India-Pakistan, la tragedia e la farsa

Dopo l’abbattimento di due jet da guerra indiani, una nuova spirale di tensione cresce tra i due paesi dotati di armi nucleari. E la contesa è sempre attorno al Kashmir.
BENIAMINO NATALE
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Bombe e duelli aerei che si sono scambiati India e Pakistan negli ultimi di giorni di febbraio non cambiano di una virgola la disputa sul Kashmir, che si protrae senza che se ne intraveda una possibile soluzione dal 1947. In compenso, hanno fatto fare una figura barbina sia all’esercito e al mondo politico pakistano sia a quelli della rivale India.

Cominciamo dal principio. Il 14 febbraio scorso, un terrorista suicida che si dichiara membro del gruppo Jaish-e-Muhammad si fa esplodere a Pulwama, nel Kashmir controllato dall’India, uccidendo se stesso e quarantadue soldati indiani. New Delhi chiede l’estradizione del leader del gruppo terrorista, Mashood Azar, che vive in Pakistan, dove è libero di operare e di organizzare attentati all’estero, in particolare in India. L’India non è riuscita a fare mettere Azar sulla lista dei terroristi ricercati stilata dalle Nazioni Unite perché la Cina, alleata di ferro di Islamabad, ha usato il potere di veto che le spetta in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza.

In India si avvicinano le elezioni per il rinnovo del Parlamento – che si terranno a maggio – e il governo nazionalista hindu del premier Narendra Modi non può lasciare il sanguinoso attacco senza risposta. Così, il 26 febbraio, i caccia dell’aviazione militare indiana violano per la prima volta dal 1971 la cosidetta “linea di controllo” – vale a dire la linea del cessate il fuoco stabilita dopo la guerra di quell’anno – e bombardano quello che i servizi indiani affermano essere un campo di addestramento del Jaish a Balakot, nella provincia pakistana del Kyber-Pakthunkhwa, ai confini con l’Afghanistan.

La Indian Air Force (IAF) è dunque entrata e ha colpito in profondità in territorio pakistano, senza incontrare alcuna resistenza. La vicenda ricorda l’uccisione di Osama bin Laden da parte dei Navy Seals americani, anche loro entrati indisturbati in Pakistan, dove hanno poi fatto il comodo loro eliminando il regista del 9/11, cioè gli attacchi contro le Torri Gemelle di New York e il Pentagono, e portandone via il cadavere.

Ci sono molti dubbi sul fatto che nella località colpita ci fossero veramente “centinaia” di terroristi del Jaish e alcuni dei leader del gruppo, come sostenuto dall’esercito e dal governo indiani. La zona di confine tra Pakistan e Afghanistan è da decenni territorio dei servizi militari di Islamabad. Ospita i Taliban e altri gruppi estremisti ma è tutt’altro che chiaro se i campi di addestramento esistano ancora. Comunque sia: punto per l’India, che ha compiuto un’azione che la sua opinione pubblica reclamava e ha ridicolizzato la controparte pakistana.

La risposta di Islamabad non si è fatta attendere: il 27 febbraio, jet da guerra pakistani hanno bombardato non meglio specificati “obiettivi” in India. I piloti indiani sono corsi ad intercettarli ed almeno uno di loro è stato abbattuto e catturato in territorio pakistano, il “wing commander” Abhinandan Varhaman. Con un’intelligente intuizione, il premier pakistano Imran Khan ha annunciato che il pilota verrà “restituito” all’India, in segno di buona volontà. Punto per il Pakistan, pareggio e palla al centro.

Però l’esercito pakistano – considerato da molti esperti il principale sostenitore di Imran – non deve affrontare il corpo elettorale, mentre Narendra Modi non si può concedere questo lusso e a maggio potrebbe pagare un prezzo salato alla figuraccia di febbraio.
La disputa sul Kashmir rimane allo stesso punto in cui era quando si sono verificati i recenti avvenimenti, in parte tragici in parte farseschi.

Il Kashmir – ex-regno di Jammu e Kashmir – è l’unico territorio a maggioranza musulmana dell’India nel quale nel 1947, al momento della spartizione tra India e Pakistan dell’ex-impero britannico non si è tenuto un referendum. I nazionalisti musulmani kashmiri, sostenuti dal Pakistan, lo rivendicano. L’India afferma che il referendum non è necessario perché l’annessione all’India è stata decisa dall’allora legittimo governante del territorio, il maharaja hindu Hari Singh della dinastia dei Dongra.

Del regno dei Dongra facevano parte le province di Gilgit, Baltistan, Poonch, Valle di Srinagar, Jammu e Ladakh. In seguito alle quattro guerre combattute tra India e Pakistan – nel 1947, 1965, 1971 e 1999 – Gilgit, Baltistan e una parte del Poonch sono dalla parte pakistana della linea del cessate il fuoco, che non è mai stata trasformata in un confine accettato dalle due parti; il resto è in territorio indiano eccetto una piccola porzione del nordest occupata dalla Cina durante la guerra del 1962. Nell’attuale provincia indiana del Jammu e Kashmir i musulmani sono la maggioranza, una maggioranza che sfiora il novanta per cento della popolazione nella Valle di Srinagar.

Le vicende che hanno portato alla nascita di un’entità unica da questi territori vicini ma diversi tra loro per etnia della popolazione, religione e tradizioni sono complesse e affascinanti. Un primo momento di unificazione si realizza nel terzo secolo avanti Cristo, quando Mogaliputra Tissa, ministro per la religione dell’imperatore buddhista Ashoka, manda il saggio Majhantika a predicare nel Kashmir e a Gandhara (attualmente la regione di confine tra Pakistan e Afghanistan) e nel giro di un secolo tutta l’ampia regione tra il nordest dell’India e l’Afghanistan abbraccia il buddhismo. Testimonianze del passato buddhista del Kashmir si possono ancora trovare in alcune zone, come la collina di Parihaspora, a metà strada tra Srinagar e Sopore.

I rottami di uno dei jet abbattuti in Pakistan

Successivamente, tra il nono ed il dodicesimo secolo d.C., la Valle di Srinagar diventa il centro propulsore della rinascita dell’hinduismo. In questo periodo lo storico Kalhana produce un lavoro chiamato Rajatarangini (Il Fiume dei Re), che secondo lo studioso Alastair Lamb è “uno dei pochi scritti di vera natura storica sopravvissuti dell’India pre-islamica”. Poi – e siamo nel quattordicesimo secolo – arrivò da occidente l’ondata islamica.

Il tipo di Islam che prese piede nel Kashmir era un Islam che si definiva sunnita e che presto imparò a convivere con quello che rimaneva dell’hinduismo e del buddhismo. Si creò così quella che gli intellettuali moderati locali e gli intellettuali indiani chiamano “kashmiryat”, cioè un “modo di essere” unico del Kashmir che ha permesso per secoli la convivenza pacifica tra le diverse comunità. Tutti questi sviluppi si sono verificati in quella che viene chiamata la Valle del Kashmir o Valle di Srinagar. Nelle altre regioni che nel corso della storia vennero a far parte del Regno del Jammu e Kashmir prevalevano diverse forme di Islam (come nella zona di Gilgit), il buddhismo tibetano (nel Ladak), l’hinduismo ed il sikkismo (a Jammu).

La creazione del regno del Jammu e Kashmir inizia nel 1846 quando il maharaja sikh che dominava il nord del subcontinente, Ranjit Singh, “regalò” la regione di Jammu al suo alleato Gulab Singh, un nobile hindu della dinastia dei Dongra. Con successive conquiste Gulab – che era noto per la sua abitudine di scuoiare i nemici che avevano la disgrazia di essere catturati vivi – prese prima la Valle di Srinagar ed il Ladak, tentando anche una incursione nel Tibet occidentale, che si risolse in un disastro. Successivamente, la dinastia incorporò uno ad uno gli altri territori che facevano parte del regno al momento della spartizione.

Se si dovesse tenere un referendum, ci sarebbe una serie di gravi questioni da risolvere. Prima di tutto: dovrebbe anche essere considerata la cosiddetta “terza opzione”, cioè la creazione di un Kashmir indipendente? E perché un referendum unico e non tre, uno per i musulmani della Valle di Srinagar, in maggioranza favorevoli all’annessione al Pakistan o all’indipendenza, uno per gli hindu della regione di Jammu e uno per i buddhisti del Ladak, in maggioranza favorevoli a rimanere con l’India? Infine, il referendum dovrebbe riguardare anche i kashmiri che vivono sotto il controllo del Pakistan?

Un groviglio di problemi di difficile soluzione. Per fortuna, anche l’ipotesi di una guerra totale tra i due paesi – entrambi dotati di armi nucleari – sembra lontana.

Il primo ministro pachistano Imran Khan e il presidente cinese Xi Jinping

L’India sa che una guerra col Pakistan sarebbe anche una guerra con la Cina. Il Pakistan sa che, anche con la protezione della Cina e dell’Arabia Saudita, una guerra con l’India potrebbe riportarlo indietro di decenni. Sempre che nessuno dei due faccia ricorso all’opzione nucleare…

Altre soluzioni possibili – uno smembramento del Kashmir, che separi il destino di hindu e buddhisti da quello dei musulmani, una Valle di Srinagar autonoma e di fatto unita da un confine nominale alle aree oggi sotto controllo pakistano – sono troppo fantasiose e richiederebbero una lucidità e un coraggio che non si vedono da nessuna delle due parti della “linea di controllo”.

India-Pakistan, la tragedia e la farsa ultima modifica: 2019-03-01T09:23:31+01:00 da BENIAMINO NATALE
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