Nuovo anno, vecchie polemiche. Si avvicinano le elezioni europee e i partiti scaldano i motori in vista dell’appuntamento elettorale. E ancora una volta lo scontro è sull’immigrazione. Questa volta è l’applicazione del decreto sicurezza e immigrazione voluto dal ministro dell’interno Matteo Salvini e approvato dal Parlamento, con i voti della maggioranza più quelli di Fratelli d’Italia e Forza Italia e il voto contrario di qualche dissidente pentastellato.
Alcuni sindaci di grandi città italiane hanno infatti deciso di non applicare alcune delle disposizioni contenute nella legge. Con il solito volare di stracci tra governo e opposizione. E la dimostrazione ulteriore, semmai ve ne fosse bisogno, che da anni il nostro paese vive la questione delle politiche migratorie e del diritto d’asilo con un’eccessiva passione. A cui non corrisponde generalmente la proposta di soluzioni realistiche e rispettose degli impegni internazionali e della stessa costituzione.
Che i primi cittadini sul tema dell’immigrazione si discostino dalle politiche nazionali è una novità soltanto nel nostro paese. Da anni in tutto il mondo si assiste ad azioni di questo tipo. Negli Stati Uniti ad esempio, dove ha preso la forma del movimento delle città santuario, vere e proprie città rifugio che in nome dell’accoglienza decidono di non dare seguito alle politiche “emergenziali” nazionali. Il fenomeno è nato negli anni Ottanta, quando la chiesa cattolica dava rifugio ai migranti provenienti dai paesi centro-americani. Oggi il movimento mira a proteggere tutti gli immigrati senza documenti che risiedono già nel paese.
Col tempo si è ampliato il numero delle città che negli Stati Uniti hanno deciso di non cooperare con le autorità federali. Attualmente più di cinquecento città – e tra queste New York, Los Angeles, Boston e Seattle – hanno messo in piedi vere e proprie politiche di protezione dei migranti senza documenti: non è pertanto concesso alle forze di polizia locale di investigare sullo stato giuridico individuale delle persone eventualmente fermate.
Ovviamente le città santuario sono state tra i primi obiettivi di Donald Trump che con un decreto esecutivo ha tagliato i finanziamenti di centinaia di comuni che criticavano la sua politica anti-migrazione. Una battaglia quella tra Trump e queste città che tuttavia non è terminata e che prosegue a livello giurisdizionale, dato che i governi locali affermano la necessità di fornire servizi ai loro residenti per evitare problemi di salute pubblica e incoraggiare la cooperazione tra immigrati senza documenti e polizia.
Una “guerra” con conseguenze inquietanti. I funzionari dell’Immigration and customs enforcement (Ice) infatti concentrano gli sforzi proprio in queste città, grazie anche alle informazioni che gli stessi poliziotti forniscono in forma anonima. E sempre più diffusi sono i “luoghi sicuri” all’interno di queste città, luoghi cioè dove vengono nascosti questi migranti.
Anche se ispirate dal modello americano, in Europa il movimento di protezione dei migranti ha assunto caratteristiche diverse e si rivolge prevalentemente ai richiedenti asilo. Si tratta per lo più di città che si organizzano per l’accoglienza dei migranti. Per esempio a Sheffield, nel Regno Unito, dove il sindaco ha invitato pubblicamente e i richiedenti asilo e i rifugiati nella sua città.
O come in Belgio, dove sessantadue comuni francofoni si sono dichiarati favorevoli ad ospitare i migranti.
In Francia, invece, il sindaco di Grande-Synthe, un paese di ventimila abitanti alla periferia di Dunkerque, aveva fatto costruire un campo di transito col supporto finanziario di Médecins sans frontières per accogliere i migranti e fornire loro assistenza e informazioni (campo poi distrutto dalla prefettura). Ma azioni simili sono state condotte a Parigi, a Grenoble e in molte altre città francesi.
Le reti di solidarietà comunali europee sono numerose e negli anni le loro fila si sono ingrossate.
Il fatto è che l’idea di un luogo sicuro in cui accogliere le persone è vecchia come il mondo. Golan, Ramoth-Gilead, Bosor, Kedesh, Shechem ed Hebron sono le sei città che il Deuteronomio e il libro di Giosuè indicano come “città di rifugio”, presso le quali coloro che si macchiavano di omicidio involontario potevano ottenere diritto di asilo.
Ma anche nella Roma imperiale, gli schiavi fuggitivi potevano trovare rifugio in un tempio e presso la statua dell’imperatore.
E nota è la possibilità di rifugio nelle chiese che per molti secoli ha definito l’anima stessa dell’Europa (e parte di quelle radici cristiane che alcuni rivendicano e altri altri vogliono recidere).
Se molte città in Italia hanno partecipato alle reti di solidarietà, è la prima volta che nasce un’iniziativa più simile alle città rifugio americane. Perché Leoluca Orlando, il sindaco di Palermo, si è rifiutato di applicare alcuni aspetti del “decreto Salvini” che, sempre secondo il sindaco, sarebbero incostituzionali e in violazione dei diritti umani. Altri sindaci si sono schierati al suo fianco: Luigi De Magistris (Napoli), Dario Nardella (Firenze), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Federico Pizzarotti (Parma), Virginio Merola (Bologna). Ma anche Beppe Sala (Milano) e Virginia Raggi (Roma) hanno espresso perplessità, pur non disapplicando la legge nazionale.
Orlando e i sindaci contestano in particolare l’articolo 13 del decreto che stabilisce il divieto di iscrizione all’anagrafe cittadina per i titolari di permesso di soggiorno per richiesta d’asilo, cioè quello dato agli stranieri in attesa di sapere se la loro richiesta di protezione internazionale sarà accolta.
Ne contestano la natura vessatoria che non produce nemmeno dei vantaggi poiché senza iscrizione all’anagrafe non sarà possibile fare richiesta di carta d’identità, accedere ai servizi pubblici e privati, tutelare la salute e proteggere i minori.
Pertanto Orlando e gli altri hanno dato disposizione alle proprie anagrafi comunali di non applicare quella parte del “decreto Salvini”.
Nel chiedere agli uffici comunali di non procedere secondo quanto stabilito dalla legislazione nazionale, i sindaci compiono quindi un atto politico. Di fatto i sindaci rischiano di vedersi accusati per abuso in atti di ufficio, potrebbe sorgere un contenzioso tra lo stato e i comuni e il giudice potrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale. Che fossero queste le intenzioni di Orlando e gli altri non si sa. In ogni caso il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino ha dichiarato che sta valutando se esistono i fondamenti giuridici per un ricorso della regione, direttamente alla Corte Costituzionale.
Matteo Salvini, con la moderazione che gli è propria, ha intimato ai sindaci di far un passo indietro e di rispettare la legge, scordandosi di aver invitato i propri sindaci nel passato a fare la stessa cosa rispetto alle unioni civili. Ma si sa la lotta politica non si basa sulla coerenza dei comportamenti e vive solo – intenzionalmente – di memoria a breve termine.
Le città rifugio però, come le reti di solidarietà tra governi locali, nascono essenzialmente dall’incapacità della politica nazionale di prevedere soluzioni non ipocrite e dotate di senso per risolvere i problemi legati all’immigrazione. Perché le norme che i sindaci vorrebbero disapplicare non servono a combattere l’immigrazione clandestina o gli sbarchi. Sono norme che hanno più il sapore della “vendetta” – per quale ragione, non è dato sapere – che l’obiettivo di realizzare le promesse fatte al proprio elettorato e siglate nell’accordo di maggioranza tra penstastellati e leghisti.
Nessuno vieta al governo di perseguire delle politiche migratorie più restrittive – sono politiche lecite – ma davvero non si capisce, se non per ragioni elettorali, questa persistenza nel creare un clima generale di odio e d’intolleranza che danneggia il futuro del paese.
Nelle immagini, Ann Arbor, Michigan, città santuario (foto di Guido Moltedo)

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