Peter Pan era un soldato. Caduto in guerra

Di lui sappiamo qualcosa per il suo nome particolare: sapessimo qualcosa di più anche dei dodici milioni di morti conteggiati alla fine di un secolo fa, forse servirebbe a ricordarci che i demoni di quella sconcertante tragedia stanno ancora in agguato.
ANDREA MEROLA
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Qualche anno fa, credo nella primavera del 2010, mi recai per la prima volta in gita a Moriago della Battaglia, parenti acquisiti hanno lì la loro origine. Il nome del paese non c’entra con la morte, sono delle piccole sorgenti spontanee nella campagna attorno all’abitato a chiamarsi moriaghi. Ma sapevo la storia dell’Isola dei Morti, un’insenatura sul letto del Piave, tra il paese e la collina del Montello, dove si arenavano i cadaveri dei soldati, trascinati dalla corrente, durante la battaglia del Solstizio.

Volli vedere quelle sponde: mentre camminavo, spesso guardavo in basso, un po’ per non incespicare tra i grossi sassi, un po’ per scaramanzia, perché mi divertiva l’idea di poter trovare un segno di quella storia. 

L’antico toponimo stradale del paese di Moriago, conservato sul muro di un’antica casa sopravissuta alla Grande Guerra, all’ingresso del piccolo centro abitato. © Andrea MEROLA

Finché ecco che scorgo un labile luccichio incastonato nella sabbia tra i sassi che calpesto: è un bottoncino in acciaio, mezzo per la verità; più tardi lo ripulisco e lo osservo con una lente d’ingrandimento, consultando wikipedia: ha lo scudo sabaudo, è effettivamente il bottoncino del taschino della giubba da campagna del Regio Esercito, in dotazione dal 1916. La scoperta m’appassiona: com’era possibile che fosse rimasto ancora laggiù dopo quasi un secolo, e che io l’abbia visto dopo pochi passi sull’argine del fiume? E poi, era il resto dell’uniforme di un cadavere o si era strappato accidentalmente dalla giubba di un vivo? Così, poco per volta, mi venne da raccontare una storia in foto, tornando più volte sulle tracce della battaglia, battezzata “del Solstizio” da D’Annunzio.

Alla fine dello scorso maggio ero all’ultima tappa del racconto: stavo camminando sul sentiero d’accesso all’abbazia benedettina di San’Eustachio, tirata giù dall’artiglieria italiana nel 1917, per evitare che diventasse un posto di osservazione per gli austriaci.

Dettaglio sulle rovine dell’abbazia di Sant’Eustachio, completamente distrutta dai bombardamenti nella battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, in località Nervesa. © Andrea MEROLA

Le rovine, messe in sicurezza nel 2017, sono state dichiarate monumento alla Pace, con tanto di cerimonia col presidente del Veneto Luca Zaia. Pertanto tutti i prati e sentieri dei dintorni erano stati bonificati e ripuliti di recente, come appariva a colpo d’occhio. Sto in cima alla collinetta, sotto l’abside, ma sul verde smeraldo dell’erba ai miei piedi m’attira un pezzettino di lamiera, giusto alla destra del mio piede destro: lo raccolgo, subito riconosco l’oggetto, seppur arrugginito e ossidato: un caricatore del moschetto ’91, l’arma standard del fante italiano nel 15-18. Vuoto, evidentemente espulso dal fucile all’ultimo colpo. Guardo ancora attentamente sull’erba intorno: null’altro, neanche una foglia secca, tutto lindo.

Ora, delle due: o si crede nel soprannaturale, e uno spirito guida mi ha spinto in quei luoghi, l’anima di un soldatino insepolto, lasciando dei segnali tangibili, come i sassolini di Pollicino; oppure no, sono solo circostanze fortuite. 

Sta di fatto che il bottoncino e il caricatore ora riposano insieme, in una scatoletta in legno laccato regalatami da un amico messicano.   

La ricostruzione di una trincea sull’argine del fiume Piave, in memoria dei soldati di entrambi gli schieramenti morti nella battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, in località Nervesa. © Andrea MEROLA

Il 4 novembre 2018 ha visto la celebrazione del centenario della fine della Grande Guerra: dalle ore 15 di quel giorno, cento anni prima, non si sparò più, almeno sul fronte italiano, mentre sul fronte occidentale la guerra continuò fino alle ore 11 dell’ 11 novembre 1918. Storicamente non è molto, più o meno cinque generazioni fa: mio nonno l’aveva combattuta sull’Adriatico nella Regia Marina, e fece in tempo a tramandarmi la sua testimonianza di quell’enormità storica. Chi l’ha combattuta, o vissuta nelle retrovie, ora non c’è più, e anche i segni tangibili di quell’immane violenza sono stati quasi del tutto cancellati dallo scorrere delle stagioni.

Tra l’ultima settimana di giugno e la prima del luglio 1918 l’esercito austroungarico sferrò sul fronte del fiume Piave la sua ultima grande offensiva, giocandosi il tutto per tutto; come ora sappiamo, andò male, e a novembre l’Austria si arrese. Per quel bottoncino trovato sulla sabbia del Piave, sono andato quindi per quei luoghi dell’ultima tragedia: qualche abitato di poche case, case contadine, chiese rurali, tra il Piave e le Prealpi. Proprio sulla linea del fuoco. Di quelle case cento anni fa non rimasero che rovine, tirate giù dai bombardamenti di entrambi gli schieramenti. Sul Piave, sull’Isola dei Morti, non si spiaggiano più i cadaveri dei soldati: ora si fa il picnic nella bella stagione.

Due sagome in metallo modellate a somiglianza di due fanti italiani della Grande Guerra, posizionate sul viale che porta all’Isola dei Morti, sul fiume Piave alla periferia di Moriago. © Andrea MEROLA

Il rosso tramonto sul fiume, o le sponde bianche di ghiaia, l’acqua d’argento veloce frastornante, un muretto di sassi o l’insegna stradale dipinta sul muro della prima casa di accesso, sicuramente le videro chi cento anni fa laggiù era uomo, soldato o contadino, donna, fanciulla o bambino, e questo ho fotografato, dei momenti di pace impressi nella retina di quella lontana umanità che visse quella guerra.

La tomba del soldato Peter Pan, situata nel settore austriaco sul Sacrario Militare costruito sulla cima del monte Grappa. © Andrea MEROLA

Le uniche, ancora quasi tangibili testimonianze di quella violenza sono gli ossari; già la parola è terribile. Sul Sacrario del Monte Grappa un coperchio in bronzo riporta il nome del soldato Peter Pan: è l’unico loculo con qualche fiorellino di campo, sicuramente in omaggio all’omonimia col protagonista della fiaba dell’Isola che non c’è. Quel Peter Pan al contrario era reale, un ragazzetto di ventuno anni nato nell’odierna Romania e ucciso vicino al monte un mese prima dell’armistizio.

Di lui sappiamo qualcosa per il suo nome particolare: sapessimo qualcosa di più anche dei dodici milioni di morti conteggiati alla fine di un secolo fa, forse servirebbe a ricordare a noi, fortunati che siamo nati dopo, che i demoni di quella sconcertante tragedia stanno ancora in agguato, guai a evocarli. 

Peter Pan era un soldato. Caduto in guerra ultima modifica: 2019-03-19T19:24:07+01:00 da ANDREA MEROLA
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