando scompiglio tra gli agitprop della sinistra, timorosi che tanto ardore potesse alienare il voto dei moderati. Girava così tale maestosa opera d’arte nell’agro romano alla ricerca di una collocazione, il più possibile invisibile per non urtare la sensibilità dei benpensanti. Scartata come sparti-traffico, rifiutata dalle gallerie, troppo ingombrante per un giardino privato, continuava a subire traslochi senza sapere dove finire. Si pensò addirittura di seppellirla per renderla finalmente innocua, fino a quando ha trovato rifugio in una Cooperativa agricola, accanto al busto di Vladimir Ilic Ulianov, meglio noto tra il popolo comunista con lo pseudonimo di Lenin. E lì, forse, si trova ancora, rammentando qual è stato l’ardore di quel ’68 diverso che è stato spesso ignorato e di cui sentiamo così forte la nostalgia.

Gli ultimi non saranno i primi: Matteo Amati, l’anti-Buzzi ultima modifica: 2018-12-16T19:07:46+01:00 da DANIELE ARCHIBUGI
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