Settembre 1945, tragico dopoguerra: nel Nord Italia convergono a migliaia gli ebrei reduci dai campi di sterminio, tra i più deboli tanti bambini, rumeni, ungheresi, polacchi, tedeschi, accomunati dal raccapricciante passato da internati, profughi fuggitivi.
La rete di solidarietà parte da Delasem, la Delegazione di assistenza agli emigrati ebrei che dal 1939 al 1947 si occupa di distribuire aiuti ed organizzare protezione ai perseguitati dalle leggi razziali, guidata dal veneziano Raffaele Cantoni, fuggito avventurosamente dal convoglio che lo stava portando al campo di sterminio e animatore da Milano e dalla Svizzera degli aiuti ai correligionari durante la guerra.
Assieme a Luigi Gorini del Cnl, di fronte all’emergenza umanitaria dei piccoli orfani abbandonati, Cantoni trovò in Lombardia un luogo dove far convergere ottocento bambini e adolescenti accomunati da stenti e terrore. Bambini che parlavano lingue diverse, che avevano vissuto l’inenarrabile, separati per sempre dai genitori mai più ritrovati (solo sette su ottocento dopo anni trovarono parte della famiglia superstite in vari continenti), che avevano patito fame e sofferenze lavorando nei lager, o nascondendosi nei boschi, in una fuga continua.
Furono circa sessanta i luoghi di raccolta per i sopravvissuti alla Shoah nell’immediato dopoguerra in Italia, strutture volontarie italiane confessionali, laiche o organizzate dalle comunità ebraiche, che ricevevano sovvenzioni e cibo dai correligionari del Nord America.
Sui monti della bergamasca, il paese di Selvino durante il ventennio aveva ospitato una colonia per i Balilla e le Piccole italiane, in un grande edificio dalle ampie camerate, saloni, terrazze, aule e giardini, costruito nel 1928: il nome della grande e solida costruzione era Sciesopoli, ovvero città dedicata al patriota milanese Amatore Sciesa, che con la frase “tiremm innanz” ribadì il rifiuto di rivelare agli austriaci i nomi dei cospiratori durante la resistenza nel 1851 e fu per questo fucilato.
In questa casa di accoglienza tra le prealpi furono radunati ottocento piccoli ospiti, guidati da Moshe Zeiri e da un gruppo di educatori: un ritorno alla vita, al cibo, al gioco, alla socialità, per bambini sconvolti e senza più anima. Gli educatori si trovarono di fronte a un’esperienza mai vissuta prima, e accolsero gli ospiti accomunandoli con la lingua ebraica a superamento delle differenze linguistiche.
Moshe Zeiri, il direttore, era un militare, ebreo galiziano arrivato nel Nord Italia assieme alla Brigata Ebraica che dal 1943 dalla Sicilia aveva risalito la Penisola con gli alleati fino a Milano, portando i primi aiuti ai correligionari superstiti in varie città italiane. Zeiri viveva in Palestina – non ancora Stato di Israele – e lì, a Eretz Yisrael, si prefiggeva di portare gli orfani della Shoah dopo averli curati e riportati a una vita degna.
Ma anche il viaggio verso l’“aliyah”, la risalita, doveva passare attraverso molti ostacoli: il protettorato inglese sulla Palestina contingentava a cinquemila all’anno il numero dei sopravvissuti alla Shoah che potevano legalmente entrare nel futuro Stato di Israele.
Molte furono in quegli anni le navi di “illegali” acquistate con il denaro delle comunità della diaspora, che da vari litorali italiani partivano per le coste del Mediterraneo orientale: e molte furono le navi intercettate dal blocco inglese lungo le coste della Palestina, con i profughi internati in campi a Cipro, fino al 1948. Tragico destino che toccò anche a molti orfani di Sciesopoli, partiti dalle montagne di Selvino e bloccati a poche miglia dalla meta.
Di fronte all’emergenza dei piccoli sopravvissuti, il paese di Selvino, borgo agricolo su un altopiano che domina la val Seriana, a quasi mille metri di altitudine, sembra il luogo ideale: nell’autunno del 1945 l’edificio chiamato Sciesopoli si rianima di centinaia di voci diverse, yiddish, polacco, rumeno, tedesco… in una sorta di nemesi, dopo essere stata dimora di piccoli italiani che facevano risuonare nelle ampie stanze canzoni e marce a gloria di un regime responsabile della sofferenza dei nuovi ospiti.
Era un mondo tutto da ricostruire, non solo esteriormente: per gli animi devastati degli ottocento giovani sopravvissuti si imponeva un nuovo metodo pedagogico, che tenesse conto sì delle sofferenze, ma che le lasciasse alle spalle per ridare un senso e una speranza, una nuova autostima e consapevolezza, una fiducia unita alla voglia di riuscire. E così, grazie all’applicazione di nuovi metodi psicopedagogici, il direttore Zeiri organizza, oltre alla scuola, un giornalino, un parlamento e una repubblica dei bambini in miniatura, corsi di pittura e musica, oltre al gioco, al teatro, corsi di artigianato.
I bambini del paese di Selvino giocavano con i bambini di Sciesopoli, organizzavano tornei di calcio e passeggiate, nascevano amicizie. Finché nel 1948, alla nascita dello Stato di Israele, i ragazzi lasciarono la grande struttura per una nuova patria e Sciesopoli fu chiusa. Partirono ragazzi e ragazze dei quali ancora oggi non si conoscono tutti i nomi, poiché carte e documenti conservati nell’Archivio di stato di Bergamo sono stati distrutti durante un’alluvione: la documentazione era già frammentaria per ammissione dei responsabili, visto che di fronte a ottocento bambini non c’era molto tempo da dedicare alla burocrazia.
Solo nel 1983 un gruppo di ex bambini di Sciesopoli si radunò assieme al direttore Zeiri a Selvino, incontrando sindaco e comunità e stabilendo il gemellaggio tra il kibbutz Tze’elim e Selvino stesso. Nel 2015 un’ulteriore riunione ebbe luogo sulle prealpi bergamasche, e in quell’occasione, con figli e nipoti al seguito, gli ex bambini di Selvino maturarono l’idea di allestire un museo della memoria, e posero una targa di ottone: targa recentemente trafugata, a spregio di vite dolenti.
La grande casa di Sciesopoli, nonostante fosse stata costruita con impeccabili e solidi materiali, marmi e raffinata architettura, è abbandonata dagli anni Ottanta, e ora è in rovina, con alberi che crescono rigogliosi all’interno della struttura, depredata da arredi ed elementi decorativi. Il progetto del museo resta attuale, soprattutto in momenti come questo, sull’orlo di una crisi umanitaria in Italia, in Medio Oriente, ai confini della civilissima Europa.
Secondo le intenzioni dei promotori, in primis Marco Cavallarin, saggista e professore, il museo dovrà essere oltre che monumento alla memoria, un luogo simbolo dell’umanità, che tra le stanze oggi in rovina di Sciesopoli si è manifestata attraverso il lavoro di tante persone, uno dei momenti più commoventi della nostra storia recente. Una sottoscrizione sarà aperta per la raccolta di fondi.
Nell’ambito delle manifestazioni per il Giorno della Memoria, l’Ateneo Veneto ha ospitato la conferenza su “Sciesopoli ebraica, come ottocento bimbi, orfani, ebrei, sopravvissuti, sono tornati alla vita a Selvino”. Relatore Marco Cavallarin su invito della Adei (Associazione donne ebree d’Italia).
Altre informazioni possono essere trovate nel sito www.sciesopoli.com.
Sulla vicenda di Sciesopoli è stato pubblicato anche un libro illustrato. L’autrice è Anna Scandella, nata a Songavazzo, Bergamo, nel 1993. Scandella lavora come illustratrice e graphic designer in uno studio grafico a Manchester. Nel 2015 si è laureata alla scuola di Grafica presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. Da sempre interessata alle vicende del popolo ebraico, ha approfondito e curato un progetto di comunicazione per il 70° anniversario di Sciesopoli Ebraica come tesi di laurea.

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2 commenti
Desidero ricordare che da poco è uscito il libro di Luzzatto, I bambini di Moshè, che parla della vicenda di Sciesopoli.
Tra le presentazioni che la Associazione Limmud Italia ha offerto nel suo evento a Firenze, 2017, ce ne è stat una su Sciesopoli, vedi il sito http://www.limmud-italia.it.
Anche Valobra di Genova dovrebbe essere ricordato