Gay. Se torna la paura

"Siamo nuovamente sotto attacco fisico, sotto derisione e si contano ogni giorno casi di bullismo, di maltrattamenti, di pestaggi. Per fortuna parte della società civile sta rispondendo. Le donne, i gay, i sindacati, si stanno mobilitando contro leggi liberticide, contro i decreti delle armi in casa, contro i razzismi che per Grillo sono solo un fenomeno mediatico"
LUCIO FAVARETTO
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Un giorno, poco più di un mese fa, mi telefona il direttore di ytali. Mi dice “Lucio, in Spagna si sa che c’è un attacco ai diritti senza precedenti? Hai letto il titolo di Libero che più o meno scrive “calano fatturato e Pil ma aumentano i gay”? Che ne dici di scrivere qualcosa?”

Dopo mille tentativi, tutti parziali, ho pensato di scrivere la verità, che faccio fatica ad affrontare un argomento tanto difficile. Mi sono venute in mente mille cose, ho provato ad aprire decine di volte l’argomento scrivendo e riscrivendo, ma mi viene in mente quando ero un ragazzo e c’era uno scarto, una specie di distanza tra me e gli altri amici. Non erano persone machiste, erano tutte preziosamente selezionate. Allora ci univano la musica, il cinema, la letteratura, tanti scrittori francesi, il radicalismo americano, la voglia di libertà e di viaggiare tipica di quell’età.

Ricordo che scappavo via. Volevo andare via dalla piccola città come si vuole scappare da una prigione. Poi, dopo le esperienze di tutti quelli che appartengono alla mia comunità, mi sono innamorato e a partire da lì le cose cambiarono. Mi sembrava di poter fare outing con tutti. Persino con gli stessi amici con cui tagliavo, sparivo per rimanere in solitudine e che, giustamente, si chiedevano perché io mi allontanassi in modo così netto da tutto e da tutti. Allora usavo una tecnica, o meglio il mio inconscio la usava, che fosse assolutamente indolore. Mi “arrabbiavo”, facevo la parte della persona, incompresa, strana, e me ne andavo dal gruppo. Era una tecnica che usavo per non ferire nessuno.

Semplicemente non avevo il coraggio di essere me stesso, normalmente.

Quando m’innamorai come accade a tutti, le cose cambiarono. Essere gay non era più una disgrazia, una malattia da tenere nascosta, era una cosa normale. Giravo orgoglioso con il mio compagno con il quale convivo, da più di trent’anni. In due ci siamo sentiti più forti, amati per ciò che siamo. Niente di nuovo e niente di diverso da ciò che accade agli altri tipi di coppia. Abbiamo messo su casa, facevamo le nostre vacanze, si lavorava molto. E si approfittava del tempo libero per avere amici in casa. Senza più sottrarre alla nostra vita la nostra identità affettiva, forse esagerando nella disponibilità indiscriminata verso tutto e tutti. 

Tuttavia la necessità di essere accettati ti resta dentro, non scompare, e ti crea dei comportamenti difficili da modificare. Le ferite patite si leniscono soltanto, secondo me, con anni e anni di un buon rapporto e con gli amici. Come accade a tutti quanti.

Il momento più difficile fu quello delle scuole medie. Quando si nasconde una parte di sé di cui si è vagamente coscienti, è come se gli altri ragazzi lo percepissero. No, nel mio caso nessuna forma di bullismo, solo qualche presa in giro perché non volevo mai fare ginnastica, ma non le violenze cui assistiamo oggi, continuamente. Solo tanto silenzio, figlio primogenito di un continuo imbarazzo. 

Non mi piacevano il calcio, gli sport maschili, il branco. Non m’interessava nulla di quello che interessava ai maschi tradizionalmente. Per fortuna, e non lo ripeterò mai abbastanza, il giro di amici non era machista. C’era la musica a corroborare la nostra educazione sentimentale. E la buona lettura, forse un po’ precoce, mi dava forza e mi faceva sentire meno solo. 

Non sempre la giovinezza è il periodo più bello della nostra vita. La nebbia dell’incoscienza ci porta avanti, ma manca il dono benevolo della consapevolezza.

Parlavamo, leggevamo, ascoltavamo, per interrogarci sulle ingiustizie, soprattutto scoprivamo la complessità e la ricchezza delle persone. Si parlava della sessualità. Se ne parlava, di questo mi ricordo. Una certa eleganza che la lettura aveva regalato al nostro eloquio ci consentiva di parlare della cosa più misteriosa e difficile per un giovane: la sessualità, che io però mascheravo. La mia era diversa da quella dei cari amici che frequentavo. Nella mia vita non vedevo la possibilità di alcun progetto affettivo. I tempi erano quelli che erano. 

Si sentiva parlare di qualche gay che aveva nobilitato la città attraverso la politica o la cultura, ma circolava il silenzio sul fatto che tale illustre e capace persona fosse gay. Sì, era uno bravo, aveva fatto molto per la città, ma, come se avesse avuto il vizio del bere, non se ne parlava. Le cose allora stavano così. 

È passato molto tempo, ricordo la felicità e il piacere di vedere finalmente la legge sui diritti civili. Era per la comunità un punto di partenza, ma un punto di partenza importante. Di coppie di fatto omoaffettive, ne conosco tante, ora potevano veder riconosciuta la presenza del partner nei luoghi delle istituzioni, dentro un ospedale in caso di necessità di cure, negli aspetti testamentari. Era ed ancora è una legge tutta per noi, onde evitare i servizi del notaio – che non tutti si possono permettere – per avere gli stessi diritti sociali di qualsiasi cittadino che si sposi, paghi le tasse, paghi un mutuo o prenda una casa in affitto, senza rischiare di essere sbattuto fuori quando il partner venga a mancare.

So di amici che dopo la morte del partner hanno perduto la casa in affitto, dove avevano vissuto tanti anni insieme, solo perché il contratto era stato firmato da uno solo dei due. Alla perdita, che fa parte della vita, si aggiungeva il problema abitativo, pratico, l’impossibilità di essere titolare di un ruolo che ora, grazie alle unioni civili, è stato riconosciuto, come per gli altri cittadini. Né più, né meno, o forse manca ancora qualcosa, ma abbiamo pensato che quello che veniva riconosciuto era sicuramente meglio di niente. 

Ora il linguaggio è di nuovo cambiato. Mi è difficilissimo parlare della perdita del diritto alla tranquillità, alla pace, al riconoscimento, che deriva dall’attuale situazione politica. “Politicamente corretto” voleva dire una nuova forma di educazione all’altro, alle donne, a tutte le meraviglie che compongono, nelle differenze, l’immensa comunità umana. Ora le cose stanno cambiando, e sincerità vuole che io dichiari il mio sentimento dominante: la paura e insieme la rabbia per tante dichiarazioni assurde ed ingiuste. Profondamente ingiuste. 

Personaggi come il ministro della famiglia, oggi nelle sue piene funzioni di portatore della VITA, e delle regole di come si deve vivere, suscitano in me sorpresa e sconcerto. Il ministro vuole la famiglia a sua immagine e somiglianza (forse non la vorrebbe affatto, ma così si auto-convince); i suoi adepti chiedono che le donne se ne stiano a casa, che la 194 sia abolita, e altre brutture di questo tipo. Tutto nell’assoluto, totale, colpevole silenzio dei Cinque Stelle. Ma si sa, sono ragazzi in buona fede, nati con i diritti, che non sanno minimamente che cosa vuol dire esserne privi.

Mi chiedo che cosa ci sia dietro le ingiurie scatenate dagli esempi parlamentari, di quale perbenismo si parli relativamente ad una comunità priva di violenza, come dimostrano i numeri. Una comunità che chiede di avere voce in capitolo e di vivere tranquillamente. Cosa c’è dietro a tanto livore, a gente che addirittura in modo parodistico va con cartelli inneggianti al Padreterno, di cui si sentono portatori unici e giudici del mondo, cosa c’è dietro tanta paura e rabbia e infine violenza del loro linguaggio. 

Andy Warhol, anni Cinquanta

Nel momento in cui scrivo mi sono guardato alcuni dati e i gay sono nuovamente sotto attacco fisico, sotto derisione e si contano ogni giorno casi di bullismo, di maltrattamenti, di pestaggi, di cose che non riesco nemmeno a dire tanto è il male che mi fanno. 

Posso spiegarlo con la psicoanalisi: hanno paura di ciò che non conoscono, o negano la loro componente omosessuale trasformandola in violenza.

Provo a spiegarlo con la politica: non proponendo alcun contenuto che organizzi un futuro di serenità economica usano la scure di un vecchio moralismo per avere consenso occultando il cadavere della recessione incombente. 

Posso spiegarlo con la sociologia: “sorvegliare e punire” il corpo è un modo di molte dittature e religioni per far passare, attraverso la violenza, il controllo sociale. 

Credo che la spiegazione più difficile sia anche la più semplice. Questi ingredienti ci sono tutti, ma la mitomania e l’isteria sono patologie che fanno sì che, qualsiasi cosa si faccia, esista in quanto viene dichiarata, mostrata. Basta essere in televisione, nella rete sociale, sempre, incessantemente, mentre si mangia, si dorme, senza pudore nemmeno nei confronti dei propri sentimenti privati, e il consenso arriva. Più se ne parla, più arrivano i voti. Si prende un problema drammatico, la tragedia umana dell’immigrazione, lo si risolve in battute insensate. La gente si abitua. E la mitomania va al potere. Con reazioni altrettanto isteriche della società.

Per fortuna a tutto questo parte della società civile sta rispondendo. Le donne, i gay, i sindacati, si stanno mobilitando contro leggi liberticide, contro i decreti delle armi in casa, contro i razzismi che per Grillo sono solo un fenomeno mediatico. La legge Pillon non dovrà passare. Se non lo conoscete, guardatevi il bel programma di Riccardo Jacona “Dio Patria e famiglia”, una delle tante belle puntate di Presa diretta. È da brividi, quelli veri, e spiega bene da dove vengono le idee del ministro della famiglia e dei suoi fan. 

 Ho solo una domanda che mi viene spontanea a questo punto: vale forse la pena in questo momento, in cui dalla Francia della Le Pen all’Europa di Orbán, dagli Stati Uniti al Brasile, nascono leader che pontificano addirittura la violenza di genere e vogliono “guarire” i gay (vorrebbero sterminali, ma ancora non lo possono dire); vale forse la pena – chiedo –  di fare gli esigenti alle votazioni europee? Siamo sicuri che sia meglio tenere i partiti democratici ai minimi storici perché non ci rappresentano completamente, e lasciare che queste nuove forme di intolleranza e di violenza assumano i loro connotati più veri e distruttivi?

Non è forse il caso di pensare che in una situazione in cui si manifestano pulsioni fortemente liberticide si vota chiunque in un’Europa più unita ci assicuri un po’ di giustizia sociale, la fine delle discriminazioni e tutte, ma proprio tutte, le libertà democratiche previste dalla Costituzione? Possibilmente senza armi in casa.

Lo so, non è il mio mestiere parlare di politica. Ma quando la politica incide così tanto nella vita di ognuno di noi credo sia doveroso scegliere. A fine maggio l’ardua sentenza.

Nell’immagine d’apertura Miguel Bosé ritratto da Andy Warhol (1983)

Gay. Se torna la paura ultima modifica: 2019-03-12T19:47:33+01:00 da LUCIO FAVARETTO
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