Ancor prima di leggere le cronache sappiamo che questo Carnevale sarà “spettacolare”. Così, del resto, lo si vuole. La scelta di dedicarlo allo sbarco sulla luna sembra anche una bella idea, al pari di alcune edizioni particolarmente felici: dal Carnevale del Teatro del 1980 al Carnevale delle Americhe nel 1992.
Ma il punto non è trovare un giusto tema, rifare più bella e convincente la scenografia in Piazza San Marco – quando pensiamo alla Piazza durante questo periodo ci viene sempre in mente quella distopica immaginata da Antonio Scurati in “La seconda mezzanotte” – e in altre parti della città.
Il quid è il Carnevale stesso, spettacolarizzazione allo stato puro. È uno dei simboli della stagione turistica veneziana, forse il più alto, e come tale è soggetto alle regole di gran parte dell’industria turistica veneziana: grandi masse, poca qualità, tanto rumore, poca sicurezza.
Non ha più nulla a che vedere con i primi carnevali moderni. Il primo solitamente è datato 1980, ma è già dal 1978 che il Sindaco Mario Rigo lavora per dare struttura e visibilità a carnevali che nascono spontaneamente in città, gioiosamente auto-organizzati, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta.
Le foto che stanno girando su Facebook di quei primi momenti di mascheramento o alcuni scatti di Graziano Arici ci regalano una comunità sorridente, festante, che utilizza i campi, la Piazza, gli spazi pubblici della città in maniera genuina e partecipata.
Gli anni Settanta sono anni cupi, “giorni cattivi” con un paese atterrito dagli “opposti estremismi”. Il boom economico, con la sua spensieratezza, è già un ricordo. In più Venezia affronta una crisi profonda.
Perfino lo Stato si muove approvando la Legge speciale, provvedimento che, dopo una genesi complicata e difficile, restituisce il segno di una consapevolezza a tutti i livelli, anche nella neonata Regione Veneto, di una città che letteralmente cade a pezzi e rischia di sparire, come l’“aqua granda” del 1966 ha reso evidente anche ai ciechi.
Così il turismo è visto come una leva importante di sviluppo in una città che soffre anche di una forte stagionalità, con alberghi che chiudono durante l’inverno per mancanza di domanda. Ma prima di tutto il Carnevale è una risposta “dal basso” alla crisi di una città. Basti pensare al ruolo di Radio Vanessa, che trasmette da Castello e funge da cassa di risonanza ai primi momenti di mascheramento collettivo.
Oggi è tutto diverso, fatta salva una crisi della città storica molta profonda che forse, sottolineiamo forse, non rischia di sgretolarsi fisicamente, ma di certo è sul punto di morire. A partire da un tessuto economico e sociale oramai plasmato a immagine e somiglianza dell’industria turistica.
Non è qui il caso di dilungarsi su quanto oramai è di pubblico dominio ed empiricamente provato: l’industria turistica è un blob che – se non governato – tutto plasma, ridefinisce, assorbe a proprio uso e consumo, un’industria pesante, un’industria dalle esternalità negative altissime e creatrice di lavori poco qualificati e qualificanti.
Tutto ciò ebbe inizio negli anni Ottanta con la nascita istituzionale del Carnevale? Forse sì. Tutto doveva andare come oggi sappiamo? Sicuramente no. E quindi perché non chiudere un ciclo tornando al punto di partenza così da poter iniziare una nuova partita, ovvero perché non aboliamo il Carnevale? Sì, vietiamolo! Tutta l’industria turistica si rivolterà. Tutta. Albergatori, affittacamere, commercianti, mondo dei trasporti, sia pubblici che privati, ecc.
Avrebbero anche ragione: non si può chiudere un’industria senza aprirne di eguali e migliori.
Ma quello che accade a Cannaregio in questi giorni, con l’omonimo rio tramutato in palcoscenico, sequestrato alla città, con residenti che si chiudono in casa o scappano altrove e che, se proprio costretti a transitare, devono farlo con carta d’identità alla mano per dimostrare che, ebbene sì, è proprio qui che abitano, è uno scandalo e un monito anche per l’industria turistica.
Sarebbe interessante e utile capire il conto economico del solo evento inaugurale. Quanto spendiamo, ad esempio, in allestimenti, gestione – se così si può chiamare – dei visitatori, rifiuti e plateatici sospesi? Quanti soldi veramente “entrano” a Venezia?
Quanto vediamo a Cannaregio oramai da tre anni è l’ennesima prova di come il turismo ha raggiunto un livello tale di intensità per cui la stessa sicurezza dei residenti e dei turisti è messa a rischio. Anche gli operatori turistici crediamo si rendano conto che così la “gallina dalla uova d’oro” tra un po’ sarà morta. Sarebbe bello fare un sondaggio tra i commercianti del rio di Cannaregio per sapere cosa pensano dell’evento inaugurale del Carnevale.
Basta! È ora di urlare “basta!” tutti assieme, per non rassegnarci ad adattarci ad un’industria distruttrice. Quindi perché non programmare la morte del Carnevale e del turismo che tutto distrugge? Perché non festeggiare i cinquant’anni della nascita del carnevale moderno con la sua ultima edizione nel 2028, sempre che non sia troppo oltre e Venezia abbia già ceduto?
Un’opera di smascheramento collettiva, per guardare in faccia e con coraggio cosa significa oggi questa festa di libertà che invece è diventata a tutti gli effetti il simbolo della cattività veneziana. Proponiamo anche un titolo, Il funerale del Carnevale, come prescrive la tradizione per il martedì grasso, come è raffigurato in un quadro di Gabriel Bella conservato alla Querini Stampalia, in cui è ritratto il feretro del Carnevale portato a spalla.
Immaginiamo un martedì grasso in cui tutti assieme si diventi maghi e si ribalti la città, come è stato già cantato da Giorgio Baffo:
Xe fenido Carneval,
che zornada, che xe questa!
[…]
Par che un Mago sia vegnù,
ch’abbia tutto rebaltà,
e voltà col culo in su
tuta quanta la città.
A Carnevale ogni sogno vale!
Le foto sono prese dal sito ufficiale del Carnevale di Venezia.
3 commenti
Senza turisti Venezia di che vive? ma sarebbe veramente ora di far pagare un ingresso alla città, magari in eventi speciali con “supplemento carnevale” e quant’altro. L’ingresso viene rimborsato a chi a Venezia abita in Hotel, magari il biglietto contiene un buono sconto per i ristoranti etc. in modo che quelli che lasciano soldi in città siano avantaggiati. Quelli che lasciano solo rifiuti e non pagano niente almeno diano un contributo.
Sono scappata 20 anni fa da un paese, Porto Ceresio (VA), per il bordello che facevano con la musica assordante fino alle 2 del mattino, tutta l’estate. Prima c’erano le allegre sagre di paese con gli Alpini ecc. , poi venne l’epoca dei decibel sparati a mille per attirare i turisti, far divertire la gente, incassare soldi. Reclamavo solo io. Mi hanno preso per matta, per una che non vuole il divertimento, egoista verso gli altri ecc.. Alcuni residenti si lamentavano, ma di nascosto per non farsi malvolere dal sindaco. Mi sono arresa e sono scappata a vivere in un luogo di pace.
Ho potuto farlo, per fortuna. E ho dovuto farlo: la mia sensibilità non mi permetteva di assistere da vicino ai danni provocati all’ambiente, alla tortura uditiva per cigni, anatre e altri animali con le nidiate realizzate sul lago nei pressi della piazza… e così via.
Tempo fa ho assistito ad un concerto in piazza Riforma a Lugano: per i decibel sparati a mille a una distanza di 70 m circa dal palco, di colpo, sono caduti morti migliaia di moscerini sui tavolini del bar con i camerieri che si scusavano per l’inconveniente. La gente rideva, la gente ama il frastuono, la rende allegra.
Sarà dura che finisca l’epoca dell’industria turistica smodata, mancano i soldi per tante cose utili, ma le giunte comunali li trovano sempre
per inutili spettacoli fracassoni e per i costosi e inquinanti fuochi artificiali!
Annamaria Lorefice
Ps. : Gradire i divertimenti e la musica a volume decente, così come amare il silenzio, non vuol dire essere tristi, l’allegria è sempre dietro l’angolo per chi ce l’ha nel cuore di chi ce l’ha già, senza bisogno dei petardi.
Annamaria Lorefice: hai sale in zucca e per come scrivi, quello che hai passato e il rispetto che mostri per il silenzio gli animali e l’ambiente, ti voglio bene.