Tutto a posto. Il presidente del consiglio Giuseppe Conte e altri autorevoli membri del governo, tra cui i suoi due vice Luigi “Gianni” Di Maio e Matteo “Pinotto” Salvini, hanno annunciato che l’accordo quadro tra Italia e Cina sul progetto cinese chiamato Nuova Via della Seta o One Belt One Road (Obor), è salvo. L’ accordo, chiamato in diplomatese Memorandum of Understanding (MoU) sarà firmato nel corso della visita a Roma del “presidente Ping” – cioè il leader cinese Xi Jinping nella creativa interpretazione di Di Maio.
Da quello che si capisce il disaccordo tra il Movimento 5 Stelle – secondo il quale tutti i problemi del Paese, dall’immigrazione all’ordine pubblico passando per la disoccupazione giovanile, si possono risolvere copiando la Cina (non è uno scherzo, l’ha scritto il sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci sul blog di Beppe Grillo) – e la Lega – che è una sostenitrice del presidente americano Donald Trump ed è innamorata del sovranista a stelle e strisce Steve Bannon, un “falco” sulla Cina – è stato risolto. In quale modo non ce l’hanno detto, almeno per il momento.
M’astengo dall’intervenire sul tema “la Cina opportunità o pericolo?” – del quale avrebbe avuto senso discutere una quarantina d’anni fa, quando i nostri allora governanti dormivano mentre americani, giapponesi, tedeschi e altri si buttavano in Cina per cogliere l’occasione rappresentata dalla grande disponibilità di lavoro a basso costo e dal miraggio del suo enorme mercato – e che ora è una cosa semplicemente ridicola. La Cina non è più un Paese in via di sviluppo – anche se continua a goderne i privilegi – ma una potenza, anzi, “la” potenza che s’affaccia sulla scena mondiale e con la quale non è chiaramente possibile non avere rapporti. Una potenza che non nasconde le sue mire egemoniche: cosa diranno in futuro i nostri governi su Taiwan, su Hong Kong, sul Mar della Cina Meridionale?
Che sarebbe preferibile fronteggiare questo gigante come Europa piuttosto che come Paese singolo (e piccolo) è evidente a tutti. Meno, forse, che ai nostri sovranisti. Il problema è che tipo di rapporti intavolare, ma lo metto da parte per un momento, perché prima è necessario risolvere due o tre misteri che circondano il MoU, oltre alla sciocchezzuola che non ne hanno diffuso il testo. Per esempio: Di Maio ha sostenuto che l’accordo apre “grandi opportunità” per le imprese italiane. Quali e come? Cosa cambierà in Cina per le imprese straniere – che protestano costantemente per la chiusura di fatto del mercato interno – dopo la firma?

Il mistero più grande di tutti, però, riguarda l’atteggiamento dei politici italiani di tutti i colori nei confronti dell’Impero di Mezzo.
I 5 Stelle sono gli ultimi di una lunga serie di esaltatori del comunismo capitalistico cinese. Negli anni (dal 2003 al 2016) nei quali sono stato corrispondente dell’Ansa in Cina, li ho visti venire tutti a omaggiare i Nuovi Mandarini: l’ex-mangiatore di comunisti e profeta del liberismo sfrenato Giulio Tremonti, l’ex-comunista Giorgio Napolitano, l’ex-fascista Adolfo Urso e tanti altri, non ultimi i due Grandi Uomini degli anni scorsi, Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema. È vero che sono in buona compagnia, e che sono stati addirittura superati dallo zelantissimo George Osborne, cancelliere dello scacchiere nello sfortunato governo britannico presieduto da David Cameron (il genio al quale si deve il referendum sulla Brexit) che è andato a mendicare improbabili affari ad Urumqui, la capitale di quello Xinjiang dove oggi è accertato che almeno 800.000 persone sono state sottoposte al lavaggio del cervello in mostruose scuole di “rieducazione”.
A parte le travi negli occhi degli altri, perché?
Come i nostri diplomatici non si stancano di ripetere, i rapporti “politici” con Pechino sono ottimi – chiaro, gli diamo sempre ragione – mentre quelli economici stagnano. Infatti, siamo stati tra i primi a rifiutare entusiasticamente di ricevere il pericolosissimo Dalai Lama, mentre la Cina da anni blocca all’Onu la richiesta indiana di mettere sulla lista dei ricercati il terrorista Masood Azhar, che ha rivendicato attentati nei quali sono morte centinaia di persone, perché Masood vive da uomo libero in Pakistan e il Pakistan è alleato della Cina. Né abbiamo mai sollevato altri problemucci come l’esistenza in Cina di almeno 25mila prigionieri politici, l’assenza di una legge uguale per tutti, di una magistratura e una stampa indipendenti, la persecuzione delle minoranze etniche, il dominio del partito su tutta la società.

Sicuramente Di Maio, Geraci e gli altri propagandisti della Cina di Xi Jinping conoscono le vicende di Michael Kovring, Michael Spavor, Sarah McIver e altre decine di stimati professionisti canadesi sbattuti in prigione per rappresaglia contro il Canada che – in applicazione di un trattato con gli Stati Uniti – ha bloccato la dirigente della controversa impresa cinese Huawei, Meng Wanzhou, della quale Washington ha chiesto l’arresto e l’estradizione. Nella logica dei governanti di Pechino la presa di ostaggi e la rappresaglia contro tutti i cittadini di un Paese col quale si ha un disaccordo sono comportamenti legittimi. Per la cronaca, Meng ha passato in prigione pochi giorni prima di essere liberata su cauzione, mentre Kovring e Spavor sono in galera da mesi e sono accusati di spionaggio, reato per il quale potrebbero essere condannati a morte (la Cina è il Paese che detiene il record mondiale delle esecuzioni capitali, peraltro eseguite dopo processi sommari, che si concludono con la condanna dell’imputato nel cento per cento dei casi).
Gui Minhai – che ha un nome cinese e gli occhi a mandorla ma è un cittadino della Svezia – è stato rapito nel 2015 mentre si trovava in Thailandia da agenti cinesi, portato in Cina e sbattuto in galera, dove si trova ancora. Il suo reato è quello di aver pubblicato dei libri sgraditi ai mandarini. Un cittadino straniero è sequestrato in un altro Paese straniero e portato davanti a giudici che già hanno da tempo deciso la sentenza (se qualcuno dei Nostri Eroi volesse informarsi, suggerisco la ricerca su Google del nome Angela Gui, la figlia dello sfortunato svedese che si sta battendo per la libertà di suo padre).

Insomma, per la Cina di Xi gli accordi internazionali non esistono e, come tutto il resto, possono e devono essere piegati alla volontà dell’Imperatore, cioè il segretario del Partito Comunista. È a questo Paese che ci dobbiamo legare mani e piedi? E perché? Chi ce lo fa fare? Quali sono i vantaggi?
Anche Papa Francesco a questo punto avrà imparato che fare concessioni ai mandarini non porta vantaggi ma ulteriori pressioni. Cosa ha ottenuto la Chiesa cedendo a Pechino – contro l’opinione di gran parte dei cattolici cinesi – sulla nomina dei vescovi? È migliorata la situazione della Chiesa in Cina? Al contrario, le persecuzioni si sono intensificate. Nella logica cinese, e più in generale asiatica, una concessione dimostra la debolezza dell’interlocutore e induce a usare più il bastone che la carota.

Tra le tante cosa emerse in questi giorni, c’è il fatto che la Germania ha rapporti economici con la Cina molto più stretti dei nostri. Questo fatto, certamente vero, è stato usato dai propagandisti italiani di Xi Jinpig per sostenere che le critiche “dell’Europa” sarebbero in cattiva fede.
Però, c’è da fare un paio di considerazioni: in primo luoghi i tedeschi, al contrario di noi, si sono mossi per tempo e si sono conquistati in Cina spazio e credibilità; inoltre, il governo tedesco è quello che ha ottenuto la fine dell’orrenda persecuzione alla quale è stata sottoposta per quasi dieci anni Liu Xia, la moglie del premio Nobel Liu Xiaobo, morto in galera. Liu Xia nel 2018 ha potuto lasciare il Paese e raggiungere la Germania grazie alle discrete ma insistenti pressioni del governo di Berlino. Colpevole solo di aver “sposato male”, Liu Xia è stata tenuta agli arresti domiciliari, costretta ad ospitare nel suo appartamento di Pechino decine di poliziotti, senza mai essere neanche accusata di alcun reato. Al contrario di quelli tedeschi, i nostri governanti, esperti e diplomatici in tutti questi anni hanno girato la testa dall’altra parte.
La prima cosa che dovrebbero fare i nostri politici è rispondere a questa domanda: perché sono tutti d’accordo nell’amicizia acritica verso Pechino? Perché l’accanimento nel promuovere l’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta? Perché farlo senza coordinarsi col resto dell’Europa? Perché tanta fretta? Perché?

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