López Obrador gode del maggior sostegno nella storia dei presidenti messicani, e recentemente ha dichiarato di voler mettere fine al modello neoliberale e alla sua politica di furto antipopolare. Secondo l’istituto messicano Parametría che ha condotto un sondaggio su un campione di elettori sui primi cento giorni di governo, il presidente può contare su un 86 per cento di gradimento, risultato che si ottiene sommando chi è molto soddisfatto della sua azione di governo (66 per cento) al venti per cento di coloro che invece l’approvano più timidamente.
I dati non fanno che confermare una sensazione perfettamente palpabile in Messico, dove il governo di sinistra di Andrés Manuel López Obrador ha suscitato vasta aspettativa e consenso, ma ha anche sconcertato molti, mentre l’opposizione, uscita massacrata dalle elezioni, non riesce a battere chiodo.
La grande popolarità di cui gode ha fatto sì che la proposta che il presidente giorni fa ha lanciato in uno dei suoi rituali incontri con la stampa di sottoporsi a un referendum nel 2021, a metà mandato, abbia scatenato il sospetto che egli voglia in realtà ricandidarsi.

Un’evenienza esclusa dalla costituzione messicana, che limita la durata della carica presidenziale a soli sei anni. Ma non sufficiente a tranquillizzare gli animi di chi teme che a AMLO sia tutto possibile. E che l’ha spinto ieri a firmare un solenne impegno di non ricandidarsi nel 2024.
Sia la proposta di referendum a metà mandato, sia la firma dell’impegno a non cambiare la costituzione per ricandidarsi, sono avvenuti nell’ambito degli incontri che López Obrador, unico presidente al mondo, promuove ogni giorno alle sette del mattino con la stampa.

A questi appuntamenti si presenta con i collaboratori, impartendo ordini e prendendo in diretta decisioni utili al paese, amplificate dalla diffusione tra gli ottocentomila che lo seguono in Youtube, i poco meno di sei milioni di Facebook, e recentemente anche da Spotify attraverso il quale si dirige a un’utenza più giovane.
A tutto ciò s’aggiunge il più tradizionale veicolo di Canal 11, attraverso il quale il suo messaggio raggiunge il 72 per cento del segnale televisivo aperto messicano.
Nei suoi incontri dal lunedì al venerdì di ogni settimana, López Obrador espone i temi cardine del governo. E ricercando un contatto diretto con la platea di spettatori elettori, prosegue la sua mai interrotta campagna elettorale con la quale incolpa dei problemi ancora da risolvere il malgoverno di chi l’ha preceduto.
Il risultato è l’aver introdotto una nuova forma di governo che persegue la riduzione, se non l’annullamento, della mediazione politica al fine di instaurare un rapporto diretto col popolo, al quale il presidente si rivolge per denunciare la corruzione che sta alla base dei gravi problemi da cui è afflitto il paese.

Anche la scelta dell’ora non è casuale. E corrisponde all’idea di comunicare allo spettatore l’immagine di un presidente già al lavoro alle prime luci del giorno, mentre la stragrande maggioranza dei suoi concittadini è ancora impegnata con la prima colazione. Una strategia grazie alla quale López Obrador è riuscito anche a modificare i notiziari televisivi mattutini, mettendo in grave difficoltà pure la stampa cartacea, le cui prime pagine spesso appaiono obsolete quando il presidente di buon mattino si accinge a parlare dettando i temi del dibattito politico.
Enfatizzando la gravità dei problemi che non possono aspettare, comunica efficacemente un bisogno di profondo cambiamento e la necessità che esso sia attuato nel più breve tempo possibile. Il risultato è che l’azione di López Obrador, a fronte dei gravi problemi ereditati, deve proseguire spedita e senza indugi. Trasmettendo all’elettore spettatore la sensazione che il governo e il suo presidente stiano facendo molto. Di qui l’importanza dei social, che lo hanno aiutato nella corsa alla presidenza, e che ora sono il perno della comunicazione giornaliera.
Chiarificatori sono i temi della sua comunicazione, dove si è calcolato che nei primi sessantasette incontri AMLO abbia pronunciato 540 volte la parola “corruzione”, 352 “popolo”, 132 “neoliberale”. Accanto a questo, fin dai primi giorni della sua presidenza, ha avviato una raffica di consultazioni sui temi più importanti, come quelli che hanno riguardato il progetto del nuovo aeroporto di Città del Messico, accantonato, il Tren Maya e altri.
Tutte occasioni che, a ben vedere, hanno coinvolto solo un’esigua minoranza della popolazione e sono state criticate come demagogiche anche a sinistra. In particolar modo dalle componenti indigene del paese, assai severe nei confronti di progetti infrastrutturali che rischiano di minacciare l’ambiente e tradizioni secolari. Ma che hanno rappresentato un’arma in più in mano al presidente per rendere efficace la narrazione della profonda novità rappresentata dal suo governo.

Comunque sia, grazie ai suoi appelli, AMLO trascina nella sua corsa la maggioranza dei messicani, e riesce nell’intento di mostrarsi ai loro occhi come portavoce di una campagna senza fine, il cui obiettivo finale ha un sapore fortemente morale, che poggia sulla profonda rigenerazione del paese.
Non apparendo ancora come il responsabile di scelte per le quali prima o dopo sarà chiamato a rispondere, rappresenta una variante di quel rapporto che oggi assume varie declinazioni e che, iscrivendosi nel grande alveo di ciò che prende il nome di populismo, sembra denunciare prima di tutto la sofferenza e la grave crisi da cui sono afflitte ovunque le istituzioni democratiche.

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