Il poliedro di Francesco

Costruire un mondo globalizzato ma rispettoso delle differenze. Il discorso del papa di fronte al corpo diplomatico presso la Santa Sede
RICCARDO CRISTIANO
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Cosa c’entrano i diritti dei fanciulli con quelli degli asilanti e delle donne, con le difficoltà del multilateralismo e con la pace nel mondo? C’entrano, c’entrano eccome. Basta leggere il discorso di papa Francesco al corpo diplomatico per capirlo. 

Jorge Mario Bergoglio, da quando è divenuto vescovo di Roma, veste con una semplice tonaca bianca. Non indossa, se non quando deve per motivi liturgici, paramenti, stole preziose. Ma lunedì, 7 gennaio 2019, quando si è rivolto usualmente con la sua semplice tonaca bianca al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, quella tonaca è diventata il camice bianco del dottore chino sul mondo.

Il mondo non sta bene per una serie infinita di problemi e questo lo sanno sia gli araldi del nuovo corso, che potremmo definire sovranista o trumpiano o putiniano, sia i cantori di quello precedente. Ma la lettura del papa sa vedere i pericoli di oggi partendo dagli errori di ieri. Sono errori evidenti e partono dai modi di gestione della globalizzazione. Una gestione che il papa ha definito “sferica”, cioè dove tutti i soggetti del mondo globalizzato diventano uguali tra di loro, come i punti di una sfera. La sua globalizzazione invece è “poliedrica”, e nel poliedro tutti i punti sono connessi ma senza uniformazione: ognuno mantiene la propria identità nel poliedro di Jorge Mario Bergoglio. Costruire un mondo globalizzato ma rispettoso delle differenze è la sua prima preoccupazione, e difficilmente lui poteva far carico ai nuovi di ciò che è prodotto dalle scelte dei vecchi. Quindi?

Ritengo importante che non venga meno la volontà di un confronto sereno e costruttivo fra gli Stati, pur essendo evidente come i rapporti in seno alla comunità internazionale, e il sistema multilaterale nel suo complesso, stiano attraversando momenti di difficoltà, con il riemergere di tendenze nazionalistiche, che minano la vocazione delle Organizzazioni internazionali ad essere spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi. Ciò è in parte dovuto a una certa incapacità del sistema multilaterale di offrire soluzioni efficaci a diverse situazioni da tempo irrisolte, come alcuni conflitti “congelati”, e di affrontare le sfide attuali in modo soddisfacente per tutti. In parte, è il risultato dell’evoluzione delle politiche nazionali, sempre più frequentemente determinate dalla ricerca di un consenso immediato e settario, piuttosto che dal perseguimento paziente del bene comune con risposte di lungo periodo. In parte, è pure l’esito dell’accresciuta preponderanza nelle Organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, innescando nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, della dignità e della sensibilità dei popoli. In parte, è la conseguenza della reazione in alcune aree del mondo ad una globalizzazione sviluppatasi per certi versi troppo rapidamente e disordinatamente, così che tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna dunque prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale. Dinanzi all’idea di una “globalizzazione sferica”, che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, è facile che riemergano i nazionalismi, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità nel momento in cui essa è “poliedrica”, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun popolo e Paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte. Alcuni di questi atteggiamenti rimandano al periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni. Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni. 

Parole più chiare (e allarmanti) di queste, all’inizio dell’anno del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, non potevano essere dette. E considerare che trent’anni dopo il crollo di un muro continentale si voglia costruire un muro tra nord e sud delle Americhe, si vogliano chiudere i porti del Mediterraneo trasformando il mare in un muro d’acqua, non può che portare alla mente l’idea che mai come oggi il cuore del cristianesimo sia in pericolo.

Basta ricordarsi cosa è scritto nella prima lettera di Giovanni:

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.

E invece nelle ore precedenti il discorso al corpo diplomatico, domenica 6 gennaio, quando molti siti cattolici hanno ripreso il suo appello all’Europa per salvare le poche decine di migranti che nessuno vuole accogliere, le risposte di tanti “cristiani” sono state chiarissime: “basta! E per i senzatetto di casa nostra non dice nulla?”

Il papa nel carcere romano di Regina Coeli, 29 marzo 2018

La guerra tra poveri sembra la migliore espressione per sintetizzare quel che si è conseguito con la focalizzazione sui migranti e sui rifugiati: ma il servizio maggiore per i senza fissa dimora o gli indigenti italiani viene dalla Caritas o da altre opere caritative cattoliche, non certo da altri. Quindi l’ospitalità all’“altro povero” s’ammanta di solidarietà con il “povero nativo” che in realtà non esprime. Offre semplicemente un parafulmine esterno per i guai interni. Se c’è infatti una visione incompatibile con il cristianesimo è quella nazionalista.

Questo papa ha particolarmente caro il vocabolo “popolo”, perché sa bene che “popolo” vuol dire una scelta: la scelta di vivere insieme. Questa scelta non esclude, piuttosto include chi voglia farla. Dunque non c’è tribalismo, identitarismo, supremazia. E così anche questo discorso è stata l’occasione giusta per spiegare.

Tra i deboli del nostro tempo che la comunità internazionale è chiamata a difendere ci sono, insieme ai rifugiati, anche i migranti. Ancora una volta desidero richiamare l’attenzione dei governi affinché si presti aiuto a quanti sono dovuti emigrare a causa del flagello della povertà, di ogni genere di violenza e di persecuzione, come pure delle catastrofi naturali e degli sconvolgimenti climatici, e affinché si facilitino le misure che permettono la loro integrazione sociale nei Paesi di accoglienza. Occorre poi che ci si adoperi perché le persone non siano costrette ad abbandonare la propria famiglia e nazione, o possano farvi ritorno in sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani. Ogni essere umano anela a una vita migliore e più felice e non si può risolvere la sfida della migrazione con la logica della violenza e dello scarto, né con soluzioni parziali. 

La sfida della solidarietà tra uomini è la sfida della solidarietà tra generazioni, tra sessi, tra popoli e tra nazioni. Cominciamo da qui:

Nella nostra epoca, preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali. Tale atteggiamento è talvolta frutto della reazione di quanti sono chiamati a responsabilità di governo dinanzi a un accentuato malessere che sempre più si sta sviluppando tra i cittadini di non pochi Paesi, i quali percepiscono le dinamiche e le regole che governano la comunità internazionale come lente, astratte e in ultima analisi lontane dalle loro effettive necessità. È opportuno che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e che ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene. Ciò esige tuttavia il rispetto del diritto e della giustizia tanto all’interno delle comunità nazionali che in seno a quella internazionale, perché soluzioni reattive, emotive e affrettate potranno sì accrescere un consenso di breve respiro, ma non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno. […] Alla politica è richiesto di essere lungimirante e di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro. Il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi; egli è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è “la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida”. Essa “diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita”. 

C’è qualcosa di enorme in queste parole. I conflitti, gli opposti, non vanno negati, ma governati, per raggiungere un’unità pluriforme, che sa generare nuova vita.

Papa Francesco nell’incontro con il corto diplomatico preso la Santa Sede, 7 gennaio 2019

In un’intervista a padre Antonio Spadaro al riguardo dei conflitti papa Francesco ha detto:

L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere. Parlando più in generale devo dire che amo le opposizioni. Romano Guardini mi ha aiutato con un suo libro per me importante, “L’opposizione polare”. Lui parlava di un’opposizione polare in cui i due opposti non si annullano. Non avviene neanche che un polo distrugga l’altro. Non c’è contraddizione né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. In quella soluzione però rimane la tensione bipolare. La tensione rimane, non si annulla. I limiti vanno superati non negandoli. Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni. 

Che tutto questo papa Francesco l’abbia detto con un costante, reiterato richiamo al discorso pronunciato da Paolo VI all’Onu, il primo davanti a tale consesso, spiega bene quanto questo discorso incardini ed espliciti la visione conciliare, quel Concilio che Paolo VI condusse in porto. Non a caso una citazione di Paolo VI è stata questa:

Tra gli altri deboli, “sentiamo di fare Nostra – continuava Paolo VI – la voce […] dei giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità”. Ai giovani, che tante volte si sentono smarriti e privi di certezze per l’avvenire, è stata dedicata la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Essi saranno pure i protagonisti del viaggio apostolico che compirò a Panama tra qualche giorno in occasione della XXXIV Giornata mondiale della gioventù. I giovani sono il futuro, e compito della politica è aprire le strade del futuro. Per questo è quanto mai necessario investire in iniziative che permettano alle prossime generazioni di costruirsi un avvenire, avendo la possibilità di trovare lavoro, formare una famiglia e crescere dei figli. Accanto ai giovani meritano particolare menzione i fanciulli, specialmente in quest’anno in cui ricorre il 30° anniversario dell’adozione della “Convenzione sui Diritti del Fanciullo”. Si tratta di un’occasione propizia per una seria riflessione sui passi compiuti per vigilare sul bene dei nostri piccoli e sul loro sviluppo sociale e intellettuale, come pure sulla loro crescita fisica, psichica e spirituale. In questa circostanza non posso tacere una delle piaghe del nostro tempo, che purtroppo ha visto protagonisti anche diversi membri del clero. Gli abusi contro i minori costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva ad un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza. La Santa Sede e la Chiesa tutta intera si stanno impegnando per combattere e prevenire tali delitti e il loro occultamento, per accertare la verità dei fatti in cui sono coinvolti ecclesiastici e per rendere giustizia ai minori che hanno subìto violenze sessuali, aggravati da abusi di potere e di coscienza. L’incontro che avrò con gli episcopati di tutto il mondo nel prossimo febbraio intende essere un ulteriore passo nel cammino della Chiesa per fare piena luce sui fatti e lenire le ferite causate da tali delitti. Duole constatare che nelle nostre società, tante volte caratterizzate da contesti familiari fragili, si sviluppano comportamenti violenti anche nei confronti delle donne, la cui dignità è stata al centro della Lettera apostolica “Mulieris dignitatem”, pubblicata trent’anni or sono dal santo Pontefice Giovanni Paolo II. Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna. L’attenzione per i più deboli ci spinge a riflettere anche su un’altra piaga del nostro tempo, ovvero le condizioni dei lavoratori. Se non adeguatamente tutelato, il lavoro cessa di essere il mezzo attraverso il quale l’uomo si realizza e diventa una moderna forma di schiavitù. 

Il poliedro di Francesco ultima modifica: 2019-01-08T15:52:40+01:00 da RICCARDO CRISTIANO
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