Pedro Sánchez sott’assedio

A sinistra le cose vanno male, in Spagna. Se la capacità di iniziativa e mobilitazione delle destre si esprime con sempre maggior forza, le sinistre si avvitano negli scontri di campo e in quelli intestini. E se le cose vanno male nel Psoe, in Podemos vanno ancora peggio
ETTORE SINISCALCHI
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Il voto di dicembre, e la nascita del nuovo governo andaluso il 18 gennaio scorso, non sono stati solo un avvenimento importante nella politica spagnola, la perdita da parte del Psoe della sua storica roccaforte, ma hanno anche fatto intraprendere nuovi percorsi alle destre spagnole. 

Partido popular e Ciudadanos, pur competendo duramente nello stesso bacino elettorale, avevano già stretto accordi governo. Il passo ulteriore è stato di aprire all’estrema destra di Vox. Il nuovo partito col suo voto favorevole ha permesso la nascita di un governo “azzurro-arancione” – presidente Juan Manuel Moreno del Pp, sei consiglieri al suo partito e cinque a C’s – senza entrare nella maggioranza, consentendo così la conquista della “roccaforte rossa”. 

Quanto avvenuto in Andalusia può essere un modello proposto a livello nazionale, una potenziale alleanza di governo per la Spagna? Forse un primo passo a sondare questa possibilità è stato fatto domenica, con la manifestazione di Madrid per chiedere le dimissioni di Pedro Sánchez.

L’adunata era promossa dal Pp e da C’s contro il governo in relazione al tormentato tentativo di dialogo tra l’esecutivo e il governo autonomico catalano. In particolare sotto accusa c’era l’apertura del governo alla presenza di una figura terza agli incontri in programma. La notizia ha scatenato immediate reazioni contrarie in coloro che vi hanno letto la riproposizione dei “mediatori internazionali” che avrebbero dovuto sovrintendere agli incontri tra la Repubblica indipendente catalana e il governo spagnolo, tanto evocati durante la crisi scoppiata col “referendum” catalano del primo ottobre 2017. L’esecutivo di Sánchez risponde che non è così, che la figura è proposta solo per il tavolo dei partiti non per quello istituzionale, ma in fondo la schermaglia è meno importante in sé quanto per quel che fa capire dello stato delle cose di questo momento politico spagnolo.

Un primo dato è la debolezza di Pedro Sánchez, nel governo e nel Psoe. Un dato contingente, il suo gradimento pare ancora alto nelle inchieste, ma evidente nella limitazione del margine di manovra che riesce ad avere. I due principali fronti aperti del governo sono strettamente intrecciati: legge di Bilancio e dialogo per affrontare la crisi catalana. Per varare la legge di Bilancio il governo deve avere i voti dei partiti catalani indipendentisti. Le difficoltà del governo di minoranza, non passato dalle urne ma dalla vittoria nella presentazione di una mozione di sfiducia all’ex capo del governo, Mariano Rajoy, si sommano alla crisi catalana, che prosegue negli inadatti binari nei quali la politica l’ha incanalata, quelli giudiziari. Il tentativo di Sánchez è quello di ottenere i voti catalani mantenendo aperto il dialogo tra Madrid e Barcellona. Operazione già difficile in sé – con le ulteriori tensioni dell’inizio, martedì, del processo a politici e attivisti catalani per ribellione e uso fraudolento di fondi in relazione al referendum – nella quale, bisogna dire, non è aiutato dai catalani e nemmeno dal suo stesso partito.

Le prime ondate di critiche nel caso del “relatore” sono infatti arrivate dal Psoe. Che su un tema determinante per le sorti del governo socialista il partito non riesca a produrre una sintesi descrive bene lo stato delle divisioni interne. Poi sono arrivate le destre, che hanno organizzato la manifestazione mentre attaccavano violentemente. Pablo Casado, il giovane segretario sul quale gli azzurri hanno scommesso per rappresentare il rinnovamento e allontanare dai riflettori i protagonisti delle inchieste per corruzione, ha rivolto a Sánchez epiteti come “traditore”, “fellone”, “illegittimo”, “incapace” e “sleale”, accusandolo di aver tradito il paese consentendo l’arrivo degli osservatori internazionali. Nella concorrenza a destra la prima vittima è il linguaggio pubblico, utilizzato ormai senza scrupoli, mentre l’assoluto dello scontro tra nazionalismi azzera ogni solidarietà istituzionale.

È però proprio dal fronte dei partiti indipendentisti – che dovrebbero difendere un dialogo attaccato non solo dalle destre – che sono arrivati i maggiori ostacoli. Insistere sull’inserimento del concetto di autodeterminazione dei popoli nel testo concordato di accompagnamento al varo del tavolo di confronto ha voluto dire porre un tema che non poteva essere accettato dal governo, che infatti su questo, la scorsa settimana, ha considerato chiuso il dialogo. Ma è stata la decisione di Esquerra republicana di non ritirare l’emendamento totale al bilancio, e quella del Partito democratico catalano (PDECat) di sommarsi al socio nella Generalitat, a far decidere a Sánchez di chiudere. Voleva un pubblico impegno a votare il bilancio mentre sono arrivati segnali contrari.

Adesso il governo si confronta con l’inderogabilità del calendario. Mercoledì la legge di Bilancio arriva in aula. Se Sánchez non ha i voti per farla passare non può fare altro che sciogliere le camere – potere nella disponibilità del capo dell’esecutivo spagnolo. È possibile che la Spagna voti il 25 maggio, in occasione delle europee. La chiusura di Sánchez sembra essere una forma di pressione per ricondurre al dialogo i partiti catalani, che sembrano invece guardare più all’immediata costruzione di una rendita elettorale in Catalogna sacrificando allo scopo il dialogo politico.

Un altro dato che emerge, speculare alla debolezza del governo, è la forza delle opposizioni, e segnatamente delle destre. Le quali hanno dimostrato di sapere mettere in campo una notevole forza politica e di mobilitazione, riuscendo a imporre le loro parole d’ordine e soprattutto il loro racconto delle cose, essendo in grado di dettare l’agenda pubblica. Con i sondaggi che confermano il Psoe come primo partito ma la maggioranza a una coalizione tra Pp e Ciudadanos, ancor più con un eventuale appoggio di Vox.

In questo senso la manifestazione di domenica non ha rappresentato una conferma della percorribilità di un’alleanza delle tre destre per il governo del paese. 

A Plaza de Colón la gente c’era ma la manifestazione è stata molto meno affollata delle aspettative. Con importanti defezioni, come quella di Josep Ramon Bosch, presidente di Societat Civil Catalana, l’associazione che ha rappresentato parte della Catalogna contraria all’escalation indipendentista dei partiti catalani. A segnalare un evidente fastidio per il tentativo delle destre di monopolizzare il contrasto civico all’indipendentismo, in funzione antigovernativa e con scopi politici di parte. L’apertura alla destra estrema, quella che si presenta al voto come Vox, vicina alla filiera dell’internazionale sovranista promossa da Steve Bannon, e quella movimentista e “eurofascista” di Hogar social, non sembra aver sfondato nei cuori dei tanti che pure erano già scesi in piazza per l’unità nazionale negli ultimi tempi. Vero è che tre giorni sono pochi per organizzare una manifestazione nazionale ma anche che la sola Madrid ha risposto in maniera maggiore in altre occasioni. Era presente l’ex primo ministro francese Manuel Valls, che è candidato alle prossime elezioni per il comune di Barcellona con Ciudadanos, che pure ha espresso, invece, contrarietà al coinvolgimento dell’estrema destra nell’accordo andaluso. Insomma è presto per dire che le tre destre possano muovere unite verso il governo del paese, né che ce ne sia bisogno, forse ne basteranno due.

Perché a sinistra le cose vanno male. Mentre la capacità di iniziativa e mobilitazione delle destre si esprime con sempre maggior forza, le sinistre si avvitano negli scontri di campo e in quelli intestini. E se le cose vanno male nel Psoe, in Podemos vanno ancora peggio.

A maggio si voterà anche per città come Madrid e Barcellona e nella capitale Podemos è impegnato nell’ennesima crisi a ridosso del voto. Una crisi che colpisce il nucleo dei fondatori dei viola, con la scelta di Íñigo Errejón di presentarsi con la lista della sindaca Manuela Carmena. Una crisi con risvolti di melodramma, nella fine dell’amicizia tra Errejón e Pablo Iglesias e nel ripetersi della maledizione di uno stalinismo in sedicesimo che lascia vivi tutti i “traditori” di volta in volta identificati come tali e uccide solo le speranze di sempre più persone che credono nella necessità di una sinistra a sinistra del Psoe. Una crisi arrivata, per giunta, dopo essere riusciti a imporre una prima agenda economica in direzione anticiclica all’esecutivo.

A Madrid una buona esperienza di governo, che ha resistito in primis alle divisioni interne delle diverse formazioni che appoggiavano la candidatura Carmena nella lista municipalista, Ahora Madrid, costituita in partito politico, affronta una difficile prova. Gli scontri di Podemos, la demotivazione che possono suscitare nell’elettorato, si aggiungono alla rinnovata capacità delle destre.

A Barcellona i viola non creano problemi solo perché la loro presenza è secondaria, essendo quella di Colau una delle liste di confluencia, alleate elettorali ma indipendenti da Podemos, come accade anche in Galizia e Paese valenziano. Colau deve vedersela però con Manuel Valls, con i sondaggi che danno C’s primo partito, con le incerte sorti dei possibili alleati socialisti catalani – coi quali già si è rotta un’alleanza di governo per la non opposizione all’applicazione dell’articolo 155 in Catalogna, affidando la decisione a un referendum telematico tra gli iscritti.

Il quadro insomma è estremamente complicato. Il processo di superamento del bipartitismo spagnolo sembra andare avanti. Dopo una stagione a parti invertite, adesso è la destra, le destre, a sembrare più dinamica nel cavalcare l’onda della crisi della democrazia rappresentativa spagnola. A giocare meglio la partita del multipartitismo. 

Le sinistre non stanno tanto bene mentre si avvicina un’importante tornata elettorale che forse riguarderà anche il parlamento nazionale. E Pedro Sánchez si trova, ancora una volta, a un bivio. Dove vincere o perdere tutto.

Pedro Sánchez sott’assedio ultima modifica: 2019-02-11T19:38:06+01:00 da ETTORE SINISCALCHI
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