Yemen, per non dimenticare una guerra volutamente dimenticata da una comunità internazionale silente o complice di una mattanza senza fine. In Yemen, negli ultimi tre mesi, si è ulteriormente aggravata la crisi umanitaria che colpisce la popolazione dall’inizio della guerra: dallo scorso dicembre infatti, nell’indifferenza generale, tre civili sono stati uccisi ogni giorno, in media una vittima ogni otto ore. È la denuncia diffusa da Oxfam a quattro anni dallo scoppio della guerra (il 26 marzo 2015) e a oltre tre mesi dai colloqui di pace di Stoccolma, tra il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e gli Houthi, durante cui era stato concordato un cessate il fuoco nella città portuale di Hodeidah (sotto assedio da mesi).
Accordi che avrebbero dovuto gettare le basi per una pace duratura. Ma nulla di tutto questo è accaduto. Nelle undici settimane che hanno seguito gli accordi, duecentotrentuno civili sono stati uccisi da attacchi aerei, bombardamenti, cecchini o esplosioni di mine, e di questi un terzo si trovava nel governatorato di Hodeidah, nonostante nell’area fosse stato accordato appunto il cessate il fuoco. Tra le vittime cinquantasei erano bambini e quarantatré le donne. Un’area in cui la violenza degli scontri ha già causato oltre 600mila sfollati.

Fa sapere Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia:
Siamo di fronte a un bilancio atroce e assolutamente inaccettabile, nonostante il leggero calo del numero di vittime dopo i colloqui presieduti dall’Onu in Svezia, le stesse Nazioni Unite hanno recentemente affermato che sono stati uccisi o feriti circa cento civili alla settimana nel 2018. Ogni giorno che passa senza un concreto progresso verso la pace, altri yemeniti perdono la vita e se sopravvivono lottano per il cibo, l’acqua, per trovare un riparo. I paesi, compresa l’Italia, che continuano a consentire la vendita diretta o indiretta di armi verso le parti in conflitto, si stanno rendendo di fatto complici di questo massacro. Perciò facciamo ancora una volta appello alla comunità internazionale, affinché agisca subito, per portare in Yemen una pace duratura.
La catastrofe umanitaria nello Yemen non è solo fatta di vittime innocenti della guerra. Il novanta per cento della popolazione – di cui oltre undici milioni sono bambini – dipende in questo momento dagli aiuti umanitari, con il porto di Hodeidah, principale punto di ingresso dei beni di prima necessità, che resta teatro di scontri. Una violenza insensata che dal marzo 2015 ha già costretto oltre tre milioni di persone ad abbandonare le proprie case.
Aggiunge Pezzati:
In questo momento quasi quattordici milioni di yemeniti sono ormai sull’orlo della carestia a causa dell’azzeramento dell’economia del paese e della chiusura dei principali porti. Nel paese c’è una gravissima emergenza idrica e sanitaria: quasi diciotto milioni di persone non hanno accesso a fonti di acqua pulita e in diciannove milioni all’assistenza sanitaria di base, rimanendo così inevitabilmente esposte a epidemie mortali. Qui il colera ha contagiato un milione e 300mila persone dal 2017, di cui quasi 400mila solo nell’ultimo anno, causando migliaia di morti.
Dall’inizio della crisi, noi di Oxfam, lavoriamo per garantire acqua sicura, servizi igienico-sanitari e beni di prima necessità a quante più persone possibile, soprattutto alle donne e alle fasce più vulnerabili della popolazione, evitando così conseguenze che potrebbero paradossalmente fare più vittime della guerra stessa. Abbiamo già raggiunto più di tre milioni di persone.
I segni della guerra restano soprattutto tra i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. Oggi nello Yemen circa un milione e 200mila bambini vivono in trentuno zone nelle quali il conflitto è attivo, fra cui Hodeidah, Ta’izz, Hajjah e Sa’da, aree caratterizzate da gravi violenze causate dalla guerra.

Geert Cappelaere, direttore Unicef per Medio Oriente e Nord Africa afferma:
Non è cambiato molto, per i bambini yemeniti, da quando è stato siglato l’accordo di Stoccolma, il 13 dicembre 2018. Da allora, in media, ogni giorno 8 bambini vengono feriti o uccisi. La maggior parte delle vittime sono colpite mentre giocano con i loro amici fuori casa o mentre si recano a scuola. L’impatto del conflitto sull’infanzia dello Yemen è molto profondo e non risparmia alcun bambino. Quattro anni di sconvolgente violenza, alti livelli di povertà e decenni di conflitti, negligenze e privazioni hanno messo in ginocchio la società yemenita, lacerando il suo tessuto sociale, fondamentale per ogni società e soprattutto per i bambini.

Dal 26 marzo 2015, data dell’inizio del conflitto, a fine dicembre 2018 le Nazioni Unite hanno verificato innumerevoli violazioni dei diritti umani, il cui numero reale potrebbe tuttavia essere di gran lunga maggiore:
2.672 bambini uccisi (1.782 maschi, 744 femmine, 49 mai identificati); 4.371 bambini feriti (2.977 maschi, 1.087 femmine); 2.787 bambini reclutati nei combattimenti; 323 attacchi o occupazioni a uso militare di edifici scolastici; 133 attacchi o occupazioni a uso militare di strutture sanitarie. Incremento preoccupante dei matrimoni precoci: due terzi delle ragazze yemenite si sposano prima dei diciotto anni.
Denuncia il direttore generale dell’Unicef, Henrietta Fore:
Nello Yemen ogni giorno, otto bambini sono uccisi o feriti nelle trentuno zone del paese in cui il conflitto è attivo. Tre giorni fa, cinque bambini che giocavano in casa sono stati uccisi in un attacco nel distretto di Tahita, a sud di Hodeidah. Nello Yemen i bambini non possono più fare in sicurezza le cose che tutti i bambini amano fare – come andare a scuola o passare del tempo con i loro amici fuori. La guerra può raggiungerli ovunque si trovino, anche a casa loro. L’orribile tributo alla guerra da parte dei bambini continua nonostante l’accordo raggiunto dalle parti in conflitto alla fine dell’anno scorso a Stoccolma. I colloqui e le conferenze hanno finora fatto ben poco per cambiare la realtà per i bambini sul campo. Solo un accordo di pace globale può dare ai bambini yemeniti il sollievo dalla violenza e dalla guerra, sollievo di cui hanno bisogno e che meritano.
L’Unicef e le organizzazioni partner hanno intensificato gli interventi per rispondere agli immensi bisogni umanitari dei bambini e delle famiglie dello Yemen, considerata dall’Onu la più vasta crisi umanitaria attualmente in corso nel mondo. Yemen, un orrore che non conosce limiti. Bambini di otto anni sono stati stuprati nella città yemenita di Ta’izz e i presunti autori, tra cui membri delle milizie sostenute dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, restano ancora impuniti. La terribile denuncia è stata fatta nei giorni scorsi da Amnesty International, che ha indagato sulle testimonianze delle famiglie di quattro minorenni stuprati negli ultimi otto mesi.
Ha dichiarato Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty:
Queste strazianti testimonianze confermano quanto il conflitto in corso abbia reso i minorenni di Ta’izz vulnerabili allo sfruttamento sessuale, in una città dominata dall’insicurezza e dalla fragilità delle istituzioni. Queste vittime e le loro famiglie sono state lasciate sole e prive di protezione durante e dopo questo incubo. Le autorità yemenite dovranno indagare a fondo per lanciare il segnale che questi crimini non saranno tollerati e per proteggere le famiglie dei minorenni da rappresaglie. Le persone sospette, compresi combattenti e leader che godono della fiducia delle comunità locali, dovranno essere sottoposte a giudizio. Lo stupro e le aggressioni sessuali nel contesto di un conflitto armato costituiscono crimini di guerra. Chi ha posizioni di comando e non ferma queste azioni vili può a sua volta essere considerato responsabile di crimini di guerra.

Amnesty ha scritto al procuratore generale dello Yemen chiedendo commenti e chiarimenti ma non ha ricevuto risposta. Tutti e quattro i casi sono stati segnalati al dipartimento per le indagini penali di Ta’izz. Ma quando questo ufficio ha chiesto a uno degli ospedali principali della città di visitare le tre vittime di stupro e di produrre certificati medici, in un caso l’ospedale ha opposto rifiuto per poi chiedere in cambio un versamento di denaro che la famiglia non è stata in grado di reperire.

Amnesty International è venuta a conoscenza di almeno altri due casi di stupro di cui le famiglie hanno troppo timore di parlare. In due dei quattro casi – uno di stupro e l’altro di tentato stupro – le famiglie hanno accusato miliziani legati al partito Islah. Questa è la testimonianza del sedicenne vittima di stupro:
Lui [un miliziano] ha iniziato a colpirmi col calcio del fucile e con calci e pugni mi ha spinto contro il muro. Allora ha detto che voleva stuprarmi. Io ho iniziato a piangere e a pregarlo di considerarmi come suo figlio. Si è infuriato ancora di più e ha ripreso a picchiarmi. Poi mi ha preso per il collo, mi ha spinto a terra e mi ha stuprato.
Queste invece sono le parole della madre:
Quando la sera è tornato a casa, è andato direttamente al gabinetto. Quando ne è uscito, gli ho chiesto cosa fosse successo ma non ha risposto. Si è messo a piangere e io ho iniziato a piangere a mia volta. Siamo rimasti seduti vicini per tre giorni, non riuscivamo a bere né a mangiare né a dormire. Dal punto di vista psicologico era terrorizzato, aveva un aspetto era giallo e spossato. Stava seduto lì guardando nel vuoto.
La madre ha sporto denuncia al dipartimento per le indagini penali che ha emesso un decreto, esaminato da Amnesty International, per ordinare una visita medica e un referto. Il medico, che lavora in un ospedale controllato da Islah, si è rifiutato. “Il dottore mi ha detto che mio figlio non aveva nulla che non andasse e che non avrebbe scritto il referto”, ha raccontato. La direzione dell’ospedale ha chiesto soldi per produrre il certificato ma la madre non è stata in grado di pagare.
Il ragazzo che invece è riuscito a fuggire, nel luglio 2018, da un tentativo di stupro da parte di un miliziano, ha dodici anni. Un suo parente ha raccontato che il miliziano ha chiesto al ragazzo di consegnare un pacco all’abitazione di un vicino, per poi seguirlo e aggredirlo:
[Il miliziano] l’ha spinto sul letto minacciandolo col fucile e avvertendolo che se avesse gridato o pianto il fucile era carico. L’uomo ha iniziato a spogliarsi. Il ragazzo, anche se era terrorizzato, è riuscito a prendere il fucile e a sparagli, poi è fuggito.
L’aggressore è morto. I familiari del ragazzo hanno riferito quanto accaduto alle autorità locali. Lasciati senza protezione, sono stati aggrediti quarantotto ore dopo nella loro abitazione da miliziani colleghi dell’aggressore. Una persona è morta e tre sono state ferite in modo grave. Per due settimane le autorità locali hanno tenuto in carcere il ragazzo, suo padre e due fratelli per proteggerli da ulteriori vendette.
Il terzo caso riguarda un bambino di otto anni stuprato due volte tra giugno e ottobre 2018 dal figlio di un imam legato al partito Islah e da un amico del primo. La madre ha raccontato quanto da allora sia cambiato il comportamento del figlio, che molto spesso scoppia in lacrime. Prima era uno dei più bravi a scuola, mentre ora non riesce a tenere una penna in mano né a scrivere. Ha disturbi del sonno e ha crisi di urla e di pianto incontrollabili.
Ha riferito la madre:
Mio figlio mi ha detto che il figlio dell’imam lo ha chiuso nel gabinetto della moschea, gli ha tappato la mano con la bocca e ha iniziato a spogliarlo. Dopo aver finito, ha chiamato l’amico che ha fatto la stessa cosa a mio figlio.
Secondo i referti medici esaminati da Amnesty International, da allora il bambino presenta difficoltà motorie, mancanza di concentrazione e una commozione cerebrale conseguenza delle ripetute percosse. Amnesty International ha anche parlato col padre di un ragazzo di tredici anni, stuprato dagli stessi due uomini nella medesima moschea.
Osserva Heba Morayef:
Queste violenze orribili dimostrano quanto i minorenni siano diventati vulnerabili durante il conflitto armato, con le istituzioni e i meccanismi di protezione collassati, in un vuoto nel quale l’abuso e lo sfruttamento possono prosperare. Il tutto è esacerbato dall’assenza di legge. Ogni ritardo nel portare di fronte alla giustizia i responsabili di questi attacchi può mettere a rischio altri minorenni.

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