Per anni il modo in cui si è articolato il processo di integrazione europea è sembrato essere senza alternativa. Ora l’alternativa c’è ed è la peggiore possibile, quella dei partiti di estrema destra, populisti, che sostengono uno stato sociale xenofobo. I partiti che hanno governato l’Europa avrebbero potuto agire in maniera diversa?
Lo abbiamo chiesto a Sheri Berman, professoressa di Scienza Politica al Barnard College, presso la Columbia University (New York). I suoi interessi di ricerca includono la storia e la politica europea, lo sviluppo della democrazia, il populismo e il fascismo e la storia della sinistra. È autrice di svariati libri, tra cui The Primacy of Politics: Social Democracy and the Making of Europe’s Twentieth Century (New York, NY: Cambridge University Press, 2006), The Social Democratic Moment: Ideas and Politics in the Making of Interwar Europe (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1998) e “Democracy and Dictatorship in Europe: From the Ancien Régime to the Present Day” (Oxford, Oxford University Press, 2018).
Professoressa Berman, lei ha scritto che il principale problema dell’Europa odierna è l’ascesa del populismo e ha collegato questo fenomeno al declino dei partiti socialdemocratici, del quale abbiamo avuto vari esempi nell’ultimo decennio. Pensa che tutte le recenti esperienze di governo dei socialdemocratici siano state fallimentari o c’è qualcosa che può essere salvato?
Parte del problema è che i socialdemocratici hanno smarrito molto del proprio programma e del proprio appeal all’inizio del ventunesimo secolo, soprattutto nel campo della politica economica, dove una sorta di egemonia neoliberale si è sviluppata alla fine del Ventesimo secolo. Questa tendenza è stata accelerata dalla caduta del comunismo e si è imposta non solo nei partiti in questione ma anche nell’Unione europea e in altre organizzazioni internazionali.
In particolare dopo la crisi finanziaria, con i cittadini europei insofferenti e frustrati dalle sue conseguenze, e più in generale, una volta che le ricadute della deregolamentazione del mercato si sono fatte sentire, la sinistra di governo o socialdemocratica non è stata in grado di gestire rabbia e paure. Molti, soprattutto tra la classa operaia – base tradizionale della sinistra – sono stati intercettati da una destra populista, che ha riempito strategicamente lo spazio lasciato vuoto dai partiti socialdemocratici. Questa destra populista ha iniziato a caldeggiare a gran voce il controllo del mercato e la protezione dello stato sociale, unendo a ciò una dose di sciovinismo e xenofobia. Per questi partiti, il miglior modo per proteggere i cittadini è escludere gli “intrusi” dall’accesso alle preziose risorse del paese.
Priva di un appeal economico distintivo, la sinistra ha cercato di mantenere la sua base elettorale puntando tutto sulle questioni culturali e sociali, spostandosi ancora più a sinistra su tali questioni, così come, in maniera speculare, la destra si è mossa sempre più a destra. In questo modo è cominciata una bizzarra ridefinizione del panorama politico e partitico, dove oggi abbiamo, da un lato, partiti populisti che promuovono uno stato sociale nativista, xenofobo e, dall’altro, la sinistra socialdemocratica che sostiene una versione di neoliberismo cosmopolita, senza frontiere. Questo ha comportato una ridefinizione dei blocchi elettorali, con molti membri della classe operaia che si sono spostati verso la “nuova” destra e gli impiegati e i verdi che sono andati verso la nuova sinistra.
Lei sottolinea che partiti di sinistra hanno abbracciato il neoliberalismo. Nel contesto globale in cui viviamo, avrebbero potuto agire diversamente?
Non vedo perché no. In particolare se si pensa a quanto lontano sono andate queste riforme nell’Unione europea. La sinistra sembra sia stata semplicemente incapace di proporre una visione socialdemocratica alternativa e coordinata di come l’Unione europea avrebbe potuto evolversi, per quanto riguarda sia l’integrazione economica sia l’insieme di politiche che ha imposto ai suoi membri. Gli elettori non hanno mai veramente avuto un’alternativa.
A breve termine poteva avere senso spostarsi al centro dal punto di vista economico, ma a lungo termine è stato un disastro perché la sinistra ha lasciato il compito di difendere il compromesso socialdemocratico ai partiti di destra, che, come vediamo molto bene oggi, non sono necessariamente così rispettosi della democrazia liberale.
L’impressione generale è che gli stati membri facciano una gran fatica a trovare un accordo su qualsiasi cosa e l’alternativa di un’Europa sociale, a cui lei fa implicitamente riferimento, sembra quasi inarrivabile, nonostante se ne parli da trent’anni. È un problema legato all’assetto istituzionale europeo?
Con il senno di poi, l’integrazione del mercato avrebbe dovuto avvenire solamente insieme alle riforme sociali e politiche corrispondenti, e se ciò non fosse stato possibile, sarebbe stato meglio attendere e non andare avanti con l’integrazione monetaria e del mercato fino a quando i pezzi politici e sociali del puzzle non si fossero incastrati. È una questione di equilibrio. Anche nel dopoguerra c’era un sistema capitalistico vibrante, ma era controbilanciato da molte altre istituzioni, politiche e riforme.
Ma, nel corso del Ventesimo secolo, l’integrazione economica nell’Unione europea ha fatto dei passi da gigante lasciando per strada l’integrazione politica e sociale. Gli architetti di questa strategia pensavano che queste ultime avrebbero seguito naturalmente, ma non è stato così. L’esempio del dopoguerra avrebbe dovuto ricordare che senza questo equilibrio sarebbe stato probabile incontrare problemi economici e politici significativi e questo è precisamente quel che è successo.
Proviamo a guardare al futuro. Vede dei segnali positivi per l’Europa?
Ora la situazione è piuttosto grave. Le elezioni europee tendono a diventare un’occasione per attaccare lo status quo: sono un’opportunità per le persone arrabbiate di far sentire la propria voce, se non altro perché le elezioni non hanno alcun impatto rilevante.
Basta guardare ai problemi che Emmanuel Macron sta affrontando in Francia per capire quanta poca coordinazione ci sia al centro o a sinistra per provare a proporre un programma convincente in vista del voto di maggio. Macron sta lottando per la sopravvivenza, la sinistra è praticamente scomparsa in paesi come la Germania o l’Italia. Non sono particolarmente speranzosa, ma può anche darsi che i cittadini europei si rivelino più moderati e lungimiranti di quanto immagini.
Come lei, i cittadini europei non sembrano particolarmente ottimisti. Molti di loro temono di perdere il loro status, anche a causa dell’ascesa della Cina e l’atteggiamento più aggressivo degli Stati Uniti verso l’Europa. I governi europei sono credibili quando promettono ai loro cittadini che continueranno a mantenere gli attuali alti livelli di vita o si va verso un inevitabile declino?
Se si guarda ai sondaggi, molte persone, non solo in Europa ma, in generale, nell’Occidente, sono estremamente pessimiste e nostalgiche. Quel che è particolarmente preoccupante, è che queste prospettive spesso non sono collegate alla performance reale dell’economia. Quindi, anche se le economie europee stanno andando meglio che dieci anni fa, il pessimismo e la nostalgia rimangono, e questi sentimenti offrono il terreno perfetto per coltivare il populismo. In gran parte dell’Occidente, la gente vede solamente molte cose negative e non c’è una chiara via di uscita a questa dinamica. Un ribaltamento della situazione negli Stati Uniti potrebbe aiutare, considerando che è stata l’elezione di Trump a fare da traino alle tendenze populiste in giro per il mondo. Ma dovremo aspettare fino al 2020 per vedere cosa cambia.
Parlando di Trump, va notato il risultato positivo per i democratici nelle elezioni di medio termine. In maniera non dissimile, in Gran Bretagna Jeremy Corbyn sta guadagnando terreno approfittando del caos provocato dai conservatori. Quali sono stati gli ingredienti dell’ottima prestazione dei democratici? Il loro successo è una buona notizia per l’Europa?
Il successo dei democratici negli Stati Uniti e dei laburisti in Gran Bretagna ha molto più a che fare con una reazione negativa alle politiche di Trump e dei conservatori piuttosto che con il programma avanzato da questi due partiti.
Corbyn e i laburisti sono divisi sulla Brexit, anche se non nella tragica maniera in cui lo sono i conservatori. Lo stesso Corbyn è un euroscettico, che non ha ancora davvero proposto un vero cambiamento e le sue politiche non sono né testate né chiare. Il fatto che nelle intenzioni di voto sia testa a testa con i conservatori, che sono totalmente allo sbando, non è di per sé un segno di speranza. Se Corbyn andrà al potere, i laburisti avranno un’agenda unica e costruttiva riguardo alla Brexit? Se non sarà così, allora ci sarà solo maggiore insoddisfazione e delusione.
Lo stesso vale per i democratici negli Stati Uniti. Trump mantiene il supporto della sua base, ma a più del 50 per cento degli americani non piace quello che sta facendo. I democratici hanno beneficiato di questo e, anche se è vero che si sono mossi a sinistra sulle questioni economiche, è ancora tutto da vedere se nel 2020 riusciranno a proporre un approccio coerente sul piano nazionale.
Temo che i democratici si divideranno prima delle elezioni, a causa dei troppi candidati che si presenteranno, e così non riusciranno a sfidare in maniera coordinata Trump.
Allo stesso modo, temo che, al di là del desiderio di sbarazzarsi del “cattivo governo” attualmente al potere, né Corbyn né i democratici siano completamente uniti su ciò che desiderano.
Se, nel peggiore dei casi, i democratici negli Stati Uniti e i laburisti nel Regno Unito non riuscissero ad andare al governo, che impatto avrebbe questo sull’Europa?
Da una prospettiva europea, l’idea di una seconda presidenza Trump sarebbe un disastro. Trump non è interessato a mantenere la relazione transatlantica. Il Ttip, la Nato, ecc…: l’ordine internazionale uscito dal dopoguerra verrebbe ulteriormente indebolito. E l’Europa non è in grado di coordinarsi da sola su una grande varietà di questioni legate a economia e sicurezza.
L’Europa dovrebbe guardare verso altri partner?
La soluzione ovvia per l’Europa è di indossare il mantello di alternativa dominante al populismo, ma al momento questo non è possibile a causa dell’incapacità di superare le divisioni nazionali. L’unico paese che potrebbe assumere la guida è la Germania, ma Angela Merkel non era interessata a farlo e, ora, la sua carriera politica volge al termine. Macron aspirava a quel ruolo ma non è nella posizione di richiederlo, in quanto è preso a gestire i propri problemi interni. Le opportunità per l’Europa e per il processo di integrazione europea di avanzare sulle proprie gambe sembrano essere meno rispetto a qualche anno fa.
L’Europa ha cercato di assumere il ruolo di leader nella lotta al cambiamento climatico, fenomeno che ha conseguenze a livello globale. Pensa che in questo campo potrebbe trovare altri alleati, come per esempio la Cina?
Il cambiamento climatico è, infatti, non solo una questione europea, ma una preoccupazione mondiale che deve essere affrontala a livello globale. Su questo tema, Trump è profondamente disinteressato. Cina e India ne hanno riconosciuto pubblicamente l’importanza, ma il loro obiettivo principale è continuare a crescere dal punto di vista economico.
Ci sono difficoltà anche in Europa. In generale, i cittadini europei sostengono le questioni ambientali, ma quando arriva il momento critico e si trovano a dover decidere tra un aumento dei prezzi della benzina ed essere capaci di pagare il proprio affitto, scelgono la seconda opzione.
La situazione sembra senza speranza…
Non sono ottimista al momento, ma ho ancora molta fede nella democrazia e sono convinta che questa offra alle persone la miglior speranza per risolvere i loro problemi collettivi.
[terza di una serie di interviste in vista delle elezioni europee]

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!