Le bandiere gialle della gauche

L'anima e gli obiettivi dei gilets jaunes sono "di sinistra"? Da Mélenchon al Pcf è competizione per la conquista dei voti che muove il movimento di protesta in corso in Francia.
MARCO MICHIELI
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[PARIGI]

Eric Drouet è un camionista di trentatré anni, uno dei leader del movimento dei gilet gialli. La sua pagina Facebook è divenuta il luogo di ritrovo di migliaia di persone e i suoi video tra i più visti negli ultimi tempi. Mercoledì scorso Drouet è stato arrestato sugli Champs-Elysées con l’accusa di aver organizzato una manifestazione “senza dichiarazione preventiva”: il trentatreenne si dirigeva verso l’Eliseo con una cinquantina di simpatizzanti, a suo dire per “commemorare” i feriti delle manifestazioni parigine del movimento. Poco prima il camionista aveva invitato i suoi followers via Facebook a condurre un’azione proprio contro il palazzo del presidente.

Liberato dopo venti ore, ha denunciato l’intervento “politico” della polizia ma ha anche riconosciuto di aver cercato di arrivare all’Eliseo per dimostrare ai francesi “qu’on n’est pas libre” (“che non siamo liberi”). Provocazione e vittimizzazione sono strumenti utili per un movimento come quello dei gilet jaunes.

Che Drouet fosse consapevole o meno delle conseguenze della sua azione (e della sua mediatizzazione), certamente non si aspettava di essere il pomo della discordia tra le varie formazioni della gauche francese. Infatti, come se non bastassero già i personalismi e le divergenze sui programmi, certificate dalla difficoltà nella presentazione di liste comuni per le elezioni europee, la gauche si è divisa anche sui gilet gialli.

A scatenare la polemica è Jean-Luc Mélenchon che ha lodato l’azione di Eric Drouet, rivolgendogli una serie di complimenti via Facebook:

Grazie Eric Drouet […] ho il cuore che trabocca di gratitudine per i gilet gialli che conducono con così tanto buon senso, sangue freddo e costanza, questa battaglia per liberare il nostro paese dalle catene del re denaro […] la rivoluzione civica dei gilet gialli è una delle cose migliori che ci sia capitata da tanto tempo […] Mi diverte l’ironia della storia. Ce n’è molta! La più soave è vedere l’azione del signor Eric Drouet. Non lo conosco. Lo ascolto, lo leggo e vedo in lui la stessa determinazione saggia e totale di Priscilla Ludosky (un’altra delle portavoci del movimento, ndr). Li vedo in piedi a una certa distanza dalle rozze trappole disposte a intervalli regolari dai terribili avversari che affrontano a mani nude. La loro apparizione e la loro incredibile capacità di combattimento soffocano coloro che guardano dall’alto in basso le persone. La Francia è piena di questi personaggi che segnano la sua storia come tanti sassolini bianchi. Ecco perché guardo Eric Drouet con così tanto fascino.

Ma la captatio benevolentiae di Mélenchon non finisce qua. Perché per il leader de La France Insoumise (Lfi) Drouet rappresenta molto di più: è la storia rivoluzionaria francese che si ripete incessantemente. Come ha sottolineato il giornalista Alain Duhamel, Mélenchon vive costantemente immerso in una storia piuttosto mitologica e ossessionata da sempre dall’idea dell’insurrection citoyenne, la rivolta dei cittadini. Nella continua comparazione tra l’epoca attuale e quella rivoluzionaria, una finzione retorica nella quale Mélenchon vestirebbe i panni del novello Robespierre, il Drouet gilet giallo è un omonimo di quel Jean-Baptiste Drouet che a Varennes, nel 1791, riconobbe il celebre passeggero della diligenza che là stazionava. È il Drouet del 1791 che organizza i cittadini del villaggio e costruisce una barricata per impedire la fuga di re Luigi XVI. E che cambia il corso della storia.

Il Drouet del 1791 non è diverso dal Drouet gilet giallo: un cittadino modello perché “la lingua repubblicana francese frantuma le Bastiglie dei potenti” e “riempie gli abissi del tempo con ponti di parole infuocate e speranze inviolate”.

Signor Drouet, siamo lieti di rivedervi. Che quest’anno possa essere il vostro, e quello della gente di nuovo sovrana. Possa essere la fine della monarchia presidenziale e l’inizio della nuova repubblica. Sulla soglia di questo promettente inizio d’anno, per salutare tutti i gilet gialli e la storia di cui sono degni eredi, dico grazie, signor Drouet.

L’operazione gilet gialli nasconde un calcolo politico da parte di Mélenchon: raccogliere maggiori consensi alle prossime elezioni europee alimentando la protesta. Che sfoci poi nelle violenze di questi giorni poco importa: non si può avere una rivoluzione senza rivoluzione, diceva Robespierre. E la mossa di Mélenchon spaventa il Parti Socialiste e gli altri partiti della gauche, che cercano di sopravvivere alla bulimia elettorale del leader de La France Insoumise.

È un tutti contro tutti, com’è nella tradizione della gauche francese (e non solo). Benoît Hamon, il leader di Générations ed ex candidato socialista alle presidenziali del 2017, ha per esempio criticato duramente Mélenchon, dopo aver invocato la necessità di trovare un accordo per le elezioni europee:

Anch’io mi interesso al movimento sociale dei gilet gialli ma non sono affascinato da qualcuno che si assume la responsabilità di aver votato nei due turni Marine Le Pen […] Jean-Luc Mélenchon ha abbandonato le rive della sinistra […] non comprendo più quello che sta facendo […] oggi non è più un attore centrale del dibattito a sinistra, perché cominciare l’anno con quest’affermazione […] significa solo compiere un’operazione di marketing elettorale.

Mélenchon ha poi risposto a Hamon, invitandolo a provare che Drouet avesse votato Marine Le Pen, soprattutto dopo la smentita dello stesso interessato. Ma la guerra a sinistra è tutta volta a recuperare qualche voto tra i gilet gialli, senza preoccuparsi di guardare a strategie di più ampio respiro.

E la fame di voti contagia anche i partiti più piccoli, come il Partito comunista francese: il suo leader ha infatti dichiarato che dei gilet gialli saranno presenti nella lista comunista per le europee. Uno schiaffo a ciò che resta del Parti socialiste, guidato oggi da Olivier Faure, che cercava invano di costruire una lista unica tra i vari partiti della sinistra. Ma ormai i socialisti sono l’obiettivo preferito di chi a sinistra cerca di ritagliarsi un ruolo nel movimento dei gilet gialli (e nel poco spazio lasciato libero da Mélenchon).

Qualche giorno fa, in un’intervista al Journal du dimanche, anche Christiane Taubira, ex ministro della giustizia durante la presidenza Hollande e punto di riferimento della sinistra socialista, ha dato il suo contributo a questo tiro al bersaglio contro i socialisti. Taubira ha infatti attribuito la paternità di ciò che sta accadendo in queste settimane a Macron, ovviamente, e a Hollande stesso, la cui responsabilità “è pesante, molto pesante, rispetto al passato e al presente”. Taubira pare stia lavorando per creare una lista ambientalista aperta ad altre personalità della sinistra e infatti non risparmia nemmeno le critiche a Jean-Luc Mélenchon.

In questa guerra a sinistra per intestarsi il movimento dei gilet gialli, gli obiettivi sono molteplici: più immediati, le elezioni europee, e più lontani, l’egemonia nel campo politico della sinistra. In entrambi i casi, al momento, Mélenchon e il suo partito sono quelli meglio piazzati. Ma è anche la riproposizione dell’eterno scontro tra la sinistra massimalista e quella riformista, con quest’ultima in una posizione di estrema debolezza (dovuta anche alla perdita di una parte dell’elettorato moderato di centrosinistra che ha votato Macron alle scorse elezioni presidenziali).

Se la sinistra radicale sta vincendo la battaglia per l’egemonia nel suo campo politico, tuttavia rischia di scontrarsi con la dura realtà. Perché non fa altro che leggere ciò che accade attraverso una lente non più adatta ai tempi. Non solo. Rischia di contribuire a peggiorare le condizioni della democrazia francese.

La lettura che ormai si sta imponendo a sinistra sui gilet gialli è infatti priva di qualsiasi analisi della complessità della situazione. In parte perché l’obiettivo è puramente elettorale: il movimento dei gilet gialli è secondo questa nuova narrazione il portatore di rivendicazioni sociali che coincidono con i programmi politici dei vari partiti della gauche. Con un’incoerenza spaventosa come ha fatto notare lo storico Sylvain Boulouque, uno specialista dell’estrema sinistra francese:

Inizialmente la sinistra è rimasta prudente di fronte al movimento. Ha pensato che si trattasse di una rivolta anti-fiscale, da classificare tra i movimenti reazionari comparabili ai movimenti delle camicie verdi degli anni Trenta o al poujadismo degli anni Cinquanta. Poi nel nome di un populismo di sinistra, Jean-Luc Mélenchon e una parte de La France Insoumise fanno loro le rivendicazioni dei gilet gialli, dimenticandosi che una parte di queste rivendicazioni, persino delle azioni condotte, erano l’esatto contrario di ciò che era nel loro programma. Tra il 17 e il 24 novembre c’è stata una notevole evoluzione delle posizioni. Una parte quindi della sinistra si è unita alla causa dei gilet gialli e ha tentato di partecipare al movimento per cambiarne la natura e fare passare una rivolta anti-fiscale per una rivolta per il potere d’acquisto.

Le manifestazioni dei gilet gialli diventano quindi l’occasione per recuperare termini come la questione sociale e la lotta di classe, con il grande impegno di una parte degli intellettuali della sinistra radicale ma non solo. Che siano concetti adeguati a spiegare ciò che accade poco importa.

Poco importa anche alla sinistra radicale che il movimento sia stato infiltrato dall’estrema destra che durante le manifestazioni ha messo in difficoltà il movimento “originario” dei gilet gialli.

Importa talmente poco che “una parte della sinistra radicale, Black Block e autonomi, partecipano attivamente all’erezione di barricate e alla rivolta”. Per realizzare questa convergenza coi gilet gialli, nel tentativo di trasformarla in una “rivoluzione proletaria”, continua infatti Boulouque:

[…] la sinistra deve minimizzare o passare sotto silenzio un certo numero di eccessi che possono aver avuto luogo: la caccia ai migranti a Calais, gli insulti razzisti, la denuncia dell’omosessualità, l’intimidazione contro le persone, ecc….

Al momento questa strategia non starebbe però pagando. Secondo gli ultimi sondaggi dell’Ifop il Rassemblement national di Marine Le Pen sarebbe saldamente in testa alle intenzioni di voto per le europee (il 24 per cento) davanti al partito di Emmanuel Macron (18 per cento). Seguono poi Les Républicains (11 per cento), che hanno perso recentemente Alain Juppé, nuovo alleato di Macron, e La France insoumise che attirerebbe soltanto il 9 per cento delle intenzioni di voto.

Al di là delle elezioni europee però si sta realizzando una convergenza tra partiti politici populisti di destra e di sinistra. E per quanto il sistema politico francese, basato sul doppio turno, renda molto difficile un’alleanza tra gli estremi, è preoccupante la battaglia comune che stanno conducendo. Soprattutto per la qualità della democrazia francese.

 

Nella foto di copertina, Eric Drouet.

Le bandiere gialle della gauche ultima modifica: 2019-01-06T10:09:10+01:00 da MARCO MICHIELI
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