La visita di Putin a Belgrado ha fatto tornare in auge una antica barzelletta dei tempi di Tito, opportunamente modificata. Nella versione originale la storiella immaginava che tre auto arrivassero contemporaneamente allo stesso incrocio: in quella che trasportava il segretario russo del Pcus il passeggero ordinava all’autista :”Svolta a sinistra”, in quella del presidente americano l’ordine era “svolta a destra”, mentre il Maresciallo consigliava al suo chauffeur: “Segnala una direzione e poi svolta dall’altra parte”. La variazione moderna riguarda l’auto del leader di Serbia, che adesso è ferma con le quattro luci di emergenza accese.
Il ben noto sarcasmo belgradese non poteva trovare immagine più aderente alla realtà: la visita del capo del Cremlino nella capitale si è svolta in un bagno di folla con centoventimila persone ad applaudire per le strade, nuovi accordi economici sono stati firmati ma tre giorni dopo le proteste sono ripartite in tutto il Paese più accese di prima, e dunque il progetto del presidente Vučić di usare il grande fratello russo anche a fini interni è completamente fallito. Anzi, adesso le centinaia di migliaia di serbi che marciano nelle strade di molte città mandano un messaggio ancora più deciso: la Russia può andarci bene ma Vučić deve andarsene.
La situazione sta virando rapidamente verso il peggio: la protesta continua a ingrossarsi, mentre l’aereo presidenziale russo non aveva ancora raggiunto Mosca è partita la richiesta di un governo tecnico seguita immediatamente dalla minaccia presidenziale di ennesime elezioni anticipate, mentre dalle università parte un primo chiaro messaggio di dissociazione dal potere. Alla facoltà di filosofia di Belgrado 105 fra professori e assistenti (in pratica, l’intero corpo docente) hanno firmato una lettera che esprime sostegno alle proteste e riconosce “molti segni di dittatura nella condotta del governo”. Una ventina d’anni fa, era stata la presa di posizione dell’Accademia delle Scienze ad aprire il passo alla guerra, oggi la situazione è molto diversa eppure l’adesione degli intellettuali dà maggiore forza e motivazione a quella che finora era apparsa essenzialmente come una lotta per la sopravvivenza.
Tra venerdì e sabato scorsi i cortei si sono ripetuti a Belgrado, Kraljevo, Kragujevac, Zaječar, Ruma, Gornji Milanovac, Sombor, Pozega, Pirot, Prokuplje, Šabac, Čačak, Bor, Veliko Gradište, allargandosi anche alla regione autonoma della Vojvodina, dove hanno assunto anche qualche coloritura indipendentista. Questa volta, oltre agli striscioni “sono uno dei cinque milioni” (nati in risposta ad una infelice battuta del presidente) le accuse scandite dalla gente si rivolgevano soprattutto contro RTS, emittente televisiva nazionale, rea di occultare nei suoi notiziari il movimento di protesta.
Anche queste sono scene già viste, per chi ricorda l’inverno della Belgrado scesa in piazza contro Milošević, ma il momento ha segnato anche un’accelerazione nel carattere della protesta, che adesso si politicizza con la richiesta di dimissioni dell’esecutivo e della formazione di un governo tecnico.
Noi non puntiamo a farne parte, vogliamo soltanto che nasca un governo sano e che le opposizioni abbiano voce,
dice Branislav Trifunović, noto attore di teatro, fra i leader della protesta.
Ecco, se qualcuno volesse cercare punti di contatto fra gli inizi di rivolta dei serbi affamati e la situazione italiana, potrebbe forse trovarli in questo: come da noi Beppe Grillo ha reso possibile la nascita di un movimento di incazzati, anche a Belgrado e dintorni è un gruppo di attori a interpretare meglio il senso della rivolta. Con la differenza che qui non si tratta di comici, ma di attori drammatici.
Ad affiancare Branislav Trifunović nella guida delle proteste ci sono suo fratello Sergej (attore a sua volta, anche se molto più famoso e già protagonista di una lunga contesa col presidente Vučić) e Nikola Kojo, anch’egli piuttosto noto. Questi personaggi pubblici per ora fungono da catalizzatori del malcontento, anche se per alcuni di essi pare avvicinarsi il salto nella politica: Sergej Trifunović, per esempio, è candidato ad assumere la guida del “Movimento dei cittadini liberi” (PSG), gruppo fondato dall’ex difensore civico Sasa Janković che si è dimesso ammettendo l’inutilità delle sue numerose battaglie contro il regime.
Adesso Nikola Kojo prende la parole per dire a Vučić che
la fine è arrivata: hai fatto la tua blitzkrieg sulla capitale e contro le risorse della sua gente, hai sospeso la legge e la giustizia e chiuso tutte le istituzioni […] noi non ti paghiamo per insultarci, umiliarci e chiamarci feccia, non ti paghiamo per essere giudice, procuratore e allenatore.
E Branislav Trifunović rincara la dose:
Vogliamo che venga stabilito un sistema in cui il cittadino possa controllare il governo e deporlo se necessario. Vogliamo un piano chiaro di amministrazione statale, vogliamo che i politici si adeguino allo Stato, e non lo Stato ai politici. E se Vučić pensa di ricorrere ancora ad elezioni anticipate, sappia finora che noi non siamo d’accordo con questa farsa.
Un altro gruppo di opposizione, l’Alleanza per la Serbia (SzS) ha messo a punto una piattaforma politica per il cambiamento in trenta punti, e per dare maggiore visibilità alla rivolta fa sapere che si rivolgerà agli altri partiti, a celebrità, sindacati e associazioni civili
per lavorare insieme ad un piano che sarà presentato ai cittadini.
Se dunque si guarda alla visita di Vladimir Putin dal punto di vita economico, sembra che le relazioni con la Serbia siano destinate a migliorare: una società russa ammodernerà alcuni tratti delle ferrovie nazionali, viene istituito un istituto paritetico sugli studi nucleari (cosa che ha fatto drizzare le orecchie ai servizi di sicurezza occidentali) ed è stata formata una ventina di protocolli di cooperazione. Sul versante politico il Grande protettore ha ripetuto che per il Kosovo si può trattare solo sulla base della Risoluzione 1244 dell’Onu e di conseguenza si è proposto come mediatore, mentre sul piano interno sembra che Vučić gli stia bene almeno fino a prova contraria. Ed è proprio su questo punto che le dimostrazioni mirano a influire.
L’auto con targa serba, dunque, sembra proprio essere rimasta in “panne” con le quattro frecce accese, anche se da un momento all’altro potrebbe schizzare via senza controllo. Concludiamo tornando alla lettera dei docenti di filosofia: scrivono che
i cittadini serbi hanno perso sul piano politico, economico e delle libertà culturali, che sono alla base delle democrazie europee. Le istituzioni e l’attuazione delle leggi stanno collassando, mentre l’interesse generale è sottomesso agli interessi personali e di partito. Con inutili frequenti elezioni straordinarie e migliaia di emendamenti, il sistema parlamentare è stato trasformato in un’assurdità, mentre la società viene spinta alla violenza politica. Con le persecuzioni sui tabloid, con minacce, detenzioni, processi giudiziari e violenza, si sta cercando di intimidire e umiliare i cittadini serbi. Il governo si rifiuta di dare risposte alle domande della gente, ed i suoi membri insultano tutti coloro che osano esprimere un’opinione diversa. L’attuale governo sta usando la propaganda nel tentativo di nascondere il fatto che la Serbia è una delle economie con la crescita economica più lenta in Europa negli ultimi cinque anni, e che i salari sono inferiori solo in Albania e Macedonia. Insieme agli altri cittadini impegnati nelle proteste, sappiamo molto bene che una Serbia diversa, migliore di quella sistematicamente distrutta dall’attuale governo, è possibile.

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