[LAS MARGARITAS, CHIAPAS]
Il Congreso Nacional Indígena (Cni) e il Concejo Indígena de Gobierno (Cig), alleati dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (Ezln), hanno annunciato di respingere i progetti del nuovo governo di López Obrador e di rifiutare di partecipare alle consultazioni con le quali il potere centrale si propone di perpetrare il furto dei territori indigeni.
La dura presa di posizione, che destituisce anche di un qualsiasi ruolo il nuovo Instituto Nacional de Pueblos Indígenas (Inpi) è contenuta nella lettera indirizzata agli zapatisti in occasione del venticinquesimo anniversario del levantamiento nella notte del 31 dicembre 1993, il vero e proprio inizio, secondo gli autori del testo, dell’esercizio dei diritti da parte degli indigeni, non solo in Chiapas, ma in tutto il paese.
Dato il peso dell’organismo che raccoglie quasi cento popolazioni indigene del Messico, la condanna dei megaprogetti, tra cui quello del Tren Maya che è giudicato immorale, con i quali AMLO ha inaugurato i suoi sei anni di potere, è netta e gravida di conseguenze.
Senza appello anche il rifiuto dell’Inpi, accusato di perseguire il fine di distruggere l’autonomia indigena, la presa di posizione, che fa seguito alla manifestazione tenutasi nella Selva Lacandona il primo di gennaio, smaschera la vera natura del governo, strumento del capitalismo “che sostiene di governare il Messico”.
Contro il quale promette la reazione del vero potere che in questi anni di lotta per i diritti e la dignità si è consolidato dal basso, attraverso le reti di appoggio e di resistenza che si sono sviluppate in tutto il Messico, e che alle scorse elezioni presidenziali avevano espresso una propria, sfortunata, candidatura.
Durante le celebrazioni del primo gennaio a La Realidad, a poca distanza da dove scriviamo, nella Selva Lacandona, l’attuale portavoce dell’Ezln, il comandante Moisés, di fronte ai cinquemila combattenti incappucciati con finti fucili di legno e a una folla di indigeni in abiti civili ha evitato ogni tono trionfalistico e celebrazione.
Questo, poco lontano dagli indigeni ostili che vivono come una minaccia la vicinanza dell’Ezln e in più di un’occasione si sono opposti anche violentemente, fino ad uccidere nel 2014 un leader zapatista locale, in un territorio in cui spesso ci si imbatte – come lungo le strade attorno a Las Margaritas – in cartelli che ricordano che “Está Usted en territorio zapatista. Aquí el pueblo manda y el gobierno obedece”.
Anche se, a dire il vero, nulla ce lo fa percepire, e i pochi che passano di qui per recarsi a visitare le vicine rovine Maya di Toniná forse non si rendono nemmeno conto che la Selva che da lì inizia è il teatro delle gesta di venticinque anni di zapatismo.
Qui l’Ezln ha costruito con proprie risorse e senza alcun aiuto statale cooperative, ospedali e perfino una rete di trasporti, mettendo fine al latifondo dove lavoravano gli indigeni. Nonostante le molte conquiste che gli zapatisti hanno saputo ottenere dal 1 gennaio del 1994, il rifiuto da loro imposto di ricorrere a fondi o di accettare progetti del governo messicano gli ha alienato molte simpatie, il che spiega l’ostilità di molte comunità indigene.
Come ieri è avvenuto per il Cig, il rifiuto da parte degli zapatisti della politica di López Obrador è netto, e la critica a chi ha accettato di partecipare ai progetti del nuovo governo, Tren Maya per primo, radicale. “Non ci fa paura” López Obrador, ha ricordato Moisés, che lo ha accusato di ingannare il popolo messicano, e ha respinto la proposta di consultazione sul progetto come una burla e una umiliazione per gli indigeni, che non si discosta in nulla riguardo a progetti presentati dai governi precedenti che, come questo, hanno il solo scopo di provocare divisioni all’interno della comunità indigena con il fine di impossessarsi delle risorse degli abitanti originari.
Ne consegue che la valutazione da parte della maggioranza dei popoli originari condivide un giudizio che vede il nuovo presidente come il continuatore dei suoi predecessori, e non quella grande novità, intrisa di un certo contenuto messianico, che egli vorrebbe incarnare, e di certo rappresenta per la maggioranza dei messicani che l’hanno votato.
Dal canto suo Amlo ha risposto twittando “Amor y paz”, ben conscio che la strada di una solida relazione politica con le comunità indigene, ammesso che si possa in qualche misura pensare nel prossimo futuro, è comunque tutta in salita; e che se davvero vuole passare alla storia come il governo della svolta, qualche politica concreta nei confronti delle popolazioni originarie dovrà pur farla, e non solo per quanto riguarda i mega progetti di sviluppo economico che, non senza qualche ragione, vengono da esse vissuti come una minaccia.

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