Caracas al centro dell’interesse. O degli interessi?

Uno sguardo più ampio alla regione che si estende a sud del Rio Bravo fino alla Patagonia mostra che quella venezuelana non è un’eccezione. Di questi giorno l'ennesimo episodio della lunga tragedia di Haiti. Eppure solo il Venezuela attira l'attenzione mediatica e politica...
FRANCO AVICOLLI
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Ma perché il Venezuela suscita tanto interesse? Si è parlato di democrazia, della dittatura di Maduro, dei circa tre milioni di venezuelani che scappano all’estero e, in modo abbastanza insistente negli ultimi giorni, della fame e degli aiuti umanitari inviati dagli Usa di Trump che l’esercito venezuelano tiene fermi alla frontiera.

Sembra quasi che oltre il muro che vuole tenere a bada una massa di gente invadente e rumorosa ci sia un benefattore che va in aiuto di un popolo sofferente per la crudeltà di un dittatore.

La fame, i patimenti e le migrazioni non possono passare inosservate e c’è da sperare che i cittadini della patria di Bolivar non siano costretti a subire troppo a lungo una situazione francamente deplorevole e paradossale, viste le non poche ricchezze del loro paese.

Ma uno sguardo più ampio alla regione che si estende a sud del Rio Bravo fino alla Patagonia, mostra che quella venezuelana non è un’eccezione e che – per rimanere ai fatti di questi giorni – nello stesso momento in cui i media mettono in scena Guaidó e Maduro perché l’uno reciti in nome del bene e l’altro si renda conto che lui è lì per il male, si registra un nuovo episodio della lunga tragedia di Haiti, considerato il paese più povero dell’America, dove nel mese di febbraio sono morte almeno nove persone che manifestavano contro il presidente Jovenel Moise per la mancanza di acqua e di alimenti.

Un altro episodio che ha origine dalla fame e dalla necessità. È il caso di ricordare che dalla miseria si fugge e che ad Haiti, dopo il terremoto del 2010 che provocò più di trecentomila morti e circa cinque milioni di senza dimora più che di senzatetto, si sta producendo uno dei fenomeni migratori più abominevoli del mondo verso il Brasile, l’Ecuador e il Cile, in prevalenza.

Qualche osservatore ritiene che ad Haiti sia in corso un progetto globalista di spopolamento basato sulle rimesse degli haitiani residenti all’estero e su un vero e proprio traffico di persone che coinvolge governi e addetti ai lavori. Sono centomila gli haitiani in Brasile, in Cile ne sono arrivati quasi cinquantamila nel 2016 e più di centomila l’anno seguente. Un altro buon numero si trova in Ecuador e molti altri si trovano distribuiti in Uruguay, Argentina, Centro e Nord America.

È la testimonianza evidente che la questione migratoria è un problema grave non solo nel Mediterraneo, ma anche in altre regioni del mondo. L’America Latina purtroppo ne è nello stesso tempo oggetto e soggetto, dipende dal punto di vista.

Il Messico, per esempio, è un grande esportatore di migranti verso gli USA al nord ed è destino – e non solo di passaggio – del fenomeno migratorio che viene dal sud, come hanno drammaticamente mostrato le colonne provenienti da Nicaragua, Honduras, El Salvador e Guatemala che da qualche mese attraversano il Messico e si accampano nei pressi del muro eretto da Trump a difesa dell’interesse nazionale statunitense.

Si è calcolato che la prima grande colonna fosse costituita da più di ottomila persone, con alterne vicende che comprendono la violenza, le aggressioni, i rapimenti e grandi atti di umanità non solo del governo del Messico, ma anche delle popolazioni locali.

Con l’anno nuovo ci sono stati altri accenni migratori di minore consistenza, per nulla abbandonati per i pericoli del lungo viaggio e neppure per il fermo proposito di Trump di non lasciarli entrare.

E quanti sono i boliviani che vanno verso il Cile, l’Argentina e l’Uruguay? E quanti sono gli ecuadoriani, e quali le loro destinazioni? E i paraguayani? I dati dicono che trenta milioni di latinoamericani vivono fuori dal loro paese. I messicani costituiscono il quaranta per cento di tale popolazione, essendo dodici milioni.

Come in tutte le parti del mondo anche l’emigrazione latinoamericana nasce dalla fame e dalla violenza, che hanno cause strutturali e accidentali di natura politica, come i colpi di stato numerosi che comportano migliaia di vittime tra morti e desaparecidos, com’è accaduto negli anni Settanta del secolo scorso in Argentina, Cile e Uruguay.   

Nel decennio degli anni Settanta che coincide con il colpo di stato di Pinochet del settembre 1973 contro il governo di Salvador Allende, si verifica in Cile un vero e proprio esodo con il 34,1 per cento della popolazione che lascia il paese andino. Un fenomeno analogo si registra in Uruguay nel periodo 1973-1985, dove la dittatura militare obbliga all’esilio circa 380.000 persone che costituiscono il quattordici per cento di una popolazione che in quegli anni oscillava intorno ai tre milioni di abitanti.

Il Cile e l’Uruguay sono storicamente paesi di immigrazione essendo insieme all’Argentina destino di emigrazione andina (Bolivia, Ecuador e Perù). Nel 1917 i cittadini stranieri residenti in Cile sono 1.119.267, cioè il 6,1 per cento della popolazione. Vale la pena di ricordare che la presenza di emigranti irregolari è di quasi trecentomila unità.

L’Argentina è un caso emblematico dell’emigrazione latinoamericana essendo per eccellenza il paese dell’immigrazione, tanto da essere definita con una qualche vena di ironia canzonatoria il paese che “discende dalle navi”. La sua popolazione era di poco più di 26 milioni di abitanti quando, il 24 marzo del 1976, il generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il brigadiere Orlando Agosti portarono a termine un colpo di Stato che, fra le molte tragedie, provocò il “fenomeno” crudele ed efferato dei desaparecidos. Secondo i dati, furono circa trentamila: un numero enorme, che appare nella sua tragica realtà di trentamila famiglie coinvolte, cioè milioni di grida di dolore, un esercito di lutti e di elaborazioni conseguenti durate decenni, con l’epilogo di madri e nonne che chiudevano con le nipoti un libro scritto con le lacrime.

Perché allora il Venezuela occupa tanto spazio nell’informazione italiana, europea e nordamericana, che sembrano così preoccupate per la situazione difficile che attraversa il paese e per nulla di quanto accade ad Haiti, dove la situazione umanitaria è davvero terribile? “Perché a Haiti non c’è il petrolio”, mi ha scritto un amico messicano.

E credo proprio che per capire quello che accade in Venezuela – Maduro o non Maduro – e in America Latina bisogna cercare i molti fantasmi della storia latinoamericana che la televisione e i giornali italiani, europei e nordamericani, nascondono con notizie troppo interessate.

“Il Venezuela e i fantasmi dell’America Latina”
Dibattito, venerdì primo marzo, nello spazio Micromega Arte e Cultura, Venezia
Il manifesto dell’iniziativa

Caracas al centro dell’interesse. O degli interessi? ultima modifica: 2019-02-23T10:39:15+01:00 da FRANCO AVICOLLI
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