Sono tre storie d’amore e di militanza, di donne e di uomini vissuti di ideali e sacrifici, illusioni e prigionie: Luciana Castellina – militante politica, giornalista e scrittrice – nel suo ultimo libro “Amori comunisti”(edizioni nottetempo) scrive tre intensi capitoli pieni di personaggi che hanno vissuto drammatiche storie e intrecci di politica e sentimento nel nome della fedeltà alla causa comunista. Tre storie vere che si sono svolte durante il secolo scorso ambientate nella tormentata Europa degli anni della seconda guerra mondiale, nell’ex Unione Sovietica e negli Stati Uniti degli anni del maccartismo. È un libro che bisogna leggere come un testo di storia, ma anche di geografia, seguendo le vite dei protagonisti tra la Turchia mediterranea e l’Anatolia, Creta e le montagne della Grecia, l’America e le grandi distanze delle metropoli e delle praterie. Belle e sensibili le descrizioni dei paesaggi che inquadrano i personaggi e il tessuto sociale. L’autrice in anni recenti ha incontrato i protagonisti e ha indagato sulle loro vite, nei luoghi dove vissero.
Il filo che unisce i protagonisti delle storie dettagliatamente narrate è l’amore e la passione politica verso il comunismo, ideale che ha incatenato e illuso generazioni: o forse è la passione politica prima di quell’amore che scandisce le vite del poeta turco Nâzım Hikmet, dei partigiani comunisti greci cretesi Arghirò Polichronaki e Nikos Kokovlis, di Sylvia Berman e Bob Thompson, lei ebrea texana intellettuale e lui proletario eroe di guerra. Vite vissute pericolosamente tra carceri disumane e nascondigli improbabili, tra rifugi e grotte, covi e false identità, percorsi incredibili durati decenni e vite spese tra incertezze, contatti epistolari e desideri di normali vite di famiglia.
Ecco quindi il bel Nâzım Hikmet, nato a Salonicco quando ancora l’Impero Ottomano si espandeva sulle rive del Mediterraneo, figlio di nobile famiglia al servizio del Sultano, che vive gli ultimi bagliori della Istanbul multietnica e multiculturale prima dell’inevitabile fine dell’Impero: fino a quel 1923 nel quale il padre della nuova patria e della nuova Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, trasforma con una rivoluzione culturale, politica, sociale l’antica Sublime Porta in una nuova Turchia per i turchi.
Anche Atatürk è nato a Salonicco, oramai non più turca ma greca, diventa il carismatico presidente della nuova Repubblica con la nascita del nazionalismo e il trasferimento della capitale da Istanbul ad Ankara. Per il poeta Nâzım e per i militanti turchi degli anni trenta del Novecento iniziano peripezie di ogni genere, mentre la rivoluzione bolscevica permea ogni latitudine e infiamma di ideali comunisti un mondo in pieno cambiamento geopolitico. Un intreccio di illusioni accompagna le vite dei protagonisti, ma anche un intreccio di amori, a volte fedelissimi come quello tra Arghirò e Nikos, o volubili e appassionati come i numerosi amori che il turco Nâzım vive entrando e uscendo dalle carceri del suo Paese. Poesie, lettere, messaggi, accompagnano questi amori e queste militanze, siano essi i bellissimi versi del poeta Hikmet o i messaggi scritti su piccolissimi foglietti dai giovani cretesi braccati, o le lettere che viaggiavano per le grandi distanze americane che Sylvia e Bob si scambiavano di continuo.
Straordinario il percorso di Nâzım che ama Piraye e Semiha, mentre perdutamente e tenacemente tra una prigionia e l’altra s’innamora di Munevver, che l’attende per anni e gli dà un figlio, e ama dopo essere fuggito in Russia Vera e Galina… Bello era Nâzım, e fascinoso fino alla fine: sciupafemmine? Lui amava davvero e i suoi versi che uniscono in un unico amore tutte le sue donne sono un inno al sentimento “come se stringessi tra i palmi il mio cuore”, recita il poeta.
Il Partito comunista in Turchia è dichiarato illegale, le minacce continue e le continue carcerazioni accentuano i problemi di salute del poeta fino alla rocambolesca fuga finale attraverso il Mar Nero per raggiungere Mosca. Dove nostalgia e disillusioni accompagnano l’autore fino alla morte, avvenuta nel 1963, ad appena 61 anni: ha giusto il tempo di scrivere un romanzo autobiografico dal titolo “Gran bella cosa è vivere, miei cari”. Poesia e impegno politico, e una vita intera che l’ha obbligato a “Non vivere sulla Terra come un inquilino”, dal titolo di un libro di poesie. La raccolta più completa di testi è uscita nel 2013 a cura di Giampiero Bellingeri per Mondadori, “Poesie d’amore e di lotta”.
La stessa lotta e lo stesso amore che hanno intrecciato le vite di due altri protagonisti sospesi tra ideali comunisti e sentimento privato, una storia incredibilmente lunga e drammatica che si svolge sui monti dell’isola di Creta durante la guerra civile greca, nell’immediato dopoguerra. Arghirò e Nikos ammettono, come il titolo del volume uscito alla fine della loro vita: “Non avevamo altra scelta” se non la resistenza, che ha come sfondo la bella isola dove tra grotte e dirupi si nascosero i comunisti fino – e sembra incredibile – al 1962.
Le precise dettagliate annotazioni dell’autrice offrono uno spaccato formidabile sulla situazione politica della Grecia degli anni dal 1948 all’amnistia verso i militanti comunisti. Occasione per aprire una carta del Mediterraneo e focalizzare l’attenzione sull’antica isola greca, obiettivo strategico durante la seconda guerra mondiale per gli eserciti, le marine, le aviazioni di tedeschi e inglesi: scenari di distruzione e decimazioni della popolazione, di fughe e anni passati vivendo dentro caverne nascoste sulle montagne, di fame e totale isolamento dal mondo che cambiava vorticosamente.
Amore fu tra Arghirò e Nikos, ma anche identità politica e militanza estrema, propaganda e proselitismo, rocambolesco arrivo a Mosca attraverso l’Italia del 1962, e cocente disillusione in una Unione Sovietica in pieno clima di guerra fredda. Dodici anni fa la Castellina ha incontrato la coppia rientrata a Creta, finalmente “una coppia normale”, con figlio e nipote, dopo aver vissuto a Tashkent con oltre trentamila greci fuoriusciti ed essere stati considerati “dissidenti”per “aver rivisitato criticamente la loro stessa esperienza”.
Un racconto che lascia senza fiato, seguendo i due che come camosci s’inerpicano tra le rocce cretesi, accendono fuochi clandestini, sono braccati dai loro stessi concittadini e salvati e nascosti da ardimentosi amici. Un vero e proprio thriller tragicamente vero. Può un militante del Partito comunista degli Stati Uniti essere eroe di guerra e essere inumato al cimitero di Arlington? E questo quando ancora maccartismo e guerra fredda aleggiavano al di là dell’Oceano? Sì, in America è possibile, anche dopo una vita di impegno politico per un partito ufficialmente combattuto dal governo, con l’Fbi alle calcagna, continui cambi di residenza e prigione. Ma Bob Thompson, sergente di fanteria nell’esercito degli Stati Uniti in Estremo Oriente, l’11 gennaio 1943 non ci pensò due volte a nuotare controcorrente nelle acque del fiume Konembi, salvando la vita all’intera compagnia, e ricevendo per questo la più alta onorificenza militare, la Distinguished Service Cross.
Sylvia Berman, figlia di un rabbino, nata in Texas, partecipa alle riunioni della sezione statunitense dell’Internazionale socialista, testimone oculare di un periodo molto poco conosciuto: Luciana Castellina incontra Sylvia negli Usa, e raccoglie la sua testimonianza, una vita di lotta per i diritti dei neri americani e il volantinaggio di propaganda, reato che prevedeva per i comunisti il foglio di via. Se Bob entra ed esce di prigione, lei l’aspetta: le lettere dal carcere sono numerose, l’amore assiste la coppia fino alla fine, e siccome il loro amore è stato di lotta, anche la morte di Bob si trasfigura in una battaglia. 1966, Sylvia vuole che le ceneri del compagno riposino ad Arlington, sacro cimitero degli eroi di guerra: scelta molto americana, forse incomprensibile per noi che la considereremmo contraddittoria. Dopo una (breve) vita di coppia nella clandestinità, anche la sepoltura di Bob è motivo di resistenza verso chi (a vari livelli nell’amministrazione Usa) non vuole dare sepoltura all’Eroe Thompson. Ricorsi innumerevoli e infine il sì: anche questo amore finisce con una vittoria, anche Sylvia riposa finalmente accanto a Bob, ad Arlington.
“Vivere. Che strana cosa”, scrive Nâzım: perché c’è l’amore.
Il comunismo è colmo di errori e di orrori ma anche di dolorosissimi amori.
Da leggere tutto d’un fiato.

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