Il cinismo di Bibi, un pericolo per Israele

Il primo ministro e leader del Likud vuole allearsi con Otzma L’Yisrael, un partito razzista e violento, il cui ispiratore fu cacciato dal parlamento per le sue proposte feroci contro i palestinesi e gli arabo-israeliani.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Una scelta che segna una svolta storica, identitaria, morale nella destra israeliana. Una scelta che non può essere letta solo in chiave elettorale: sdoganare il peggio pur di conquistare il primato. E non si tratta nemmeno, come ytali. ha documentato a più riprese, di una deriva “confessionale” e ultranazionalista che sta segnando il partito storico della destra israeliana: il Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Per capire dove va Israele, può aiutare, e inquietare, la notizia del tentativo messo in atto da Netanyahu di costruire un cartello elettorale di ultradestra, con cui dar vita ad un nuovo esecutivo, che tenga assieme il Partito nazionalista religioso ebraico e tutti gli altri partiti di estrema destra, incluso il “kahanista” Otzma L’Yisrael. Un’inclusione che riscrive la storia d’Israele, trasformando un movimento dichiaratamente razzista, violento, in un potenziale partner di governo.

Il simbolo di Otzma L’Yisrael

Per chi ha davvero a cuore Israele, per quanti s’interrogano con sincerità e partecipazione su ciò che resta degli ideali che furono all’origine del pionierismo sionista, e della fondazione dello Stato d’Israele, è di grande utilità e impatto leggere quanto ha scritto Anshel Pfeffer, in un recente articolo su Haaretz:

Nel novembre del 1990, quando l’estremista di estrema destra Meir Kahane fu assassinato a New York, la nostra yeshiva proibì ai suoi studenti di andare al funerale a Gerusalemme. Questa non era una piccola cosa. Comunicava agli studenti di yeshiva che non potevano andare al funerale di un ebreo che era stato assassinato come ebreo. Dopo ventott’anni nessun rabbino o politico anziano ha contestato la proposta indecente di Netanyahu. Non una sbirciatina su quanto sia impensabile l’idea di unirsi a un partito apertamente razzista, anche se ciò metterebbe a repentaglio la presa del potere della destra.

E spiega poi:

Negli anni Ottanta Kahane, che conduceva regolarmente i suoi rally al canto di ‘death to Arabs’, era un membro eletto della Knesset (il Parlamento israeliano, ndr). E quando fu bandito per motivi di razzismo nel 1988, fu sostituito nella Knesset dai membri della Moledet, la cui politica ufficiale era la pulizia etnica della Cisgiordania. Quindi no, non penso che Israele sia necessariamente più razzista oggi di quanto lo fosse allora (e non ricorderò nemmeno, quando sotto i governi Mapai, gli arabi israeliani vivevano sotto la legge marziale). Ciò che è innegabilmente cambiato e in peggio, come la richiesta di Netanyahu di portare i Kahanisti nella legittima area politica, mostra perfettamente che siamo diventati molto più tolleranti nei confronti del razzismo. Trattare Otzma L’Yisrael e il suo gruppo come legittimi significa che il razzismo è un’opzione. E quando è un’opzione, anche se affermiamo di non sceglierla, il razzismo permea tutto.

A vincere, culturalmente e ideologicamente prima ancora che sul piano elettorale, è il revisionismo sionista di Zeev Jabotinsky, l’ideologo della destra israeliana, colui che ha sempre messo al primo posto “Eretz Israel” (la Sacra terra d’Israele), rispetto a “Medinat Israel” (lo Stato d’Israele). A trionfare è la visione messianica che Israele ha di se stesso, quella di un popolo eletto che ha una missione da compiere e una terra da conquistare.

L’ebraismo e la democrazia occidentale sono incompatibili sentenziava il rabbino Yossef Dayan, colui che nel 1995 pronunciò contro Yitzhak Rabin, pochi mesi prima che il premier fosse assassinato dallo zelota Ygal Amir, la “Pulsa Nura”, cioè la “Staffilata di fuoco”.

Lo sdoganamento del partito “kahanista” da parte del premier più longevo nella storia dello Stato ebraico attualizza e drammatizza quanto ebbe a dire Moshe Yaalon, un uomo della destra moderata, a motivazione delle sue dimissioni da ministro della difesa. Ecco alcuni passaggi della dichiarazione con cui annuncia le sue duplici dimissioni dal governo e dalla Knesset:

Elementi estremisti hanno preso il potere nel Paese […] Ho combattuto con tutte le mie forze contro le manifestazioni di estremismo, violenza e razzismo nella società israeliana, che minacciano la sua robustezza, e poco per volta si infiltrano anche nelle Forze di difesa israeliane, danneggiandole. Ho combattuto con tutte le mie forze contro i tentativi di delegittimazione della Corte suprema e dei giudici di Israele, tentativi che hanno conseguenze nefaste sullo stato di diritto, il che potrebbe essere disastroso per il nostro Paese.

Per concludere così il suo possente j’accuse:

In generale, la società israeliana è una società sana, e la maggioranza di coloro che la compongono è sana di mente e aspira a un Paese ebraico, democratico e liberale […] Ma con mio grande dispiacere, estremisti ed elementi pericolosi hanno preso il sopravvento in Israele e nel Likud e ne stanno scuotendo le fondamenta minacciando di danneggiare i suoi abitanti.

E infine:

Purtroppo, i politici di alto livello nel paese hanno scelto la via dell’istigazione alla segregazione di parti della società israeliana, invece di cercare di unificarla. Non posso sopportare che saremo divisi a causa del cinismo e dell’aspirazione al controllo, e ho espresso il mio parere sulla questione più di una volta, dato che sono sinceramente preoccupato per il futuro della società israeliana e il futuro delle prossime generazioni.

Il rabbino Meir Kahane

Ed è in questo contesto, che la questione palestinese s’intreccia indissolubilmente con quella che Avishai Margalit, professore di filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme, tra i più accreditati politologi israeliani, definisce la “tragedia del sionismo”. Secondo Margalit infatti la tragedia del sionismo “è il suo scontro finora inconciliabile con i palestinesi, che getta un’ombra lunga e scura sulle aspirazioni morali del sionismo”.

E annota:

È un conflitto tragico perché è facile per tutte le persone di buona volontà rendersi conto della forza morale delle rivendicazioni di entrambe le parti. Tuttavia non c’è parità morale. L’onere morale della prova è a carico d’Israele, ovvero dell’incarnazione del sionismo. La ragione di ciò non è che agli ebrei si facciano richieste morali più elevate perché essi stanno su un piano morale più alto, ma al contrario perché esiste un’asimmetria tra il potere detenuto dagli israeliani e dai palestinesi. L’aver così tanto potere in più pone a Israele un obbligo morale aggiuntivo.

Margalit rimarcava questo (nel libro Volti d’Israele), nel 1998. Ventun’anni dopo, l’asimmetria è cresciuta ulteriormente, e quell’obbligo morale non è stato minimamente ottemperato. Senza memoria non c’è futuro, ammoniva Elie Wiesel.

Ma la memoria in questo caso sembra fare difetto alla leadership politica che governa Israele. Proviamo a rinfrescarla con questo straordinario, per potenza letterale e chiarezza di analisi, articolo dell’allora corrispondente di Repubblica a Gerusalemme Avigdor Livni:

L’elezione del rabbino razzista Meir Kahane alla Knesset fa rabbrividire di disgusto la maggior parte degli israeliani. Non solo la stampa analizza ‘con vergogna e spavento questo fenomeno di ‘orrore fatto uomo’, come scrive Amos Keenan sullo Yediot Aharonoth, ma persino Begin è uscito dal silenzio per deplorare quest’elezione. Anche gli oltranzisti del Tehiya, il cui fanatismo nazionalista supera quello del Likud, sono preoccupati dalla presenza di quest’uomo nel loro campo. S’impongono, però, talune riflessioni. Innanzitutto che numerose personalità di primo piano del mondo politico e religioso israeliano non hanno ritenuto necessario far sentire la propria voce in merito. Shamir, Sharon e Arens non si son lasciati sfuggire una parola e lo stesso ha fatto Raphael Eytan, il generale della riserva e dirigente politico di Tehiya descritto a suo tempo da Begin come ‘il grande educatore della gioventù israeliana’.

E Livni continua:

E, cosa ancora più grave, il gran rabbinato, gli ex gran rabbini d’Israele, il consiglio dei saggi della Thorà (sefardita) e il consiglio dei grandi della Thorà (aschenazita) e l’establishment religioso nel suo insieme non hanno ritenuto necessario pronunciarsi. Coloro i quali si sono autoproclamati, in nome della loro autorità religiosa, guardiani supremi della morale privata e nazionale, non trovano niente da ridire che entri nella Knesset un uomo che porta il titolo di rabbino e il cui programma di umiliazione, intimidazione, brutalizzazione ed espulsione degli arabi israeliani – cittadini dello Stato ebraico – è stato approvato da circa 22.000 elettori, soprattutto giovani. In percentuale il rabbino Meir Kahane ha ricevuto due volte più voti nell’esercito che nel resto del paese.

E ancora:

Un’ulteriore riflessione s’impone: ‘questo orrore fatto uomo’ è forse un prodotto del caso? L’entrata di Kahane alla Knesseth è forse un’aberrazione “patologica” della storia d’Israele? Taluni commentatori, qui, sembrano crederlo. Si possono chiudere gli occhi sulla filiazione diretta tra l’ideologia del campo che si autodefinisce ‘nazionale’ (Likud e Tehiya) e l’ideologia di un Kahane? Quando si esalta il diritto divino – e quindi assoluto – d’Israele sulla Terra promessa e si pretende di privare milioni di palestinesi dei loro diritti su terre sulle quali i loro antenati hanno vissuto per centinaia d’anni, come sorprendersi che l’ideologia di un Kahane circa la necessità di cacciar via tali arabi da quelle terre ‘date da dio al suo popolo’ trovi grazia agli occhi di una parte dell’elettorato israeliano?

E conclude:

Parlando dei palestinesi che resistono a questa spoliazione, Menahem Begin, allora primo ministro d’Israele, aveva parlato di ‘animali a due zampe’ e Raphael Eytan, capo di stato maggiore, aveva paragonato questi stessi palestinesi a ‘scarafaggi drogati in una bottiglia’. Come, allora, sorprendersi che dei giovani israeliani plaudano a Kahane che prova lo stesso disprezzo per i palestinesi e lo scelgano come capo perché il suo programma è più chiaro e coerente di quello del Likud e persino di Tehiya?

Militanti di Otzma L’Yisrael

L’articolo in questione era del 29 luglio 1984. Sono passati quasi trentaquattro anni d’allora, ma l’attualità è sconvolgente. E se qualcosa è cambiato, è cambiato in peggio. Il 5 novembre 1990 il rabbino Meir Kahane fu ucciso a Brooklyn. Nel 1984, pochi mesi dopo la sua elezione, era stato espulso dalla Knesset per le sue posizioni razziste. Quell’espulsione, così come la messa fuorilegge del Kach, il partito di estrema destra fondato da Kahane, rispondeva, con un atto di coraggio, di responsabilità da parte del Parlamento israeliano, al grido d’allarme che segna l’articolo di Livni.

Oggi sdoganare Otzma L’Yisrael, che del kahanismo è erede politico e ideologico, è cancellare quell’atto, ed è molto più e molto peggio di legittimare un partito che ha dato copertura politica, organizzativa e ideologica ai gruppi più violenti dell’estremismo zelota. È aprire un’autostrada al razzismo in Terra d’Israele.

Il cinismo di Bibi, un pericolo per Israele ultima modifica: 2019-02-09T19:39:14+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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