“Mare corto”, viaggio nell’Adriatico di terra e di mare

L'affascinante e colto reportage del giornalista Matteo Tacconi e del fotografo Ignacio Maria Coccia lungo le coste italiane e di Slovenia, Croazia e Albania, traghettando da Ovest a Est e viceversa, a zonzo tra terra e acqua seguendo un filo che lega luoghi e abitanti.
BARBARA MARENGO
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L’Adriatico è un “Mare corto”: con questo titolo gli autori Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia portano a zonzo il lettore descrivendo “coste, isole e persone” tra terra e acqua seguendo un filo che lega luoghi e abitanti.

Tacconi autore dei testi e Coccia delle foto hanno compiuto in due anni un viaggio composto da decine di tappe in auto in ogni stagione, seguendo le coste italiane per quasi mille chilometri e quelle degli Stati rivieraschi di Slovenia, Croazia e Albania, traghettando da Ovest a Est e viceversa. 

Adriatico mare antico che ha legato per millenni le popolazioni costiere attraverso commerci, guerre, cibo, musica, tradizioni, e soprattutto navi, spiagge, rocce, porti. Sono vari gli spunti che “Mare corto” offre al lettore, accompagnato da luminose fotografie, che mostrano aspetti di vita semplice e quotidiana, dal lavoro allo svago, dai monumenti alle storie d’amore.

Ogni mamma che ha cresciuto i figli sulle rive est e ovest dell’Adriatico, sia che il sole le tramontasse di fronte o alle spalle, sa cosa significa avvicinarsi al mare e annusare il vento, e se il vento non c’è, l’acqua. Acqua che è diversa in ogni anfratto, in ogni porto, in ogni spiaggia, in ogni scogliera. Coste diverse e vicine, dirimpettaie e visibili al di là del mare: da Valona in Albania la costa di Otranto dista meno di cento chilometri, da Ancona la costa croata e le isole sono ben individuabili, Trieste e Venezia si fronteggiano senza vedersi ma sono unite dall’abbraccio della fine del mare che i veneziani dichiarano essere Golfo della Serenissima.

Sabbie e muretti a secco, ulivi e tamerici, rocce che si rincorrono e si stemperano nelle lunghe strisce di sabbia caratterizzano l’insieme del bacino, che sulla carta geografica appare come un lungo fiordo alimentato da fiumi. I fiumi italiani della pianura padana e i fiumi della Bosnia, come la Neretva, da dove prima dell’anno Mille arrivavano i pirati narentani tanto combattuti dalle galee veneziane, o gli impetuosi fiumi dell’Albania, che scendono dalle montagne e segnano i confini. Ai fiumi e al loro controllo si collega la storia antica dell’Adriatico; e ai fiumi, in particolare il Po, sono legati anche allarmi ambientali, come avvenne a Porto Tolle  a causa di una centrale termoelettrica chiusa qualche anno fa, o alle emergenze edilizie che popolano le coste dove spuntano eco-mostri, come a Perazicà Do,  spiaggia montenegrina deturpata da un orrore di cemento bloccato dal 2003 sulla sabbia a pochi metri dal mare.

Isole: alle poche della costa italiana corrispondono le mille frastagliate  soprattutto della costa croata, e l’occasione per gli autori è buona per ricordare i gloriosi cantieri navali di Lussino che “ha fama di straordinaria fucina di marinai”, o Korcula che rivendica i natali di Marco Polo “per irritare di conseguenza Venezia”, oppure Hvar, l’isola della lavanda… La Dalmazia insomma, ancora abitata da sparute comunità italiane, o le Tremiti, accomunate alle dirimpettaie dal problema dello spopolamento, abitate da tenaci isolani che vivono di pesca, turismo, conservazione della memoria.

Gli autori si sono arrampicati come viaggiatori curiosi in cima ai fari: non moltissimi e non troppo mantenuti, dalla loro sommità si spazia a 360 gradi e si percepisce l’insieme, le coste vicine e lontane. Assieme ai fari si scoprono le fortificazioni, come quelle dell’isola del Lido, che con l’isola di Pellestrina racchiude la fragile laguna di Venezia: fari che servono alle strutture portuali e ai piloti che accompagnano fin dentro al porto le grandi navi attraverso le vie d’acqua, ma anche fari romantici come un “nido d’amore”. Quello di Salvore ad esempio, costruito in Istria con la solida bianca pietra locale dagli Asburgo nel 1818: sembra sia stato il rifugio del cancelliere Klemens von Metternich e della sua amata ragazza croata.

Porti, pesca, saline, cantieri navali, accomunano rive e popoli, fin dai tempi più remoti. Se Venezia costruì la propria indipendenza e fortuna con il sale, ancora oggi Slovenia e Croazia producono l’alimento un tempo prezioso per la conservazione dei cibi. Una produzione in calo rispetto a mezzo un secolo fa (oggi 2.700 tonnellate, allora 25.000), una raccolta tradizionale a forza di rastrello con ai piedi gli appositi zoccoli, utensili non più in uso nelle saline italiane, a Margherita di Savoia o a Cervia.

I porti, quelli sì, funzionano, da nord a sud, da est a ovest: anzi s’ingrandiscono a Trieste (che apre i traffici commerciali verso il Nord Europa), Ancona,  Spalato, Ravenna, Durazzo, Bari, Vallona, Brindisi. Accanto ai frenetici movimenti dei container s’intrecciano episodi storici, legati alle battaglie navali antiche, alle partenze dei crociati, alla guerra fredda che per decenni creò una barriera psicologica oltre che fisica tra le coste del “Mare corto”, creando “un muro d’acqua che svilì o peggio ancora interruppe rapporti storici tra le due sponde”: una storia che gli autori hanno analizzato seguendo i relitti delle navi che giacciono sul fondale di un Adriatico che diventa “ossario di navi da guerra”, a volte trasformando in tempo di pace questi trofei in opere d’arte.

A Otranto lo scultore Costas Varotsos ha fasciato la prua-relitto della motovedetta Kater i Rades con lastre di vetro verde, creando un memoriale per le 81 vittime albanesi dello speronamento effettuato dalla corvetta Sibilla, nel 1997. Un artista greco, profughi albanesi, mare di Otranto: anche in queste tragedie il mare Adriatico è mare comune.

Come comune è la vita oggi assai complicata delle città storiche, da millenni fiorenti sulle rive del mare, e che oggi soffrono un turismo di massa causa di spopolamento e di “effetto fisarmonica” : superaffollamento nei brevi mesi estivi e una sorta di morte civile durante l’inverno. Vieste, Zara, Polignano a Mare, Durazzo e molte altre località costiere sono schiacciate da questo fenomeno, mentre Venezia e Dubrovnik esplodono sotto la massa di turisti che sbarcano dalle grandi navi compiendo vere e proprie scorrerie tra calli e antichi quartieri. “Almeno il settanta per cento della gente di qui vive di questo” afferma un ristoratore dell’antica Ragusa, mentre la Serenissima ogni sera giace fiaccata dai milioni di passi perduti tra i suoi “masegni”.

Contraddizioni e realtà della moderna società: “serve un compromesso tra qualità della vita e sviluppo economico, tra memoria e presente” concludono gli autori, mentre scorrono le foto di una vita piena di ritmi del passato, con l’Adriatico come sfondo di acque limpide e panorami dolcissimi e familiari.

“Mare corto”, viaggio nell’Adriatico di terra e di mare ultima modifica: 2018-12-18T13:02:18+01:00 da BARBARA MARENGO
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