Israele al voto. Il suicidio della sinistra

Il 9 aprile si vota per eleggere il nuovo parlamento. Nonostante i problemi giudiziari, Benjamin Netanyahu resta il favorito. Grazie anche alla mancanza di alternative. Nel fronte dell'opposizione è tutti contro tutti.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Gideon Levy, icona del giornalismo radical israeliano, la mette giù dura. E più che una previsione, la sua appare come una sentenza, con un’amara condanna senz’appello:

La sinistra in Israele s’è dissolta, a contendersi il mercato dei voti sono le destre in tutte le più variegate, e inquietanti sfumature.

E spiega:

Quello che sta succedendo nel nostro sistema politico prima delle imminenti elezioni può essere descritto in questo modo: destra A contro destra B, uno split in destra C, una possibile fusione nella destra D e un nuovo barlume di speranza nella destra E. Meretz e la Joint List, l’unico partito israeliano rimasto al suo posto, uno piccolo e sbiadito, l’altro ostracizzato ed escluso, entrambi senz’alcuna influenza, guardano dall’altra parte della barricata. Eppure la gente dice che Israele è “polarizzato”, che siamo vicini allo scoppio di una guerra civile. È difficile pensare a qualcosa di più ridicolo…

E ancora:

Chi si è opposto al disegno di legge dello stato nazionale? Il Kadima di Livni lo sponsorizzò nella diciottesima Knesset, Gabbay fece dei rumori per cancellarlo, Lapid disse che sosteneva “il disegno di legge dello stato-nazione del popolo ebraico” solo con un’altra formula e tutti gli altri l’hanno sostenuto. Differenze? Nessuna. E tanto più per quanto riguarda l’occupazione. Tutte le parti, tranne due, dicono praticamente la stessa cosa, pensano esattamente la stessa cosa e agiscono allo stesso modo per perpetuarla. Alla fine, dopo tutte le contorsioni verbali, dopo tutte le belle parole e le parole non così belle, sono tutte a favore della sua continuazione. Le stesse cinquanta sfumature di destra esistono sia all’interno che all’esterno del Likud. Allora, perché la maschera?

Il logo del Partito laburista israeliano

E conclude:

Se la politica israeliana fosse genuina, tutti avrebbero dovuto competere nelle primarie del Likud. Lapid non s’adatta al Likud? Come? Con il suo razzismo? Il suo risibile militarismo? Gabbay? Livni? Levy-Abekasis? Scosso? Ya’alon? Anche Gantz, comandante dell’Operation Protective Edge, si sentirà più a suo agio nel Likud che in Meretz. Di fronte a tutto questo, nessuno s’alza per gridare che l’imperatore è nudo. Le nostre politiche sono disabilitate. Manca un organo vitale. Nessuno ha l’audacia di proporre qualcos’altro. Anche se sembra senza speranza – e potrebbe finire in un suicidio politico temporaneo – a lungo termine non c’è altro per coloro che pretendono di essere l’opposizione e l’alternativa. Nel frattempo abbiamo solo impostori senza spina dorsale. Se è il diritto che la gente vuole, allora perché non restare con l’originale?

Un suicidio politico, quello della sinistra, a tre mesi dal voto. Un capolavoro di autolesionismo, consumatosi tra accuse al veleno, rotture personali insanabili, un protagonismo individuale esasperato, azzardi disperati. E questo nonostante che negli ultimi mesi dal basso fossero arrivati segnali importanti di una mobilitazione che aveva visto protagonisti soprattutto i giovani, in prima fila le ragazze, una rivolta contra la deriva “etnocratica” imposta dalle destre al potere, che aveva portato le forze del centrosinistra a importanti risultati nelle elezioni amministrative, con l’affermazione di sindaci di orientamento progressista in città-chiave come Tel Aviv e Haifa.

Una riunione di partito a Kiryat Malachi. Il leader laburista Avi Gabbay, in camicia bianca, ha al suo fianco Amir Peretz, suo predecessore alla guida del partito dal 2005 al 2007

Il suicidio della sinistra è soprattutto il fallimento di una leadership politica inadeguata, priva di carisma, priva di capacità empatica verso un elettorato alla ricerca di solidi punti di riferimento.

Rimarca il professor Zeev Sternhell, il più autorevole tra gli storici israeliani:

Quando la sinistra insegue la destra sul suo terreno, quello muscolare, non solo perde ragione di sé ma a quel punto, giustamente, la gente vota l’originale e non la fotocopia. E quando questa fotocopia offre una miserevole rappresentazione di sé com’è avvenuto in questo frangente, è davvero un’impresa titanica fare professione di ottimismo. Ho sempre ritenuto rigenerante un confronto anche aspro su idee, visioni, priorità, a sinistra. Ma quando la politica s’abbassa a faida personalistica tutto s’immiserisce.

E una faida, immortalata dai social in tempo reale, è quella che ha visto contrapposti i leader di Campo sionista, la coalizione formata dal Labour di Avi Gabbay, e Hatnuah, il partito centrista dell’ex ministra degli esteri Tzipi Livni, coalizione che nelle ultime elezioni aveva conquistato 24 seggi. Senza alcun preavviso, in diretta televisiva, Gabbay la licenzia in tronco, dichiarando conclusa l’esperienza unitaria. Risultato: nei sondaggi il Labour precipita a otto-nove seggi, e nel partito monta la fronda contro il segretario, con l’obiettivo di un cambio in corsa, approfittando delle primarie previste per il prossimo mese.

Per capire la portata di ciò che si è consumato aiutano le considerazioni di Yossi Verner, analista di punta di Haaretz:

Quello che Avi Gabbay ha fatto a Tzipi Livni martedì ha ricordato l’Isis. Si è tagliato la gola davanti alle telecamere dopo diversi minuti di torture verbali. I presenti alla riunione del gruppo parlamentare dell’Unione sionista hanno avuto difficoltà a gestire ciò che stavano vedendo. Hanno distolto gli occhi e alcuni di loro hanno persino tirato fuori parole di protesta. Subito dopo sono tornati alla loro routine quotidiana… Questa crudele umiliazione, senza precedenti nella politica contemporanea, è passibile di costare caro soprattutto in rapporto all’elettorato femminile. Livni s’è affrettata a capitalizzare questo stato d’animo e alla conferenza stampa che ha tenuto in seguito, ha sottolineato quanto fosse stata toccata dalle risposte ammirate e solidali che aveva già ricevuto dalle donne. È probabile che giocherà questa carta lungo la strada delle elezioni: lei non ha troppi assi nella manica.

Umiliazione, vendetta, trappole, resa dei conti… Gli analisti politici israeliani usano questi termini per raccontare l’harakiri del centrosinistra israeliano. E rimarca Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, figlia dell’eroe della Guerra dei sei giorni, il generale Moshe Dayan:

Sono rimasta scioccata da quel che è avvenuto ieri. Le parole di Gabbay lanciate come pietre contro Livni, quest’ultima che mostra il suo sgomento con uno sguardo perso nel vuoto. Non sono un’idealista. So che la politica è fatta anche di colpi bassi e di scontri di potere. Ma qui siamo andati oltre. L’immagine che l’opposizione ha dato di sé in questo frangente, e a tre mesi dal voto, è a dir poco sconfortante. E questo fa solo il gioco di Netanyahu. Un regalo incredibile.

E così, sulla strada di “Bibi” l’unico ostacolo che lo separa da un nuovo successo elettorale, non è un leader politico all’altezza ma il procuratore generale. Più impegnato a combattere le indagini per corruzione che lo riguardano piuttosto che gli avversari, il premier israeliano Netanyahu ha diffuso ieri un video sui social in cui si scaglia contro l’eventualità che il procuratore generale annunci prima del voto del 9 aprile l’intenzione di incriminarlo.

Benjamin “Bibi” Netanyahu nel giorno della vittoria elettorale, 17 marzo 2015

Nelle ultime due settimane ogni giornale pubblica un sondaggio: secondo una ricerca di Makor Rishon, Netanyahu insiste sulle elezioni che in realtà gli israeliani non vogliono. Secondo Walla News Netanyahu rimane stabile con trenta seggi*, seguito da Yesh Atid (C’è Futuro) con diciassette; Ma’ariv conferma la posizione del Likud anche se dovesse iniziare il processo contro Netanyahu, mentre Yesh Atid si rafforzerebbe di mandati a scapito dell’altro partito di centro capeggiato da Kahalon.

I sondaggi danno dunque Netanyahu come favorito delle legislative. Ma l’annuncio di una possibile incriminazione del premier prima del voto rischierebbe di rovesciare il pronostico. Nel video Netanyahu chiede pubblicamente al procuratore generale Avishai Mandelblit di pronunciarsi dopo il 9 aprile, attirandosi, fra gli altri, gli strali di un ex membro della Corte suprema. Eliyahu Matza ha dichiarato ai microfoni della radio pubblica di non ricordarsi

di aver mai sentito durante tutta la sua carriera tali dichiarazioni da parte di qualcuno che non facesse parte della criminalità organizzata.

Il suicidio della sinistra non nasce oggi, né può essere imputato a leader rissosi e privi di visione. Se oggi Israele ha il governo più a destra nei suoi settant’anni di vita, non è perché c’è l’Iran, Hamas o Hezbollah. O, quanto meno, non è solo perché la destra, discorso che a ben vedere non vale solo per Israele, vince se impone in cima all’agenda politica nazionale il tema della sicurezza e di come far fronte alle minacce, vere o presunte, che sono sempre, in questa narrazione, mortali.

Tzipi Livni, sl centro, al confine con il Libano

Prima che nelle urne, la vittoria della destra etnocratica in Israele è avvenuta sul piano culturale, sull’aver plasmato la psicologia di una nazione a propria immagine e somiglianza. La destra ha vinto perché ha fatto prevalere, nella coscienza collettiva, Eretz Israel, la Terra d’Israele, su Medinat Israel, lo Stato d’Israele. In questa visione, la Sacra Terra, proprio perché è tale, non è materia negoziabile e chi osa farlo finisce per essere un traditore che merita la morte. Questo, un traditore sacrilego, è stato Yitzhak Rabin per la destra israeliana che ha armato ideologicamente la mano del giovane zelota, Ygal Amir, che mise fine alla vita del premier-generale che aveva osato stringere la mano al “capo dei criminali palestinesi”, Yasser Arafat, riconoscendo nel nemico di una vita un interlocutore di pace.

Israele ha ottenuto successi straordinari in svariati campi dell’agire umano. È all’avanguardia mondiale quanto a start up, ha insegnato al mondo come rendere feconda anche la terra desertica e portato a compimento importanti scoperte nel campo della scienza, della medicina, dell’innovazione scientifica. Ma la modernizzazione sociale ed economica non ha mai interagito con la grande questione identitaria. Su questo terreno, la tradizione ha vinto e non ha fatto prigionieri.

Di fronte a questa bancarotta politica a sinistra, in molti reclamano un radicale cambiamento generazionale, una “rottamazione” senza sconti della vecchia nomenclatura. Ma più che da una lucida visione prospettica, queste invocazioni appaiono come la tardiva presa d’atto di una riflessione, a sinistra, su come è cambiato Israele nel corso degli ultimi cinquant’anni, dei profondi cambiamenti demografici determinati dall’arrivo in massa dei “russi”, della fine del modello sociale dei kibbutz e della perdita di egemonia culturale da parte ashkenazita.

Una riflessione necessaria quanto dolorosa, che la sinistra deve imporsi se vuole tornare a giocarsi la partita del governo. E non solo in Israele.

Una seduta della Knesset

*La Knesset (in ebraico הַכְּנֶסֶת), il parlamento monocamerale d’Israele, è composto da 120 membri eletti ogni quattro anni tramite un sistema proporzionale. Detiene il potere legislativo. Oltre a emanare leggi, elegge il presidente e il primo ministro (formalmente nominato dal presidente), dà la fiducia al governo e ne supervisiona l’attività. Inoltre la Knesset ha la facoltà di destituire il presidente o il governo (attraverso una mozione di sfiducia costruttiva), e di sciogliere se stesso, indicendo nuove elezioni. L’assemblea ha sede a Gerusalemme ovest. Alle ultime elezioni (17 marzo 2015, XX legislatura) dieci partiti hanno superato la soglia di sbarramento del 3.25 per cento per poter essere rappresentati nel parlamento.

Nell’immagine d’apertura, un cartellone elettorale del Partito laburista, con in primo piano il leader Avi Gabbay

Israele al voto. Il suicidio della sinistra ultima modifica: 2019-01-09T12:08:15+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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