I ragazzi e i bambini di tutto il mondo hanno gridato contro il disastro ambientale. Una bellissima cosa. Lo hanno fatto in base a ciò che compete loro più di ogni altra cosa: il futuro, questo fantasma che ha cessato di girare per l’Europa e per il Mondo. Viviamo senza futuro e i ragazzi e i bambini del mondo hanno urlato: fermiamoci prima che sia troppo tardi. E forse è troppo tardi.
Ma il futuro si è trasformato negli anni da un mondo immaginato come migliore e diverso a un mondo devastato e catastrofico. Un tempo, soprattutto nel XIX secolo, vi erano utopie come quelle di Henri Saint-Simon, Robert Owen, Charles Fourier, che sognavano, immaginavano e progettavano sistemi sociali diversi, e poi, verso la fine di quello stesso secolo, cominciarono a imporsi le distopie, scene e racconti di un futuro spaventoso, di società oppressive, di mondi orribili che potevano realizzarsi proprio come conseguenza di un presente che conteneva (e contiene) già in potenza tutti gli elementi che avrebbero portato al disastro.
Cominciò Wells con la Macchina del tempo e con altri bellissimi racconti e l’albero della distopia si è ramificato e non si è più arrestato fino a Philip Dick, James Ballard, Ursula Le Guin. Anzi si è rafforzato con i film e i serial di grande successo. Il mondo dark come in Blade Runner, in Matrix e così via, l’inquinamento che avanza e uccide, società che non fanno più figli, tutte amplificazioni di ciò che vediamo e viviamo di sera per le strade di una qualsiasi metropoli del mondo, avvolta in una nube tossica che respiriamo oppure quando attraversiamo posti come Taranto, Marghera, Priolo (Siracusa). Fantasie reali che ci portano in un futuro dotato di tutte le caratteristiche del presente, ma solo patologicamente amplificate.

Accettiamo tutto questo con naturalezza, ma i ragazzi e i bambini di tutto il mondo hanno gridato semplicemente: “il re è nudo!”, paventando ciò che potrebbe accadere se non si fa qualcosa. È sperabile che tutto questo non si traduca, come rischia di accadere, in compiacimento e autocompiacimento degli adulti imbozzolati nel loro narcisismo malato che si esprime più o meno paternalisticamente attraverso i social, magari con un tardivo risveglio del cosiddetto popolo di sinistra che invece di vergognarsi del fatto di ricevere lezioni dai figli, che loro avrebbero dovuto dare, trova tutto ciò normale e rischia di dare un tono di falsità a un fatto importante che deve continuare e allargarsi.
Ma non si tratta solo di questo. Il passaggio dall’utopia alla distopia ci segnala anche un’altra cosa. Si è oggi in molti (anche se, nonostante tutto, non ancora abbastanza), bambini, ragazzi e adulti, a essere capaci di dare l’allarme, di gridare al pericolo, di lottare contro i danni del capitalismo privato e di stato (leggi Cina), ma nessuno osa più alzare lo sguardo oltre. Siamo ancora fermi al pericolo che dal futuro incombe sul presente. Non riusciamo a immaginare un mondo diverso che non sia quello che abbiamo qui e ora. Un mondo diverso non è un capitalismo neoliberista pulito, ecologico, ambientalista, umano, egualitario, libertario. Questa non è un’utopia, è un autoinganno di cui ci alimentiamo noi adulti. È qui che bisognerebbe aprire il dialogo con i ragazzi e con i bambini nelle scuole e nelle piazze sui temi dell’ambiente, dell’economia, dell’umanità.

Come si può realizzare un mondo pulito e sicuro quando l’individualismo, l’egoismo, la concorrenzialità, l’autoreferenzialità, il narcisismo malato, dominano sulla solidarietà, l’aiuto reciproco, la cooperazione, lo stare insieme, l’umanità? Quando l’ansiosa ricerca del profitto se ne frega dei climi, dell’ambiente, della salute? Quando il benessere materiale di pochi è la fonte del malessere dei molti? Per ottenere il possibile dovremmo tornare a chiedere l’impossibile.

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