Il razzismo della Lega è pure infantile

In Trentino il neo assessore all'istruzione, università e cultura minaccia di indagare su una canzone, “Altalena”, che ribadisce i valori dell’integrazione. Così dimostra di non conoscere né la storia della scuola italiana, né le leggi che attualmente vigono in materia.
Renata Attolini
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Il 28 ottobre 2018, l’Adige, quotidiano della provincia di Trento, riportava un’intervista alla neo eletta consigliera della Lega, Katia Rossato. Pur compiacendosi del fatto che la residenza per profughi della Vela, il quartiere in cui vive, fosse abitata da famiglie piuttosto che da giovani, possibili portatori di caos, la signora trovava motivo per lamentarsi:

I bambini (…) girano per il paese e occupano il parchetto (…) utilizzano i posti che erano nostri (…) si appropriano dei giochi (due altalene, uno scivolo e un paio di molle) e gli altri non possono divertirsi.

Colpiva il suo tono discriminatorio, ma non mancava di colpire anche il fatto che una consigliera esprimesse senza filtri, in modo cosi “casereccio” malgrado il suo ruolo istituzionale, il malumore per l’intrusione di bambini stranieri che giocano al parco.

Colpiva la sensazione che la vittoria della Lega, anche nella nostra provincia, avesse infranto ogni diga e spazzato via ogni pudore, condannandoci a subire esternazioni su ogni tipo di discriminazione.

Ma quando la discriminazione riguarda i bambini, la questione tocca il cuore di molti e suscita molteplici reazioni di sdegno. Una su tutte si è fatta conoscere, si è diffusa nel web, ha commosso e affascinato migliaia di persone anche fuori dai confini provinciali.

Si tratta di un video in cui i bambini dell’istituto comprensivo Trento 6 animano una canzone, “Altalena”, che prende spunto, seppure in modo discreto, dalle parole della consigliera, per ribadire i valori dell’integrazione e il loro desiderio di giocare tutti assieme, a prescindere da colore della pelle, genere, religione, cultura e provenienza.

La risposta della consigliera arriva alla vigilia di Natale. Dapprima lamenta di essere stata fraintesa, perché intendeva solo richiedere un aumento delle aree di gioco in città; poi chiede di “non coinvolgere in discorsi politici i bambini… nella loro innocenza”; infine esorta gli insegnanti a svolgere “la funzione di educatori imparziali”. Il marito stesso s’improvvisa detective e decide di svolgere indagini personali su uno degli insegnanti della scuola, Alessio Zeni, autore della canzone che parla di tolleranza e pace, colpevole di frequentare persino i centri sociali.

In suo sostegno, l’assessore all’istruzione, Mirko Bisesti, anch’egli della Lega, stigmatizza il video e dichiara la ferma intenzione di fare chiarezza sulla canzone “Altalena”. In modo intimidatorio incarica il Dipartimento della conoscenza di avviare accertamenti e raccogliere documentazioni, per far luce su come l’iniziativa sia stata promossa dagli insegnanti e avallata dalla dirigente Paola Pasqualin e per individuare i colpevoli del coinvolgimento strumentale di bambini su un chiaro contenuto politico.

Il nodo della questione sembra girare attorno al fatto che il bambino della consigliera frequenti proprio quella scuola, fatto che perde significato se davvero, come afferma la dirigente, la canzone è solo il prodotto finale di un lungo e ampio progetto, approvato dal consiglio dell’istituzione, sui diritti dei bambini, e non una replica alle esternazioni di Katia Rossato.

In realtà, il neo assessore Bisesti dimostra di non conoscere la storia della scuola italiana, ma nemmeno le leggi che attualmente vigono in materia. Non sa che già i programmi del 1979 (media) e del 1985 (elementare) assegnavano alla scuola un compito formativo, che è stato ribadito negli anni, fino anche alle ultime indicazioni ministeriali e provinciali.

Alla scuola, per legge, si chiede di essere l’ambiente nel quale si impara a capire la realtà e quindi il mestiere di cittadino; in cui si educa alla convivenza democratica; in cui l’alunno viene sostenuto nella progressiva conquista della sua autonomia di giudizio e nel suo inserimento attivo nel mondo delle relazioni interpersonali, sulla base dell’accettazione e del rispetto dell’altro, del dialogo e della partecipazione al bene comune.

È un dato di fatto che l’aspetto politico e quello educativo siano indissolubilmente legati da sempre. La scuola ha il ruolo di orientare i giovani verso l’accettazione di norme coerenti con un determinato assetto politico e sociale.

La pedagogia stessa però può mettere in evidenza problemi e contraddizioni del sistema e condizionarlo a sua volta. L’educazione dovrebbe avere come obiettivo primario quello di emancipare i giovani, attraverso la formazione di consapevolezza critica, di una profonda sensibilità civica e una conseguente coscienza politica. La scuola diventa allora una risorsa fondamentale per affrontare il progressivo disinteresse, da parte dei cittadini, nei confronti della res publica e per riavvicinarli alle istituzioni in ottica di democrazia partecipata, condivisione delle responsabilità, politica intesa come servizio e come impegno sociale per la collettività.

Può educare i futuri cittadini alla conoscenza e alla sperimentazione delle regole del gioco democratico per poter, un domani, operare delle scelte consapevoli, critiche, senza pregiudizi, evitando di lasciarsi condizionare da falsi valori. Può far comprendere che fare politica è occuparsi con cura di ciò che ci è più vicino (gli affetti, l’ambiente, la cultura, gli spazi pubblici), cambiando anche le nostre abitudini quotidiane.

Nella complessità della società odierna, data dalla presenza di valori, culture, idee, eventi, comportamenti a volte anche in netta contrapposizione, la scuola deve essere in grado di fornire la capacità di problematizzare, attuare scelte e prendere decisioni; di decentrarsi dalla propria cultura e di assumere la diversità come ricchezza e valore; di individuare, prevedere, gestire e orientare cambiamenti rapidi e spesso confusi; di costruire relazioni equilibrate, saper affrontare il conflitto, riconoscere la necessità di concordare regole e saper assumere responsabilità individuali; di essere autonomi, di saper evitare la manipolazione da parte delle mode e di pensare al futuro.

La scuola deve avere un ruolo fondamentale nello sviluppo della capacità di accettare le diversità, creando gli spazi per un confronto vero, che valorizzi le attitudini individuali e le sicurezze acquisite sul piano psicologico, sociale e affettivo da ogni bambino, intenda la comunicazione come momento specifico della conoscenza di sé e degli altri, promuova la relazione interpersonale come importante supporto affettivo agli apprendimenti.

Parimenti, in campo cognitivo, la scuola non può aggiungersi a una serie casuale di opportunità di conoscenza, deve piuttosto intervenire per sottrarre casualità all’esperienza, dando significato a quanto è stato acquisito. Deve intervenire a mettere ordine tra la pluralità di stimoli di conoscenza che l’alunno ha già incontrato e formare così il bambino della ragione, un bambino che possiede le grammatiche logico-linguistiche di base (sapere); sa impostare con chiarezza le questioni di indagine, determinare possibili ipotesi di soluzione, verificare le ipotesi e giustificarne l’attendibilità (saper fare); sa riflettere sulle conoscenze per organizzarle e renderle funzionali in una dimensione “metacognitiva” che è quella della competenza (saper essere).

Si tratta di un modo diverso di fare scuola, in cui l’attività laboratoriale diventa centrale, dando alla parola “laboratorio” un’accezione diversa rispetto a quella che siamo soliti attribuirle. “Laboratorio” è qualunque situazione in cui ci si pone in atteggiamento di ricerca, in cui l’alunno si impadronisce degli strumenti della ricerca e impara a utilizzarli in qualsiasi situazione sociale o scientifica.

A questo compito hanno assolto in maniera egregia tutti gli adulti che hanno contribuito alla realizzazione del progetto educativo culminato nel prodotto che abbiamo avuto modo di apprezzare in rete.

A questo compito dovranno continuare a dedicarsi gli insegnanti, di ogni ordine e grado di scuola, con l’obiettivo primario di sanare il gap culturale, qualsiasi ne sia la causa socio culturale e/o di provenienza, di ridurre le disuguaglianze di ogni genere, di coltivare nel tempo quella innata propensione dei bambini a socializzare fra loro, a prescindere da aspetti che possono diventare, una volta adulti, fattori di discriminazione.

Il razzismo della Lega è pure infantile ultima modifica: 2019-01-08T12:59:41+01:00 da Renata Attolini
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