Trentino, cuore d’Europa. Da sempre crocevia di lingue e popoli, è la terra del “padre fondatore” Alcide de Gasperi e di tanti altri convinti europeisti, come il compianto Antonio Megalizzi. Lo scorso ottobre, però, i sovranisti della Lega sono entrati per la prima volta nella stanza dei bottoni e da allora minacciano con le loro azioni di relegare le provincia a periferia di un’Italia anch’essa sempre più periferica.
“L’Europa è l’unica possibilità per non ritrovarsi ottava provincia del Veneto”, afferma Paolo Ghezzi, giornalista (già direttore de l’Adige), editore (direttore de Il Margine), già presidente del Conservatorio Bonporti di Trento, autore di libri sulla Rosa Bianca e su Fabrizio De André e, dallo scorso ottobre, consigliere provinciale per Futura2018, movimento politico da lui fondato.
Paolo Ghezzi, lei è l’autore italiano che più ha scritto sul gruppo antinazista della Rosa bianca. Nel suo ultimo volantino la Weisse Rose parlava di Europa. Qual era la concezione di Europa di questi resistenti antinazisti? È ancora attuale?
I ragazzi della Rosa bianca vedevano nell’Europa un antidoto agli stati totalitari e militaristi. Per loro l’Europa era federalismo contrapposto al centralismo. Un’Europa dello spirito e non del potere.
Sì, dopo settantasei anni questa visione è ancora attuale. Ed è commovente rileggere il testo del quinto volantino, scritto da Hans Scholl e da Alexander Schmorell, in cui si afferma:
L’idea imperialista del potere, da qualunque parte essa provenga, deve essere resa innocua per sempre. Un militarismo prussiano non deve più giungere al potere. Solo attraverso un’ampia collaborazione dei popoli europei si può creare la base su cui sarà possibile una costruzione nuova. Ogni potere centralizzato, come quello che lo Stato prussiano ha cercato di instaurare in Germania e in Europa, deve essere soffocato sul nascere. La Germania futura potrà unicamente essere una federazione. Solo un sano ordinamento federalista può oggi ancora riempire di nuova vita l’Europa indebolita. La classe lavoratrice deve essere liberata mediante un socialismo ragionevole dalla sua miserabile condizione di schiavitù. Il fantasma di una economia autarchica deve scomparire dall’Europa. Ogni popolo, ogni individuo hanno diritto ai beni della terra! Libertà di parola, libertà di fede, difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio dei criminali stati fondati sulla violenza: queste sono le basi della nuova Europa.
La Weisse Rose è davvero nella “costituzione” dell’Europa unita. Questi studenti di Monaco di Baviera, giovani vite, ghigliottinate dal nazismo, prefigurano la lezione di Adenauer, De Gasperi e Schumann.
Quanto si sente europeo?
Definirmi “italiano” mi sembra riduttivo. Penso europeo. Leggo europeo, nelle lingue originali quando posso: inglese, tedesco, francese, spagnolo, portoghese. Ascolto europeo: per limitarmi ai compositori classici con l’iniziale B, Bach Beethoven Brahms e perfino Britten (non c’era la Brexit) sono europei; Nick Drake era inglese, seppur nato in Birmania, Brel belga, Brassens francese. Leggo europeo: Orwell e Greene, Maupassant e Flaubert, Rilke e Böll. Penso europeo perché non mi viene in mente un filosofo o un teologo o un resistente che non sia europeo, a parte Gandhi, e che mi abbia, come gli europei, plasmato come essere umano.
Cosa pensa dell’Unione europea così com’è oggi?
L’Unione europea è una bella addormentata, un crocevia di contraddizioni, una casa della pace che è stata antidoto alla guerra e, lo dico da ciclista, una bicicletta su cui è necessario continuare a pedalare senza rassegnarsi all’inerzia.
Come ha detto Sabino Cassese il 16 settembre 2018, alla Normale di Pisa, parlando in memoria di Ciampi:
Pur tra tante difficoltà, l’Unione, per stare in piedi, continua a pedalare, sotto la pressione anche di molti interessi nazionali, estendendo anche la sua sfera di azione, dalla qualità delle acque di balneazione al rumore dei tosaerba, al calendario della caccia, alla definizione di banana. Continua, però, a non ridurre gli squilibri interni (batte moneta, ma senza avere il pieno controllo delle politiche economiche). Interviene in ritardo. Ha necessità di periodiche revisioni (in particolare, quando si tratta del passaggio di materie dalla disciplina intergovernativa a quella comunitaria). È sottoposta a continue tensioni tra sovranità europea e garanzia delle identità nazionali. Rappresenta l’esigenza di far parlare i Paesi europei con una unica voce in un mondo che si articola sempre più in zone regionali, ma non riesce a formulare una politica estera comune, né a stabilire comuni linee di azione rispetto alle politiche migratorie.
Ma proprio quel che non riesce, non è riuscita a fare, mi pare un’agenda possibile sul da farsi, che tutti in linea teorica riconoscono.
Qual è secondo lei la priorità in questa agenda sul da farsi?
Va data un’anima politica all’Unione. Serve un coinvolgimento popolare non solo per quanto riguarda l’elezione del Parlamento europeo, ma anche per la scelta del governo vero e proprio dell’Unione. Ci sono varie proposte, come quella degli Spitzenkandidaten (il sistema secondo cui il capolista del partito europeo che arriva primo alle elezioni diventa poi presidente della Commissione europea, ndr), che senza dubbio sono interessanti ipotesi di rilancio di un’Unione “politica”. Quel che conta è che si trovino gli strumenti rappresentativi efficaci per fare in modo che il governo dell’Unione venga percepito dai cittadini come un qualcosa di loro. È l’unico modo per farla finita con l’annosa polemica delle tecnocrazie senza investitura popolare.
Io e lei veniamo da una terra, il Trentino, che per ragioni storiche, culturali ma anche amministrative, soffre in maniera particolare il ritorno di fiamma dei nazionalismi. In quest’ottica, cosa rappresenta l’Europa per il Trentino?
Per il Trentino, oggi omologato politicamente al resto del Nord Italia, e che sempre corre il rischio di ritrovarsi “piccolo e solo” – secondo il famoso ammonimento di Bruno Kessler – l’Europa è l’unica possibilità per non ritrovarsi ottava provincia del Veneto, appendice meridionale del Tirolo meridionale, terra di transito senza una voce forte e distinguibile. L’eredità di De Gasperi, citato più volte dallo stesso attuale presidente della Provincia, che degasperiano certo non è, dovrebbe essere rilanciata come orgoglio di essere cuore d’Europa, non periferia o cavalcavia.
L’immigrazione è oggi posta in cima ai problemi che hanno generato lo stato di sfiducia che serpeggia in Europa. Qual è la sua prospettiva sul fenomeno migratorio, che sembra nonostante tutto destinato a continuare e a crescere?
C’è una stupefacente contraddizione tra l’ossessione della sicurezza, giocata sulla paura xenofoba dello straniero che arriva, e l’ossessione per la denatalità che contraddistingue l’attuale politica della destra nazionalista. Un flusso regolato a livello europeo, programmato e intelligente, rinsanguerebbe anche le nostre comunità autoctone che, soprattutto nelle zone montagnose e marginali, rischiano il declino. Non è una sfida semplice, sarebbe ora di smetterla con le ricette ultrasemplificate per un fenomeno epocale, strutturale, storico.
Da quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti, si parla sempre di più della necessità di creare un esercito europeo o, perlomeno, una sorta di coordinamento tra i vari eserciti nazionali. Cosa pensa di questa proposta?
Sono un obiettore di coscienza, credo che il mondo potrebbe provare, una volta prima dell’implosione finale del pianeta, a fare a meno degli eserciti.
Ben sapendo però che leader criminali non si sono estinti dopo Hitler e Stalin, capisco il problema di uno strumento di difesa. Più è largo, sovranazionale, internazionale, composito e plurale, meglio è, purché sia pensato in chiave difensiva.
L’Europa, nel senso ampio del termine, includendo anche la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, è il luogo dove sono stati a lungo difesi diritti che in Italia non erano tutelati. Cosa pensa dell’azione dell’Europa sul piano dei diritti?
Sono convinto che la Corte europea sia uno strumento importante, anche se non sempre compreso e ascoltato, per far sì che resti sempre un giudice di superiore istanza. “Ci sarà pure un giudice a Berlino”, secondo la formula brechtiana, è un’aspirazione alla giustizia che va ben al di là della questione della nazionalità. Si tratta comunque di un’autorità che può evitare la sfiducia, la disperazione, la rinuncia.
Penso al Michael Kohlhaas di Kleist, che per un torto subito da due suoi cavalli morelli da parte di un signorotto arrogante, arriva fino al giudice e poi fino al re per avere giustizia, e quando gliela negano mette a ferro e fuoco la Sassonia. Un uomo onesto deve avere sempre una speranza di giustizia, prima di quella che auspicabilmente incontreremo nel regno dei cieli.
Cosa pensa del mondo in cui le nuove generazioni si rapportano con l’idea di Europa e gli ideali europei?
I nostri figli e nipoti sono naturaliter italeuropei, come orizzonte quotidiano, anche se non vanno a studiare o a lavorare all’estero. Le loro aspirazioni non sono segmentate da confini. Dopodiché, lo sono spesso in modo emotivo, istintivo, romantico: per esserlo davvero dovrebbero parlare meglio l’inglese e le altre lingue europee.
Solo una minoranza, anche di quelli che hanno lavorato o studiato in altri Paesi dell’Unione, si prendono la briga di comprendere le radici storiche e culturali dei luoghi che abitano. Ma sono comunque italeuropei, abitatori e cittadini di uno spazio comune che va oltre la dimensione nazionale. Speriamo che seguano l’esempio di Antonio Megalizzi – il giovane reporter trentino appassionato d’Europa ucciso da un coetaneo avvelenato dall’odio proprio nel cuore d’Europa, a Strasburgo – e sappiano innamorarsi dell’idea dell’Europa, non tanto di quella che è, quanto di quella che potrebbe essere.
I personaggi “resistenti” sono protagonisti dei suoi libri. Non solo Sophie Scholl e la Rosa Bianca, ma anche Fabrizio De André, al quale ha dedicato più libri, tra cui “Il Vangelo secondo De André. Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria”. Nell’Europa di oggi, sempre più nostalgica e pessimista, ha ancora un senso resistere, viaggiare in direzione ostinata e contraria?
Questa è la nostra missione. Se anche i sovranisti-nazionalisti-qualunquisti-demagogici conquistassero il 77 per cento dei voti, e non lo conquisteranno mai, ci sarà bisogno di voci che rappresentino il 23 per cento residuo, perché il rispetto delle minoranze, e noi che abitiamo in Trentino-Alto Adige/Südtirol lo sappiamo bene, lo respiriamo da quando siamo nati, fa parte della carta d’identità dell’Europa, che è fatta di identità e di minoranze.
E poi, che qualcuno di noi abbia la voglia e la vocazione di resistere all’opposizione, fa bene alle minoranze che si vogliono riconoscere in qualcuno anche dentro le istituzioni, ma fa bene anche alle stesse maggioranze (peraltro tali grazie ai premi elettorali, in Trentino l’attuale è stata votata dal 46 per cento degli elettori): perché il pluralismo è una ricchezza per tutti, e perché qualche goccia di pensiero critico, libero, irriverente e dissidente può sempre insinuarsi anche sotto le corazze delle certezze ideologiche di chi si sente investito del compito di rappresentare la massa, il popolo, la “nazione”.
[decima di una serie di interviste in vista delle elezioni europee]

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