Il saggio di Graham Allison, professore alla John F. Kennedy School of Government di Harvard, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? (Fazi Editore, 2018), è una dimostrazione molto interessante di come possa essere utilizzata la storia applicata. Si tratta di una disciplina che qui viene utilizzata in ausilio di un discorso relativo all’analisi delle relazioni internazionali e in particolare al rapporto tra Usa e Cina.
Per che cosa sia in particolare la storia applicata possiamo usare direttamente la definizione dell’autore:
Gli studiosi di Storia applicata […] partono da una scelta o da un dilemma attuali e da lì passano ad analizzare le fonti storiche per fornire prospettive, stimolare l’immaginazione, trovare indizi su ciò che potrebbe accadere, suggerire possibili interventi e valutare probabili conseguenze (p. 342).
Il tema è quello dell’attuale ma soprattutto futuribile competizione tra Cina e Usa. Questione affrontata anche dal saggio del collega di Allison, Joseph Nye JR in Is The American Century Over? con un esito più rassicurante per gli Usa (Nye valorizza più di Allison la capacità di intessere alleanze degli Usa tramite il loro soft power in Asia per contenere la Cina, puntando sulla crescita dell’India).
La questione è posta da Allison utilizzando come metafora generativa la cosiddetta trappola di Tucidide. Tucidide è il più grande storico greco ed è importante soprattutto perché narra le vicende della Guerra del Peloponneso, vicende che videro lo scontro tra Sparta e Atene, fino alla sconfitta di Atene, una guerra che determinò il tramonto dell’antica Grecia. Tucidide intendeva la sua storia come un prodotto di qualità tale da consegnare ai posteri “un possesso per sempre” (κτῆμα ἐς αἰεί): dalla considerazione oggettiva dei fatti si possono infatti derivare delle regole, meglio, delle regolarità, e soprattutto si possono leggere le azioni degli uomini secondo una trama causale, ma anche di effetti non intenzionali.
La trappola di Tucidide è quella condizione secondo cui una rivalità percepita tra una potenza emergente e la potenza dominante conduce quasi inevitabilmente a uno scontro tra le due, come accadde ad Atene (emergente) e Sparta (dominante).
Se si considerano gli esempi storici, Allison enuclea ben sedici casi, dopo quello greco, in dodici si è verificata la guerra, in quattro no (si veda p. 88 e la prima appendice per la loro trattazione analitica, pp. 376-433). La storia applicata serve per individuare analogie e differenze con fatti storici a partire da problemi del presente.
Un esempio di come la storia autentica, secondo una lezione crociana che conosciamo bene (si veda di Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Adelphi), parte da un problema del presente ed è sempre quindi storia contemporanea. In questo caso il presente è il cambiamento in atto che sta vedendo la crescita economica prodigiosa della Cina, tale da portarla in pochi anni inesorabilmente a un livello di potenza economica, politica e alla fine militare superiore all’attuale potenza americana.
Il testo analizza la crescita a tratti incredibile della Cina, lo scenario legato a teatri regionali in cui oggettivamente possono nascere le scintille capaci di portare alla guerra, i fattori di crisi potenziali, la crescita dei rischi legati alle nuove cyberarmi o alle armi antisatellitari ecc. La perizia analitica è tale perché parte dalla profonda conoscenza dell’autore degli strumenti di guerra e perché mette in evidenza ogni possibile variante di quei fraintendimenti che possono nascere, anche patologicamente, se consideriamo i comportamenti come forme di comunicazione: si pensi per inciso all’analisi delle forme patologiche del terzo assioma della pragmatica della comunicazione, quelle legate alla cosiddetta punteggiatura della comunicazione (Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Donald deAvila Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli comunicativi delle patologie e dei paradossi, Astrolabio).
Tale analisi utilizza anche un approfondimento sulle differenze culturali tra Usa e Cina e si affida per questo come chiave di interpretazione all’impianto interpretativo di Huntington (si veda Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, libro che sviluppa il celebre articolo del 1993 sulla rivista Foreign Affairs) sul potenziale scontro di civiltà (a mio giudizio, però, vi è una sottovalutazione della funzione dell’identità socialista e del marxismo del Pcc e una sopravvalutazione del nazionalismo cinese di matrice storica e del confucianesimo).
Sulla crescita cinese, la leadership di XI Jinping e i problemi della Cina si consideri anche il recente saggio di Ignazio Musu, Gli eredi di Mao, Donzelli, con prefazione di Romano Prodi, ove a differenza di Allison si sottovalutano di meno le problematiche relative all’inefficienza delle industrie statali cinesi e al credito ombra, mentre si valorizza di più la ripresa del marxismo da parte di Xi.
Inoltre, come già anticipato, Allison utilizza gli esempi storici del passato sulle situazioni analoghe di messa in discussione o revisioniste del sistema internazionale da parte di potenze emergenti ai danni della potenza dominante. Un modello esemplare è quello fornito dalla Germania guglielmina nei confronti dell’Impero britannico, che portò alla Prima guerra mondiale. Tuttavia la storia fornisce anche esempi di gestione pacifica di un nuovo ordine: l’ascesa degli Usa nell’emisfero occidentale come reali attuatori della dottrina Monroe ai danni dell’Impero britannico ne è un esempio.
L’autore, dopo aver analizzato le situazioni geopolitiche di conflitto potenziale e reale del passato, non ultima la guerra fredda – considerata un caso positivo di gestione del conflitto – passa a valutare il conflitto tra Usa e Cina consapevole che, a partire dalla guerra fredda, una guerra mondiale, che diventerebbe innegabilmente nucleare, sarebbe l’ultima guerra. E consapevole anche, allo stesso tempo, secondo la metafora del gioco del coniglio (in cui due automobilisti si vengono incontro a tutta velocità finché vince colui che cede per ultimo), la potenza nucleare che non dimostrasse la volontà di andare fino in fondo in caso di guerra sarebbe disarmata.
Ora, pur con l’alea legata allo sviluppo delle cyberarmi come fattore di rischio ma anche di eventuali vantaggi strategici definitivi (in una nota molto inquietante si afferma: “Oggi, gli strateghi informatici stanno iniziando a progettare delle innovazioni che potrebbero, per esempio, consentire a uno Stato di mettere fuori uso i sistemi di lancio di armi nucleari di un avversario, creando così, tuttavia, analoghi incentivi a un attacco preventivo”), Allison, con un approccio di estremo realismo molto utile, prefigura sia gli scenari di innesco della guerra totale, sia quelli di potenziale gestione del conflitto e di collaborazione (che chiama indizi per la pace).
Non si può certo sottovalutare il fatto che la Cina stia guadagnando terreno dal punto di vista della filiera del valore delle produzioni tecnologiche e nel potenziale scientifico e che peraltro ciò sia – come anche Ignazio Musu sottolinea – un elemento destabilizzante. Quello che per noi è significativo è che il futuro del secolo appare ad appannaggio del dualismo Cina-Usa.
Cina e Usa, anche grazie a un crescente internazionalismo di una nuova classe cosmopolita (unita dagli interessi, dalle tecnologie, dal mercato e – perché no? – da una visione cooperativa – anche di matrice socialista?), posti nella necessità di sconfiggere i rigurgiti neonazionalisti (oggi dominanti anche in Italia), limiti assoluti per una governance mondiale necessaria, potrebbero e dovrebbero affrontare insieme delle sfide che sono troppo grandi per una gestione solitaria: l’anarchia nucleare e i cambiamenti climatici prime fra tutte (ma anche l’Armageddon nucleare e il terrorismo globale).
In questo scenario purtroppo emerge una Europa ancillare, tanto che nel testo di Allison si indica apertamente la crisi del progetto di unificazione europea. Il testo è molto crudo ma assolutamente informato e realista. È interessante come in qualche modo sottoponga a critica l’impianto analitico e l’approccio fin qui assunto dalle amministrazioni Usa (che Jospeh Nye Jr invece nella sostanza sostiene).
Apre degli squarci di comprensione puntuale sui rischi legati allo sviluppo delle cyberarmi e fornisce degli esempi molto realistici su come sia complessa la gestione e l’interpretazione di decisioni e fatti quando vi sono delle cornici teoriche che non comunicano.
È un saggio infine molto consapevole della crescita inesorabile e futura della Cina. Credo che sia un testo rivolto alle classi dirigenti americane ma anche direttamente a Xi Jinping: anzi l’autore sembra quasi più sicuro che il testo sarà letto da Xi Jinping (a differenza di Donald Trump).
Come spesso capita nella storia prognostica e nella futurologia, non conta tanto quello che si prefigura ma il fatto che quello che si racconta influisca sulle future azioni tanto da cambiare gli scenari prefigurati. Tra l’altro, come insegna Machiavelli, la fortuna che incide può in qualche misura essere controllata, come un fiume con l’innalzamento degli argini. Questo assunto va preso però sul serio: molto sul serio, a differenza di coloro che superficialmente, partendo dall’esempio che molto spesso il futuribile non accade perché nel frattempo intervengono fattori non calcolati, lasciano cadere le previsioni e le analisi nella nebbia dell’inconsapevolezza e del fatalismo. O sono mossi dall’ignoranza oppure da interessi schiacciati sul presente.
Ecco, noi dobbiamo gestire il presente guardando al futuro, partendo dagli esempi che secondo Tucidide possono fornirci un guadagno per sempre. Ciò ci fa guadagnare del tempo prezioso. Chi ha tempo non aspetti tempo.
Insomma, come anche Prodi sottolinea nella prefazione al saggio di Ignazio Musu, sarebbe importante che l’Italia lavorasse affinché l’Europa cooperasse a uno scenario in cui insieme a Cina e Usa fossero costrette a fare i compiti insieme! Sarebbe un gesto di autentica libertà e di grande intelligenza volere ciò che è necessario volere.
Per concludere, torno ad Allison e alle sue conclusioni che contengono nella sostanza quattro indirizzi di comportamento:
1 individuare con chiarezza gli interessi vitali, e qui l’indicazione è che probabilmente la supremazia del Pacifico occidentale non lo è, tanto da poter affermare che in questo caso gli Usa potrebbero imparare dal comportamento adottato dall’Impero britannico nei confronti di Theodore Roosevelt;
2 comprendere quali sono gli obiettivi della Cina: da questo punto di vista sarebbe meglio costruire un rapporto realmente franco in cui non si faccia finta, ma in cui vi sia una scontro anche vero ma in un quadro di prevedibilità e stabilità.
D’altro canto, qui Allison riprende un’indicazione di Sun Tzu nell’Arte della guerra:
Si dice che chi conosce il suo nemico e conosce se stesso potrà affrontare senza timore cento battaglie. Colui che non conosce il nemico ma conosce se stesso a volte sarà vittorioso, a volte incontrerà la sconfitta. Chi non conosce né il nemico né se stesso inevitabilmente sarà sconfitto in ogni scontro.
3 Elaborare una strategia: e qui si denuncia la rinuncia che, negli ultimi dieci anni, ci sarebbe da parte degli Usa di elaborare una strategia, o credendo in un’evoluzione liberale cinese o affidandosi, nella sostanza, a una speranza;
4 mettere al centro le sfide nazionali: sia Usa che Cina dovrebbero intervenire sui loro punti deboli nazionali. Interessante la denuncia delle disfunzionalità della democrazia americana e soprattutto il degrado cognitivo dell’elettorato, mentre nel caso cinese ci sarebbero limiti enormi nell’eccesso di centralismo e nell’assenza di uno stato di diritto.
Sulla Cina, Allison richiama il fatto che mancherebbero quelle qualità dell’Occidente indicate in Occidente: ascesa e crisi di una civiltà di Niall Ferguson: qualità funzionali alla crescita della prosperità, in particolare i diritti di proprietà privata.
Da questo punto di vista farei un richiamo alla discussione che negli ultimi anni è nata con i libri di Jared Diamond Armi, acciaio e malattie e Da te solo a tutto il mondo e con quello di Acemoglu e Robinson Perché le nazioni falliscono: una discussione che cerca, nel caso di Acemoglu e Robinson sempre partendo dalla storia, in particolare dal carattere delle istituzioni politiche, più o meno inclusive, oppure nel caso di Diamond partendo anche dalla geografia e dalla biologia, di mettere in evidenza i fattori che portano avanti le società e quelli che le fanno declinare.
Il libro di Allison, in fondo, parla del nostro futuro e di cosa possa farlo deragliare o continuare. Spinti da analisi di questo genere, dovremmo lavorare, credo, per uno scenario di questo tipo: in cui gli attori politici – lavorando perché l’Europa sia tra di essi – si impegnino, in una logica cooperativa e multilaterale, avvalendosi dei supercomputer di nuova generazione, delle tecnologie più avanzate e delle intelligenze unite dell’umanità, per salvare il pianeta dalle minacce alla sopravvivenza del genere umano.
Per questo si deve assolutamente avversare qualsiasi visione apocalittica, consapevoli peraltro dell’efficacia di un approccio estremamente realista e del fatto che, nel campo della politica, in un mondo complesso non vi è una linearità semplice tra volontà e risultato e che la risoluzione di problemi genera nuovi problemi.